Ubaldo de Robertis, Annalisa Rodeghiero, Nazario Pardini al Premio Santa Maria in Castello, Vecchiano |
Annalisa Rodeghiero: Versodove. Blu di Prussia editrice.
Monte Castello di Vibio. (PG). Pgg. 84. € 11,00
Prefazione di N. Pardini
Saremo altrove
Là
dove l’armonia
sembra incrinarsi
fruttifica
la parola vera e vive.
Nell’altro possibile respiro
nell’orizzonte tondo
dove
il sogno chiede.
Esiste
forse una mezza poesia per il poeta?
Mezzo battito d’ali per la rondine?
Il
mezzo calice pieno? Il mezzo calice vuoto?
Metà fiore a primavera?
Solo una
parte del cielo da toccare?
-Sai-
saremo altrove,
dove
vince e perde la ragione
ma intero vive il canto.
Opera divisa in due sezioni: Di volo in volo, Incerte stagioni e
inconfutati cieli, che, con la loro efficacia ontologica, completano il
mondo poetico della Rodeghiero; tutto l’afflato per quel “dove vince e perde la
ragione ma intero vive il canto”. Senza mezze misure, in questa tensione
emozionale; in questo gioco che non prevede “Metà fiore a primavera”. Essere
altrove l’icipit di quesrta silloge in cui il verso si dà all’anima con tutta
la fragranza dei suoi verbi; con tutto il potere lessico-fonico dei suoi
accorgimenti. Un andare dolce e fluente, duttile e contaminante che abbraccia
con sonorità allusiva, con simboliche rifrazioni, ogni input vitale. Già da
questa citazione testuale si possono trarre le più sottili indicazioni della
sua poetica: essere o non essere; esistere o non esistere; ambire o restare
immoti in un mondo che ci chiede
voli verso l’alto per poterci sottrarre alle aporie del contingente;
alle ristrettezze del quotidiano. Ma VERSODOVE si deve dirigere la nostra navicella. Il mare è profondo e il suo
orizzonte illimitato per la pochezza del nostro essere umani. E’ per questo che
Annalisa azzarda voli verso l’alto, verso mete da cui si possa ammirare la
terra come da una torre d’avorio. Ma questa scalata ha bisogno di terrenità, di
cose reali, grandi e minime, per poter toccare
le alte vette del cielo, del supremo, e del canto. Per poter portare oltre il
guado il sapore del vissuto. E’ di queste cose che la poetessa si ciba; le fa sue,
le vive con intensità; le fa riposare nel suo intimo, è lì che sedimentano per
rinascere a nuova vita, per farsi serbatoio del suo verseggiare; per farsi
epigrammatica storia di sogni, di slanci iperbolici, di mistero. Questa è la vita e questo è il miraggio della
Nostra. La vita c’è tutta con la sua carica, con tutto il bagaglio delle
meditazioni, con tutta la complessità delle questioni di difficile soluzione:
amore, memoriale, affetti, incantesimi, illusioni, delusioni, saudade, nostos,
nostoi; indagine, e cospirazione di tanti perché in questo breve spazio che ci
è toccato. Amare è il piedistallo del
poema; amare a tutto tondo, con la totalità del suo coinvolgimento: amare l’esistere,
la terra, l’amore, l’uomo, i figli, i cari, la natura in tutta la sua
polivalenza; anche se con qualche riserva vista la vicissitudine della
poetessa:
Come
se niente fosse,
sempre
su corolle appena schiuse
ulula obliqua la tormenta e strappa.
Erano distese di
lavanda al sole
a
inebriare il grido dei voli.
Deliranti il tutto pieno e il niente.
Cosa cercavi
allora
quando
mi invitavi al sogno?
Nei
sogni la felicità spesso s’infrange.
E se d'eterno
fosse
stato il bisogno,
non nei voli d'ali
imporporate a festa,
dovevamo noi cercare
ma
in quell'essere noi angeli
in altra dimensione.
(Erano
distese di lavanda)
E la natuta si fa simbologia di un
sentire tutto vòlto a dire di sé: corolle, tempesta, strappa, lavanda sole,
voli… Tutto volge ad una direzione: volare oltre le tempeste, oltre lo strappo
dei venti, oltre le sottrazioni del mondo; volare in cieli-alcova dove poter
trovare quella serenità a cui aspirano i poeti. E si sa che i veri poeti, e
Annalisa lo è, trovano difficilmente quella meta a cui aspirano. E’ un
obiettivo da non raggiungere per mantenere in vita quell’input che è l’humus
del canto. Essere scontenti, inappagati, in continua navigazione è il vero stato
d’animo dei cantori. D’altronde il raggiungimento dell’isola agognata sarebbe
la fine di ogni stimolo che li incanta, li inquieta, li stupisce, li confonde, e che li fa essere in continua ricerca del
loro essere. E’ questa la profondità umana e ontologicamente contagiante di
questo canto. Una ricerca che la poetessa affronta alla scoperta di una
felicità sempre in bilico, ingannevole, in fuga da noi che la cerchiamo. “Cosa
cercavi allora/ quando mi invitavi al sogno”. Sognare fa parte dell’esser-ci,
ne è una componente importante, determinante. L’onirico rappresenta la
soluzione delle nostre inattuazioni; spesso la realizzazione delle delusioni
subite; è lì che ci rifugiamo nei momenti di indicibile malinconia; ma dal
sogno ci si desta, e quella libertà che avevamo assaporata si fa sentimento esiziale, tormento e irrequietezza.
