lunedì 15 maggio 2017

LIETTA MANGANELLI E ALDA MERINI

La nostra isola si arricchisce della presenza di una scrittrice che ci fornisce una documentazione storco-letteraria di grande valenza. Ella ha vissuto fin da giovane in contatto con Alda Merini che le ha dedicato  poesie, anche per telefono, che qui riportiamo. Si tratta della figlia del grande Giorgio Manganelli di cui Lèucade riporta l’immagine di copertina di un suo famoso libro: CENTURIA. Come lei afferma: “Ho conosciuto Alda Merini quando io avevo poco più di 2 anni e lei 17. L'ho conosciuta a casa di mio padre, nel cosiddetto “salotto rosso” o “salotto degli intellettuali”.
Mi spiego meglio: spesso in casa mia, appunto in quel salotto, si tenevano incontri fra giovani intellettuali di belle speranze: Vittorio Sereni, Maria Corti, Giacinto Spagnoletti e altri che non ricordo, erano di casa…”


Lietta Manganelli, nata a San Secondo Parmense, in quella folle bolla della Bassa Padana che dette i natali ai genitori dello scrittore Giorgio Manganelli, a Giovannino Guareschi, a Giuseppe Verdi, a Giovanni Voltini e non solo. Figlia unica di Giorgio Manganelli, si dedica con caparbietà e passione alle opere edite e inedite del suo grande padre, convinta com'è che nessuno muore mai veramente fino a quando qualcuno si ricorda di lui. 


