Prefazione
a
Edda Pellegrini Conte: Miraggi dell'isola
L'uomo è forte, si sente
grande e potente, è avido, vuole tutto. E il Tempo corre con lui, sempre più
veloce, più veloce, e divora tutto... fugge e divora, divora e fugge.
Ogni
uomo è un’isola, da qui partirei per stilare questo mio scritto sui racconti di
Edda Conte. Un libro di ampio respiro, dove la duttilità del narrare e la
perspicace analisi dell’animo umano, si amalgamano in un succedersi di atti
scenici, di respiri larghi, e di epigrammatiche soluzioni di trasversale
intensità. Il tutto affidato alla penna adusa alla scrittura poetico-narrativa dell’Autrice. Tanto è vero
che non è raro riscontrare, in queste pagine, fluenti voli simbolici tipici
della poesia della Nostra. Quindici i racconti che compongono questo romanzo.
Sì, romanzo, dacché sono legati, all’unisono, da una tale continuità ispirativo-contenutistica da farsi
lavoro di convincente organicità; di oggettiva e inquieta peripezia
dell’esser-ci come leitmotiv dell’intera
opera. Avevo già avuto il piacere di leggere e commentare alcuni passi di
questo personale ed emblematico viaggio vitale, e, sinceramente, la cosa che
più mi aveva preso era stata la spiritualità di questa narrazione. Ogni brano è
un pezzo di cuore di una totalità
filosofica e ontologica; un nostos che tutti quanti affrontiamo, fra dubbi e
rocambolesche avventure; tanto vale affrontarlo uniti, in pace, in armonia, con
amore, visto che ognuno ha un sicuro, anche se incerto, approdo: “… E'
mezzogiorno, dice lui, riprendiamo il cammino. Il viaggio è ancora
lungo....Cammineremo insieme....
Intanto presentiamoci..
-
IO SONO PIACERE..
-
E io SPERANZA-
Nessuno
di loro si accorge che il Tempo è tornato” (Il
viaggio). Il quadro che ci si presenta alla fine della lettura è quello di
un’isola di paradigmatico simbolismo antropico: un pezzo di terra in mezzo al
mare che simboleggia da una parte la solitudine, la riflessione, il pensamento,
l’evocazione, il memoriale; un luogo
sacro e inviolabile, alcova in cui
ritrovare noi stessi nella ricerca del nostro mondo, della nostra identità, per
trarre bilanci sul vissuto; dall’altra sguardi ad orizzonti di smisurata
lontananza, azzardi verso mete che vadano oltre le aporie del contingente, oltre
le magagne della quotidianità; cosciente la Nostra della esilità del vivere,
della futilità del tempo concessole di
fronte al tutto pascaliano: “… Silenzio, parole, chiacchiere,
grida... scoperte invenzioni, ricerche... guerre....
Ora
sulla Terra c'è il Mare, il Sole, il Vento, la Pioggia, gli alberi, gli
uccelli, gli animali... l'uomo e il
Tempo.
Ora
sulla Terra è iniziata la lotta segreta tra il Nulla e il Tutto.
Il
Magnifico Tutto, entità eterna, si chiude allora nella sua eccelsa dimora,
abbandona la Terra e l'uomo all'indifferenza e voracità del crudele fratello
gemello, Il Tempo....” (Leggenda). Un
autentico diario di bordo dove il
capitano traccia una rotta, e analizza la sua esperienza di navigazione verso
un faro che schiarisca la sua sorte. Non è certamente errato definire questo
nostos strettamente autobiografico: l’uomo, le irrequietezze del suo
esistere, tutta la sua complessità
esistenziale, il tempus fugit. Ed è così
che Edda Conte, brano dopo brano, personaggio dopo personaggio, ambiente dopo
ambiente, parola dopo parola, compone questo puzzle; questo ensemble di polivalente
significanza umana; di effettiva compattezza linguistico-emotiva. D’altronde
siamo un’isola! Quel pezzo estremamente piccolo di terra che bene rappresenta
la nostra esilità; ma che contiene, però, una singolarità di flora e di fauna,
di panorami e culture, di profumi e ricordi, da tradurre bene la polivalente
struttura intellettivo-cognitiva dell’uomo; il suo sperdimento nei confronti di un mare che l’avvolge e lo
rimpiccolisce con la sua immensità. “Un milieu entre rien e tout”, appunto. Come se la vita fosse il tempo prestato dalla
morte. E tale coscienza si fa ancora più forte quando tentiamo di misurarci con
la grandezza dei cieli, coi tanti perché di difficile soluzione. È da lì che
deriva la convinzione della nostra insufficienza ma anche il desiderio del
ritorno, dacché, la verità che abbiamo cercata invano, la si trova al ritorno
nella nostra isola: “… Nell'isola si racconta che nelle notti di luna piena
ogni pescatore perduto tra le onde torni
a visitare la sua casa. Si dice
anche che chi passa vicino alla
casupola di Presenza, ormai nascosta tra
i cespugli del cisto, può udire un dolce
canto che il vento porta verso il
mare”. Come Pavese scrive nella sua “Luna e i falò”: “Un paese ci vuole, non fosse
che per il gusto di andarsene via”.