Un naufragio dalle stelle alla terra; “Eppure tu, / lo chiamavi possibile,
eppure dicevi “per sempre””. Certezze
che si sfaldano, amori che finiscono, noia nel rimanere sempre uguali.
Come
precipitare
dalla volta delle stelle,
come chiudere
le sinapsi della vita.
Naufraga
così l'alba nel silenzio.
Eppure tu,
lo
chiamavi possibile,
eppure dicevi ”per sempre”.
Si sfaldano certezze dalla
volta
nell'incessante
nostro mutamento,
nel nostro rimanere sempre uguali.
(Naufraga
così)
Un mare di vicinanze e lontananze ed
è proprio quando in alto mare ci sembra di avere scorto il faro delle nostre
illusioni, la luce nella tempesta “ci aggrappiamo all’onda che ci riporta a
riva”.
(…)
Sembriamo marinai esperti
a vincere tempeste
ma
ci aggrappiamo all'onda
che riporta a riva.
(…)
(Ma tu ignorando canta)
Un’indagine meticolosa, puntuale e
autoptica del sentimento dei sentimenti: l’amore. Che poi è quello che fa il
bello e il cattivo tempo dell’esistenza.
Tanti i motivi ispiratori che rendono
polivalente e fortemente umana questa pièce:
La
lettera al padre
Non fosse altro
che
per il cromosoma eletto
per me scelto
che
ti sono grata, padre.
(...)
(Lettera a mio padre)
Le riflessioni sul tempo, sulla
caducità del vivere; un carpe diem
simboleggiato nella clarità del sole:
(…)
E
allora già sai
che
abbasserai smarrito
la tua corolla gialla
quando,
troppo presto, verrà sera.
Ma ora sconfina e finché puoi
allunga ancora il
volto al sole.
(In bilico costante)
Un anelito all’infinito
Portami là,
dove
tutto diventa liquido,
dove con te, ancora
morirò e rinascerò.
Dimmi cosa c'era
prima…
(Questo infinito)
Un erotico “contenerci” dal sapido
richiamo catulliano
Continueremo a darcelo
l’amore immaginato nel principio
o
prima ancora di affacciarci al mondo.
Sembrerà un dono, un volere degli dei
o
solo luce del nostro contenerci
(…)
(Fino all’ultimo sorso)
Sguardi di panica simbologia
esistenziale:
(...)
Sì,
potrei cantare il gelsomino in fiore
che apre occhi come stelle
a inebriare l’aria intorno
all’ombra
del mistero dei veli di magnolia;
o i quattro tigli che svettano in crinale
giostra d’api mai sazie
di ciuffi d’oro al sole.
Ma
solo del nostro maggio scrivo
e so che la parola oggi non basta
e so che la pienezza gruma in gola.
(Del nostro maggio scrivo)
Il richiamo dell’eterno
(…)
Tremeranno
sciolte
come teneri fili d’erba al vento
le
nostre dita al richiamo dell’eterno.
(In altra vita)
Un inno al mistero della poesia di
particolare intensità lirica a me dedicato:
a
Nazario Pardini
Ti
aspetterò nello slargo tra i rami
senza fretta alcuna. Saprò coglierti
dove
cantano d’amore i merli.
Qui
solo un senso di proiezione in alto
regna, quando perde perfino il senso
la
parola se dolce-eterno è il suono.
Soccorrimi se disperata cerco
il verso per raggiungere le stelle
ma non voltarti se ti sto
abbracciando.
(Inafferrabile
poesia)
Dove la poetessa dà tutta se stessa
ad un empito di calda ascensione verso le stelle in uno stato di grazia
ispirativa: abbandono, passione, liricità, attesa, canto della natura, suono
dolce-eterno, anacoluto, sinestetici abbrivi. Questa è poesia; questo è inno di
plurale intensità in cui a dominare è il sentimento, l’immagine vaga e
indeterminata a scapito della ragione.
E poesia è passione, è slancio verso
porti di difficile approdo; non di certo ragione che semmai tende a frenare
quegli abbrivi emotivi di cui si nutre.
“La
ragione non ha mai asciugato una lacrima e la filosofia può riempire pagine di
parole magnifiche, ma dubitiamo che gli sfortunati vengano ad appendere i loto
vestiti al suo tempio” (Génie du Christianisme di Francois-René de
Chateaubriand).