Io e Alda

Alda Merini

 
Alda Merini
Ho conosciuto Alda Merini quando io avevo poco più di 2 anni e lei 17.
L'ho conosciuta a casa di mio padre, nel cosiddetto “salotto rosso” o “salotto degli intellettuali”.
Mi spiego meglio: spesso in casa mia, appunto in quel salotto, si tenevano incontri fra giovani intellettuali di belle speranze: Vittorio Sereni, Maria Corti, Giacinto Spagnoletti e altri che non ricordo, erano di casa.
Mio padre (non ho ancora capito bene perché) ogni volta che gli amici si riunivano veniva a prendermi nella piccola dépandance in cui io vivevo con mia madre, e mi presentava a tutti.
Naturalmente la massima attenzione che riuscivo ad avere era un sorrisino stentato e un buffetto sulla guancia. Per carità, ottime persone, studiosi di vaglia, ma cosa potevano mai dire a una bimbetta di due anni?
Poi un giorno, al serioso gruppetto, si unì una ragazzina, bellissima, dolcissima, che si interessò subito a me. Mi prese in braccio, mi sorrise, e iniziò a raccontarmi stranissime favole, stranissime per una bambina qualsiasi, ma non per me, che una bambina qualsiasi certo non ero.
Questa non è un'affermazione senza fondamento: ero la figlia di Giorgio Manganelli, il quale mi deliziava di favole molto più truci di quelle di Alda. Ero abituata a favole in cui castelli venivano costruiti con parti del corpo dei sudditi, o  a storie in cui principesse urlanti tentavano di difendere il loro amatissimo drago dai fendenti di un cavaliere assolutamente idiota che riteneva, chissà poi perché, che il suo compito fosse quello di uccidere appunto quel drago. Come potevo stupirmi sentendo dolci e tenere storie di lavanderine che, lavando i panni nel Naviglio, sognando il loro fidanzato, finivano per addormentarsi e scivolavano nel canale dove annegavano mentre i panni le accompagnavano nell'ultimo sonno come drappi che garrivano a festa?
Da quel giorno, quando mio padre veniva a prendermi per il solito giretto nel salotto rosso, la mia prima domanda era: “Ada? Ada?” Non riuscivo ancora a dire bene Alda,  ma quella era l'unica cosa che mi interessava, se c'era “Ada” tutto era più bello per me, non mi sentivo più una bambina solo esibita (ero bella e mio padre era il primo a stupirsi) ma mi sentivo parte del gruppo.
Fu proprio la mia voglia di stare con “Ada” a provocare una scenata infernale fra mia madre e mio padre. Non certo perché mia madre fosse gelosa di Alda, anzi, ma perché io un giorno tornai a casa, fra le braccia di mio padre, sconvolto, completamente ubriaca.
Ma andiamo per ordine: un pomeriggio d'agosto, un caldo pazzesco, il gruppo decise di uscire per andare a bere qualcosa di fresco. C'era Alda e io ero lì con loro, e naturalmente volevo andare anch'io. Volevo uscire con Alda soprattutto perché avevano tutti deciso di raggiungere, a piedi, il Naviglio. Potevo perdermi una simile occasione? Magari c'erano le lavanderine...
Uscimmo, raggiungemmo un piccolo locale sul Naviglio, le lavanderine non c'erano, ma c'era un bel pergolato, dei tavolini con le tovaglie e quadretti rossi, e... una mezza pinta di birra per tutti... anche per me...
Avevo caldo, era buonissima, fresca, vuotai il boccale, e, dopo un po' mi sentii strana... mi venne da ridere, da cantare e, dulcis in fundo, da vomitare.
Mio padre mi prese in braccio e mi portò velocemente a casa: per fortuna non eravamo lontani. Mi consegnò fra le braccia di mia madre che, furiosa, pronunciò una frase che poi rimase famosa nella iconografia manganelliana: “Giorgio, non solo sei inutile, sei anche dannoso!”
Non uscii più con loro, soprattutto non uscii più con mio padre. Ma fino a quando mio padre non lasciò Milano alla volta di Roma, ogni volta che io mi trovavo in città (ormai ero stata “trasferita” a Parma dai nonni materni) cercavo e trovavo il modo di incontrare Alda.
Ho affermato che mia madre non era affatto gelosa di Alda perché ne ho le prove. Un giorno io e mia madre (avrò avuto poco più di tre anni) incontrammo Alda all'Ufficio Postale. Alda si avvicinò, salutò e poi sbottò, con la forza della ingenuità: “Signora, mi sono innamorata di suo marito”. Mia madre la guardò, sorrise (lo so che sembra assurdo, ma sorrise) e rispose: “Ma se lo prenda, benedetta, se lo prenda!”.
Iniziarono poi gli anni bui, mio padre lasciò Milano e io per anni non vi tornai, ormai vivevo stabilmente con i nonni e dovevo accontentarmi delle visite “mordi e fuggi” di mia madre. Non ebbi quindi più occasione di cercare Alda né di avere sue notizie, ma non per questo la dimenticai.
I rapporti con mio padre erano inesistenti e solo dopo molti anni trovai il modo di sentirlo almeno per lettera con la complicità di mia nonna, che non aveva mai approvato la totale chiusura di mia madre nei confronti miei e di quello che, comunque, era mio padre.
Avevo circa 17 anni quando decisi di andare a cercare mio padre. Fu un incontro assolutamente manganelliano, ma avemmo la possibilità di parlare di tutto, anche di lei, di Alda. Mio padre mi raccontò del ricovero in manicomio e di come si sentisse colpevole per essere fuggito da Milano, lasciandola sola. Decisi immediatamente che, non appena fossi tornata a Milano, sarei andata a cercarla. Ero innocente, ma mi sembrò di averla abbandonata anch'io.
Ci rivedemmo e fu un momento speciale, riprendemmo il discorso come se ci fossimo lasciate il giorno prima. Mi disse, e mio padre poi me lo confermò, che, subito dopo il nostro incontro Giorgio le aveva telefonato piangendo, dicendo : “Ho visto mia figlia, ho visto mia figlia!”. Ogni volta che andavo a trovarla mi ripeteva questo episodio, mostrandomi il telefono, anche quando ormai non più funzionante e sostituito da un modello più recente, dicendomi: “Questo è tuo, tuo padre mi parlò a questo telefono”. Non fece mai tempo a darmelo, ma per me l'importante è che non avesse dimenticato.
Da allora ci incontrammo spesso, a volte andavo io a trovarla, a volte ci incontravamo per caso, spesso in Galleria Vittorio Emanuele.
Ricordo un incontro in particolare, in Galleria, appunto: ci incontrammo casualmente, Alda aveva con sé una radio mangianastri di notevoli dimensioni, ci sedemmo a un bar all'aperto, un tè, quattro chiacchiere e poi ad un tratto: “Tieni, è tua” e mi dette la radio. Era generosa Alda, non teneva in nessun conto i beni materiali, li condivideva col sorriso e tu non potevi rifiutare. Quella radio è ancora qui sulla mia scrivania.
Ricordo tanti  incontri e anche alcuni incontri mancati. Una volta doveva venire a Pisa per un incontro di poesia, l'andai a prendere a Milano con il taxi ma mi lasciò fuori dalla porta. Era fatta così Alda e andava amata così com'era.
Andai da lei con due amici, un giornalista e un giovane musicista, li accolse con gioia, il musicista suonò il piano e Alda pianse tutto il tempo, poi “regalò” loro una autorizzazione ad usare gratuitamente alcune sue poesie per farne uno spettacolo. Lo spettacolo non si fece mai per la cecità delle istituzioni, ma quella autorizzazione ora è, in cornice, nello studio di quel giornalista, a perenne ricordo di un magico incontro.
Quante volte mi chiamava, anche a notte fonda, e mi diceva, anzi mi imponeva: “Scrivi!” e mi dettava una poesia nata di getto spesso da una notte insonne.
Gli incontri si susseguivano, a volte dolci ed affettuosi, a volte aspri. Si parlava dei miei figli e delle sue ragazze, tanto amate quanto lontane, si parlava “del Giorgio”, che era fuggito letteralmente da Milano. Quel Giorgio tanto amato, ma anche tanto fragile che non era riuscito a reggere la tensione fra una moglie assolutamente gelida, una figlia “prestata” col contagocce e un amore nascente, coinvolgente, ma anche tanto impegnativo. A volte Alda ne parlava con rabbia, più spesso con tenerezza, o addirittura con ironia, come quando mi raccontava episodi della storia con mio padre spesso veramente comici. Per esempio, mi raccontò di suo zio che lavorava, si direbbe oggi, come operatore ecologico e che, quando li incontrava che passeggiavano, innocentemente, mano nella mano, inseguiva mio padre brandendo la scopa di saggina.
L'ultimo incontro avvenne pochi mesi prima della sua morte. Era già ammalata, ma non volle deludermi. Insieme ad uno studente dell'Università di Harvard avevo presentato un progetto per un mediometraggio su mio padre, una specie di viaggio nella memoria alla ricerca del padre, dal titolo, assolutamente rubato a Manganelli, “Sulla difficoltà di comunicare con i morti”. Ne parlai con Alda mi disse: “Vieni, non posso mancare”. Ci accolse con grande affetto, e parlò, parlò, raccontò. Fu veramente emozionante. Ad un certo punto, mi indicò un quadro appeso alla parete (una rosa rossa bagnata dalla rugiada) e mi disse, :”Staccalo. E' bello vero? Questa è Barbara, la vedi come è bella? Prendilo, è tuo”. Lo portai a casa in treno, nonostante le dimensioni notevoli, ed è la prima cosa che vedo la mattina, aprendo gli occhi: è appeso sulla parete di fronte al mio letto.
Ma le sorprese non erano finite: lei, che teneva sempre estremamente separati i suoi amici, che non voleva che si frequentassero fra di loro, prese il telefono e chiamò Giovanni Nuti: “Vieni subito”. Alda difficilmente chiedeva, più facilmente imponeva, ma come dirle di no? Giovanni arrivò in pochi minuti. Alda, che fino a quel momento era rimasta sul letto, si alzò e raggiunse la sala, lei seduta su una sedia, Giovanni al piano. Improvvisò per noi un concerto, cantò molte delle loro canzoni, per terminare con “L'Albatros”. Dopo più di tre anni ogni volta che l'ascolto un brivido mi scende per la schiena.
Rimanemmo ancora un po' a chiacchierare, poi, con uno dei suoi scatti imprevedibili: “Basta ora, sono stanca, andate via”. Un abbraccio e sussurrato in un orecchio: “Stai accanto a Giovanni, per favore”. Io l'ho sempre considerato un passaggio di testimone.
Seppi poi che a Giovanni aveva detto: “Se hai bisogno di qualcosa rivolgiti a Lietta”.
Alda era Alda, senza possibili definizioni, e chi ha avuto la fortuna di conoscerla e di frequentarla deve sentirsi un privilegiato baciato in fronte dagli dei. Il suo mondo non era di questa terra, era il regno della poesia, e se ci è capitato di poterle dare una sbirciatina, anche solo da lontano, dobbiamo ammettere che da quel momento, niente è stato più come prima. Nemmeno noi.