Solo
la spiritualità, quella della Conte, può ovviare in gran parte alle sottrazioni
del tempo, costruendo castelli di robuste pareti; traducendo la terrenità in una
scala che approdi a vette di eccelsa contemplazione. La memoria stessa può in parte
sopperire alla fugacità del tempo, riportando a galla sapori di antiche
primavere atti a prolungare lo spazio ristretto di un soggiorno: si ritorna a
nuova vita, noi diventiamo l’isola immensa e senza confini, nelle nostre fughe
oniriche, immaginifiche. Ma c’è il rovescio della medaglia per cui non è
difficile che in un raffronto tra memoriale, onirico e realtà, l’animo si faccia
tristemente consapevole dello scorrere della vita in un raffronto esiziale. Il
bel tempo ha dispiegato le ali verso spazi di obliosa consistenza. Tutto questo
si dipana con sfumature diverse, con varietà di policroma intrusione, con
l’apporto di creative intuizioni, in questa narrazione che offre visioni di una
umanità ora inquieta, ora speranzosa, ora volta ad un ancoraggio di unione e
fratellanza in tanto obliquo mondo, anche se pur sempre abbracciato da una
natura di potenza iconico- suggestiva nell’affiancare la scrittrice: “La
casupola , in mezzo alla macchia di
bassi cespugli, mirto lentischio, fiori di cisto bianco e rosa... poco lontano dal mare... Ondeggia il cisto
al vento di ponente... tutto intorno alla casa, come se in un abbraccio
volesse proteggerla, proteggerla da tutto, dai venti dagli spruzzi
salmastri , dagli sguardi dei curiosi. ... anche consolarla della sua solitudine. Sembra
una casa abbandonata. I cespugli si avvicinano ogni giorno di più, finiranno
col soffocarla nella stretta del loro amore” (L’attesa).
Sì,
ogni uomo è un’isola nella sua unicità, nella sua personalità o problematicità
ma può essere un tassello determinante
per completare quella universalità a cui l’uomo stesso aspira; quella
compattezza sociale, umana, e multiculturale a cui l’uomo dovrebbe
aspirare: “… Ogni uomo è un'isola, e come isola ha bisogno di comunicare con le
altre isole, perché tutte insieme sono il mondo” (Addio all’isola).
Nazario
Pardini
e così...grazie alle belle parole del caro amico Nazario il mio "Miraggi dell'isola" va incontro alla presentazione ufficiale con ottimi auspici.
RispondiEliminaEdda.
Ho seguito la nascita e l’elaborazione dei racconti di Edda Conti fin da-Il gioco delle perle di vetro- che lei mi inviò col desiderio di sentire le mie reazioni: una “favola” colta, altamente poetica, polisemica, di plurale lettura, lirica, che ci riconduce a un famoso importante romanzo filosofico-fantastico Il gioco delle perle di vetro del Nobel H. Hesse… La libertà può confondere, ma è comunque vita, pericolo, speranza di futuro: sul fiume miriadi di perline vanno alla deriva...sembrano tanti gusci d'uovo .. Come, perché hanno tanto osato?
RispondiEliminaLa dimensione onirica e surreale, coadiuvata dal linguaggio musicale, offre la carica attrattiva e meditativa del racconto originale e riuscito.
Poi IL BAMBINO DAI CAPELLI BLU. Un bambino di eccezionale bellezza , per i capelli blu, morbidi e lisci come seta, per le fattezze del viso, per l'armonia del corpo ...e soprattutto per gli occhi, grandi immensi nel viso minuto, di un azzurro mutevole, indefinibili nel colore e nell'espressione... una storia intrigante, in alcuni aspetti misteriosa: forse un’intuizione inquietante trasformata in racconto. In realtà è una tesi. Il silenzio come ulteriore modalità di conoscenza invece che di isolamento. Uno spunto stimolante di riflessione.La moltiplicazione dei punti di vista, originale, reso da una scrittura al solito fluida ed accattivante
In IL VENTO, MONO e L'ISOLA FELICE belle le costruzioni architettoniche, sicure nella composizione del racconto-favola: la natura che diventa protagonista, conduce all’interiorità, all’introspezione. Edda coltiva un antropomorfismo di cose che mantiene tutta la forza evocativa di un mondo indefinito, vago, sospeso, che sconfina nel poema surreale. Alcune novelle- Calura e quiete- e L’isola e le fantasie di Maia- ci conducono a un luogo privilegiato, amato dalla scrittrice, un luogo fantastico, l’isola, dove Edda Conte può liberare ed ascoltare voci ed immagini che nascono dentro di lei, spinte in superficie dalla sua sensibile vibratile fantasia immaginativa: terrazze, tra colori che si smorzano sfarinandosi e voci di uccelli che si quietano, mentre si accendono lampioni d’antan tra i carruggi che hanno una vita propria, misteriosa, come se conservassero il mistero della storia passata, storia di altre genti….
Ben ha fatto a pubblicarle in un unico volume che saremo lieti di leggere.
Una gran bella sorpresa,per me, carissima Maria Grazia Ferraris,questo tuo pezzo di critica davvero esaltante...Vero è che tu hai seguito passo passo questo mio percorso isolano che tante emozioni mi ha dato e tanto mi ha invitato alla creazione fantastica e non. Vero è che da molto provo stima e simpatia nei tuoi confronti, fiducia e ammirazione, e pertanto ti ho considerato un po' un mio mentore.
RispondiEliminaI tuoi commenti mi sono stati sempre utili e graditi...e oggi , con questo resoconto finale ,mi fai dono di una approvazione critica che apprezzo infinitamente . Ti sono sinceramente grata.
Grazie!. Edda Conte.