Relazione su “ Placor” di
Alfonso Angrisani (a cura di Paolo
Buzzacconi)
Interessante e coinvolgente da subito questa nuova opera di
Alfonso Angrisani, già nella scelta del titolo “Placor”. Sono infatti due, per
quanto consequenziali, le funzioni che può assolvere questo vocabolo latino.
Nel formulario delle sacre scritture Placor è usato come sostantivo ed intende
un senso di gaudio, di appagamento, di tranquillità d’animo. In seguito viene
però utilizzato anche come verbo passivo riflessivo, una forma verbale che in
parte conserva un significato attivo. “Ego placor”, come a dire “Io sono placato”,
dove il soggetto subisce l’azione, ma al contempo con il suo atteggiamento può
contribuire attivamente al suo compimento . In entrambi i casi è evidente il percorso
che lo sguardo poetico sceglie di intraprendere, gli spazi interiori che
l’autore si propone di esplorare. Il fine è quello di comprendere ciò che
veramente ci può donare sicurezza e serenità filtrando il vissuto nella poesia
fino a coglierne l’essenza,la purezza originaria. Placor è dunque più di una
semplice raccolta di liriche, è la testimonianza di come la mancanza della
bellezza provochi inevitabilmente la sua ricerca e dunque la sua rinascita,
magari in una nuova dimensione. Emblematiche, in tal senso, i numerosi
componimenti che Alfonso dedica con sincero affetto alla periferia, il luogo
dove gli aspetti più crudi e violenti della vita moderna diventano palpabili.
Periferia diurna, fatta di fretta, di squallore, di strenua lotta per la
sopravvivenza, ma anche di quella umanità profonda di chi conosce il dolore ed
è disposto a combattere per la libertà. Periferia notturna, dove il buio offre
nuovi spazi all’immaginazione, dove la vita si libera del peso della
materialità e ritrova i suoi connotati di bene sacro e prezioso. Attraverso un’avvincente
visione metafisica della gabbia di asfalto e cemento del nostro quotidiano l’autore
disegna interessanti parallelismi con lo spazio e il tempo delle nostre
emozioni e proprio in quella dimensione così dura e apparentemente sterile riscopre
le certezze che ci permettono di sentirci vivi e di sperare. Il linguaggio è
asciutto, senza fronzoli, abilmente utilizzato in un alternarsi di dolce e amaro, di gioia soffusa e dolore assordante. Lo
stile è armonico e musicale anche in assenza di rima o di struttura metrica.“ Non è difficile cogliere l’anima delle
metropoli” ci svela Alfonso “ basta
contemplare questo vuoto di asfalto e
palazzi ed essere soli…” Ed è proprio questa solitudine che spinge il poeta
a cercare la vita su quel foglio, “quel
solitario spazio bianco” - come lo chiama lui - dove le parole tornano ad
avere un senso. Interessante, poi, la figura del sogno, che non è visto solo
come ingenua espressione del desiderio, ma anche come illusoria e pericolosa
alternativa alla felicità vera, quella che si può costruire e toccare con mano.
Esiste un sogno buono, dunque, un luogo dove fermarsi ad
ascoltare l’anima e un sogno che inganna, che ci nasconde la vita
reale e ci preclude la possibilità di essere padroni del nostro tempo. Bisogna allora
saper guardare indietro con coraggio e disincanto e capire come e dove
trovare le energie per affrontare il domani, il temutissimo ultimo atto che inesorabile si avvicina. E in
tutto questo non c’è rimorso ne rimpianto, ma solo la voglia di godere al
meglio del presente, del bello che la vita ci offre. “Dobbiamo imparare ad amare
per sempre il tempo che vale”ci suggerisce Alfonso,dobbiamo cioè far tesoro
del vero che si nasconde dietro l’apparenza, riconsiderare le possibilità che
ci sono sfuggite nella fretta, recuperare quelle parole, come scrive l’autore, “ di seconda mano, parole di scarto,
carcasse di parole belle,
dimenticate ai margini di un autunno”. Ecco l’accenno alle stagioni, a
quelle della vita e a quelle del cuore, a quei “ giorni sempre nuovi”,
a quei “mille sogni e timori” che ci
hanno forgiato e incoraggiato nel nostro viaggio, a quei ricordi che ci possono
insegnare ad “accettare questa terza
onda della vita con un sorriso” anche quando si scopre di “non saper più nuotare” e che ci
svelano che “si può accettare di andare con le nuvole e con la pioggia” perchè “ la strada, se la sai vivere, può essere bella anche così”.
Singolari ed intriganti gli esperimenti letterari che Alfonso ci
propone in forma di “Asimmetriche
sottrazioni” o di “Principali
riduzioni” o di “Riduzioni
triangolari al monossido”, come lui ama definirle. Ve ne cito una ad
esempio: “ L’amore può esistere anche
nella solitudine del deserto. / l’amore può esistere anche nella solitudine. /
L’amore può esistere. / L’amore può. / L’amore.” Si tratta di esercizi linguistici
in cui il periodo viene man mano spogliato delle frasi subordinate fino ad
arrivare al concetto reggente, che scopriamo incredibilmente contenere già
tutto il resto. Non è ovviamente un semplice gioco o una dimostrazione di
abilità, ma un esercizio che ci insegna quanto sia vicina e breve la strada che
porta alla verità, quando noi la cerchiamo con il giusto sguardo.
Merita un approfondimento a parte, infine, il complesso rapporto
che l’autore ha con l’amore, un sentimento che apparentemente sembra sempre
nascondersi e sfuggire al suo controllo. In realtà nelle sue liriche Alfonso
Angrisani ci parla dell’amore vero, quello che rimane, quello che “ non ha bisogno di noi per esistere”,
quello “sfiorato o mancato”, quello
che “hai visto solo per pochi minuti,
solo per poche parole” quello, insomma, che nel suo mancare ci conferma il
suo esistere. Ma per Alfonso l’amore è anche quello che “ ci fa sospendere i piedi nel vuoto come per camminare nell’aria” e quello per delle “vecchie chiavi in un cassetto”, dove “ognuna è una storia, un luogo dove tornare, un luogo vago del
ricordare, un luogo dove a suo tempo è nato qualcosa, forse una rosa.” Quel
luogo colmo di verità che è in ognuno noi, dove poter trovare il Placor tanto
desiderato. L’unico vero scopo del lavoro di tutta una vita.
Una serata indimenticabile quella della Rassegna Iplac del 29 aprile dedicata alla Silloge di Alfonso Angrisani, Poeta di grande cultura e di altrettanto grande autenticità. Ringrazio il caro Nazario, che concede sempre volentieri il suo spazio sull'Isola; i due relatori Paolo Buzzacconi e Aurora De Luca e l'intensa lettrice Loredana D'Alfonso.
RispondiEliminaMaria Rizzi
Ho molto apprezzato la poesia di Alfonso Angrisani in passato. Lui è modesto, non sembra prendersi sul serio (e questo è un bene), e sono molto contento di apprendere dell'uscita di Placor. Auguro molto successo all'autore, che spero di poter leggere presto, e complimenti a Paolo Buzzacconi che ha fatto una recensione che ti mette voglia di leggere il libro...
RispondiEliminaClaudio Fiorentini
Ringrazio infinitamente il professor Pardini per l'accoglienza che ci riserva nel suo blog e soprattutto nel suo cuore, che è ben più grande del suo sconfinato bagaglio culturale.
RispondiEliminaPaolo Buzzacconi