lunedì 1 maggio 2017

PAOLO BUZZACCONI: RELAZIONE SU "PLACOR" DI ALFONSO AGRISANI

   Relazione su “ Placor” di Alfonso Angrisani  (a cura di Paolo Buzzacconi)

Interessante e coinvolgente da subito questa nuova opera di Alfonso Angrisani, già nella scelta del titolo “Placor”. Sono infatti due, per quanto consequenziali, le funzioni che può assolvere questo vocabolo latino. Nel formulario delle sacre scritture Placor è usato come sostantivo ed intende un senso di gaudio, di appagamento, di tranquillità d’animo. In seguito viene però utilizzato anche come verbo passivo riflessivo, una forma verbale che in parte conserva un significato attivo. “Ego placor”, come a dire “Io sono placato”, dove il soggetto subisce l’azione, ma al contempo con il suo atteggiamento può contribuire attivamente al suo compimento . In entrambi i casi è evidente il percorso che lo sguardo poetico sceglie di intraprendere, gli spazi interiori che l’autore si propone di esplorare. Il fine è quello di comprendere ciò che veramente ci può donare sicurezza e serenità filtrando il vissuto nella poesia fino a coglierne l’essenza,la purezza originaria. Placor è dunque più di una semplice raccolta di liriche, è la testimonianza di come la mancanza della bellezza provochi inevitabilmente la sua ricerca e dunque la sua rinascita, magari in una nuova dimensione. Emblematiche, in tal senso, i numerosi componimenti che Alfonso dedica con sincero affetto alla periferia, il luogo dove gli aspetti più crudi e violenti della vita moderna diventano palpabili. Periferia diurna, fatta di fretta, di squallore, di strenua lotta per la sopravvivenza, ma anche di quella umanità profonda di chi conosce il dolore ed è disposto a combattere per la libertà. Periferia notturna, dove il buio offre nuovi spazi all’immaginazione, dove la vita si libera del peso della materialità e ritrova i suoi connotati di bene sacro e prezioso. Attraverso un’avvincente visione metafisica della gabbia di asfalto e cemento del nostro quotidiano l’autore disegna interessanti parallelismi con lo spazio e il tempo delle nostre emozioni e proprio in quella dimensione così dura e apparentemente sterile riscopre le certezze che ci permettono di sentirci vivi e di sperare. Il linguaggio è asciutto, senza fronzoli, abilmente utilizzato in un alternarsi di dolce e  amaro, di gioia soffusa e dolore assordante. Lo stile è armonico e musicale anche in assenza di rima o di struttura metrica.“ Non è difficile cogliere l’anima delle metropoli” ci svela Alfonso “ basta contemplare questo vuoto di asfalto e palazzi ed essere soli…” Ed è proprio questa solitudine che spinge il poeta a cercare la vita su quel foglio, “quel solitario spazio bianco” - come lo chiama lui - dove le parole tornano ad avere un senso. Interessante, poi, la figura del sogno, che non è visto solo come ingenua espressione del desiderio, ma anche come illusoria e pericolosa alternativa alla felicità vera, quella che si può costruire e toccare con mano. Esiste un sogno buono, dunque, un luogo dove fermarsi ad
ascoltare l’anima e un sogno che inganna, che ci nasconde la vita reale e ci preclude la possibilità di essere padroni del nostro tempo. Bisogna allora
saper guardare indietro con coraggio e disincanto e capire come e dove trovare le energie per affrontare il domani, il temutissimo ultimo atto che inesorabile si avvicina. E in tutto questo non c’è rimorso ne rimpianto, ma solo la voglia di godere al meglio del presente, del bello che la vita ci offre. “Dobbiamo imparare ad amare per sempre il tempo che vale”ci suggerisce Alfonso,dobbiamo cioè far tesoro del vero che si nasconde dietro l’apparenza, riconsiderare le possibilità che ci sono sfuggite nella fretta, recuperare quelle parole, come scrive l’autore, “ di seconda mano, parole di scarto, carcasse di parole belle, dimenticate ai margini di un autunno”. Ecco l’accenno alle stagioni, a quelle della vita e a quelle del cuore, a quei “ giorni sempre nuovi”, a quei “mille sogni e timori” che ci hanno forgiato e incoraggiato nel nostro viaggio, a quei ricordi che ci possono insegnare ad “accettare questa terza onda della vita con un sorriso” anche quando si scopre di “non saper più nuotare” e che ci svelano che  “si può accettare di andare con le nuvole e con la pioggia” perchè “ la strada, se la sai vivere, può essere bella anche così”.
Singolari ed intriganti gli esperimenti letterari che Alfonso ci propone in forma di “Asimmetriche sottrazioni” o di “Principali riduzioni” o di “Riduzioni triangolari al monossido”, come lui ama definirle. Ve ne cito una ad esempio: “ L’amore può esistere anche nella solitudine del deserto. / l’amore può esistere anche nella solitudine. / L’amore può esistere. / L’amore può. / L’amore.” Si tratta di esercizi linguistici in cui il periodo viene man mano spogliato delle frasi subordinate fino ad arrivare al concetto reggente, che scopriamo incredibilmente contenere già tutto il resto. Non è ovviamente un semplice gioco o una dimostrazione di abilità, ma un esercizio che ci insegna quanto sia vicina e breve la strada che porta alla verità, quando noi la cerchiamo con il giusto sguardo.
Merita un approfondimento a parte, infine, il complesso rapporto che l’autore ha con l’amore, un sentimento che apparentemente sembra sempre nascondersi e sfuggire al suo controllo. In realtà nelle sue liriche Alfonso Angrisani ci parla dell’amore vero, quello che rimane, quello che “ non ha bisogno di noi per esistere”, quello “sfiorato o mancato”, quello che “hai visto solo per pochi minuti, solo per poche parole” quello, insomma, che nel suo mancare ci conferma il suo esistere. Ma per Alfonso l’amore è anche quello che “ ci fa sospendere i piedi nel vuoto come per camminare nell’aria” e quello per delle “vecchie chiavi in un cassetto”, dove “ognuna è una storia, un luogo dove tornare, un luogo vago del ricordare, un luogo dove a suo tempo è nato qualcosa, forse una rosa.” Quel luogo colmo di verità che è in ognuno noi, dove poter trovare il Placor tanto desiderato. L’unico vero scopo del lavoro di tutta una vita. 

3 commenti:

  1. Una serata indimenticabile quella della Rassegna Iplac del 29 aprile dedicata alla Silloge di Alfonso Angrisani, Poeta di grande cultura e di altrettanto grande autenticità. Ringrazio il caro Nazario, che concede sempre volentieri il suo spazio sull'Isola; i due relatori Paolo Buzzacconi e Aurora De Luca e l'intensa lettrice Loredana D'Alfonso.
    Maria Rizzi

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  2. Ho molto apprezzato la poesia di Alfonso Angrisani in passato. Lui è modesto, non sembra prendersi sul serio (e questo è un bene), e sono molto contento di apprendere dell'uscita di Placor. Auguro molto successo all'autore, che spero di poter leggere presto, e complimenti a Paolo Buzzacconi che ha fatto una recensione che ti mette voglia di leggere il libro...
    Claudio Fiorentini

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  3. Ringrazio infinitamente il professor Pardini per l'accoglienza che ci riserva nel suo blog e soprattutto nel suo cuore, che è ben più grande del suo sconfinato bagaglio culturale.
    Paolo Buzzacconi

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