 POESIE DI ALDA MERINI



Figlia
Io e tuo padre
Abbiamo incontrato l'orto degli ulivi
quando c'era la pace

E abbiamo sentito il peso della croce
Dell'arroganza degli altri
Eppure Dio ogni giorno
E' sceso sul nostro amore
A parlare di te
Che eri sua figlia

Ti ho amato anch'io
E ho dovuto dimenticarti
E forse ho dimenticato anche lui
Nell'arco di mille anni

Ma ancora di notte
Quando trovo il morbido cuscino
Penso al suo grande amore
Che era la vetta del Paradiso  

Alda Merini
al telefono a Lugo di Romagna (RA)




Lietta cara ricorda
C’è un inverno fedele
Caro solo ai poeti
L’inverno della loro follia
Che toccò anche tuo padre
Vecchi entrambi e saccenti
Dolenti per amore
Non abbiamo richiuso
I nostri usci ardenti
Che continuano a dare
Fiori di eccelse pietre
  
(al telefono, 2/11/1995)












































1 commento:

  1. che bel racconto di vita l'ho assaporato in tutte le sfaccettature dei tratti personali affrescati, c'è da meditare che in periodi a me così vicini siano accadute cose che hanno dato un imprimatur di tenerezza e di sana follia, daltronde Alda era così ed anche Madonna Lietta, lo sento dalla prosa facile che giunge subitoe ti coinvolge

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