<<Tra noi e l'inferno o il cielo c'è di mezzo soltanto la
vita, che è la cosa più fragile del mondo.>>. (Blaise Pascal, Pensées). Perché queste citazioni; è presto detto: perché
costruiscono una prova comprovante della natura del bel canto. Di quello che
affascina, che ammalia, che inquieta e che inebria la nostra Annalisa. E’ a
quell’arte che dà anima e corpo ed è a quella che offre tutta la sua vita volta
ad ascensioni epifaniche, a sicurezze indecifrabili, dato che lei lo sa che è
la cosa più fragile del mondo.
Quando i bambini carezzano i padri, Il dondolio
dell’onda, Fermo-immagine, Sono i cieli di maggio, Lungo l’argine, Epilogo
d’estate, Oltre il sipario… Carezza d’acqua. Le tante composizioni della
seconda sezione, in cui Annalisa cerca di sopperire alla sua solitudine con
ricorso ad immagini di una natura che con tutta la sua potenza cromatica
l’avvolge; e lei si tuffa in questo mare d’immensi silenzi come in un naufragio
dolce e misterioso. Perdere l’identità nella grandezza dei cieli o nella
bellezza di un canto non è cosa difficile per un poeta.
Noi
eternità. Noi sillabe. Poesia.
Certezza del
fiore in gemma che s’apre.
Certezza del frutto
nell’operosità dei voli.
(Carezza d’acqua)
Nazario
Pardini
DAL
TESTO
Erano distese di lavanda
Come
se niente fosse,
sempre su corolle appena schiuse
ulula obliqua la tormenta e strappa.
Erano distese di lavanda al sole
a inebriare il grido dei voli.
Deliranti il tutto pieno e il niente.
Cosa cercavi allora
quando
mi invitavi al sogno?
Nei
sogni la felicità spesso s’infrange.
E se d'eterno
fosse stato il bisogno,
non nei voli
d'ali
imporporate a festa,
dovevamo noi cercare
ma in quell'essere noi angeli
in
altra dimensione.
Questo infinito
Portami
là,
dove tutto diventa liquido,
dove con
te, ancora
morirò e rinascerò.
Dimmi cosa c'era prima.
Non febbre, non api, non voli.
Ora
la vita, questo averti dentro,
ora la gioia, il canto nelle vene:
perché
l'amore è questo,
questo
sangue che pulsa nelle tempie
a tamburo battente,
è
l'universo intero,
il fiume caldo che ci scorre dentro,
questo infinito
che non possiamo trattenere,
uno
spicchio di mela
tra
le tue labbra umide.
Inafferrabile poesia
a
Nazario Pardini
Ti
aspetterò nello slargo tra i rami
senza fretta alcuna. Saprò coglierti
dove
cantano d’amore i merli.
Qui
solo un senso di proiezione in alto
regna, quando perde perfino il senso
la
parola se dolce-eterno è il suono.
Soccorrimi se disperata cerco
il verso per raggiungere le stelle
ma non voltarti se ti sto
abbracciando.
“Versodove” carissimo Nazario, se non oltre ogni nuvola, lassù dove esplode l’azzurrità del cielo ad accarezzare l’anima e il cuore?
RispondiEliminaTi rinnovo la mia gratitudine per il dono delle tue parole che impreziosiscono la mia silloge.
Ma lo sguardo oggi si ferma sulla foto che ritrae tre amici sorridenti in un giorno di festa della poesia.
Percepisco ora più che mai la mano di Ubaldo sulla spalla. Con un sorriso velato di tristezza la voglio inviare a lui, quella carezza sfiorata.
Grazie di cuore per l’immenso dono.
Annalisa Rodeghiero
Prefazione immensa, generosa, vissuta, come se il critico avesse penato e scritto le poesie di Annalisa. Della poetessa poco da dire: basta leggere i versi qui riportati per rendersi conto delle potenzialità umane, e prosodiche; della musicalità che avvolge la sensibilità della poetessa.
RispondiEliminaLuisa
Ringrazio la gentile Luisa (purtroppo senza riuscire a darle un volto) per le belle parole che mi ha riservato. Spero tanto che il nostro Nazario, scrivendo la prefazione al mio libro, non abbia penato al pari mio e che le parole, davvero generose che mi ha dedicato, siano uscite con levità dalla sua anima sapiente.
EliminaAnnalisa Rodeghiero
Essere poeti non vuol dire essere più sensibili degli altri ma saper trovare il modo più intenso e il linguaggio più profondo per comunicarlo, in modo che chi ascolta si identifichi e riconosca.Nazario Pardini lo è, oltre che per la sua immaginifica poesia ,anche per la sua rara e straordinaria capacità di immedesimarsi nell'anima degli altri poeti.Annalisa Rodegheiro lo è per la luminosità sognante dei suoi versi, per il saper parlare dell'amore e della vita , anche nella sua quotidianità con non comune magico linguaggio. Grazie a tutti e due, che mi pregio di chiamare amici.
RispondiEliminaGiusy Frisina
Cara Giusy, si respira vera amicizia leggendo il tuo messaggio d'affetto e stima. Sentimenti che ricambio totalmente nei confronti di te poetessa e donna sensibile e forte.
EliminaAnnalisa Rodeghiero