giovedì 18 maggio 2017

SANDRO ANGELUCCI LEGGE: "NON VEDO, NON SENTO E..." DI ESTER CECERE



Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade


PRESENTAZIONE di ”NON VEDO, NON SENT0 E...
DI ESTER CECERE

Libreria Minerva, Roma, 13 maggio 2017


Bruxelles             A un senzatetto in terra straniera  

Dove porti
con passi scalzi
sul gelido asfalto
d'una città straniera
la tua povera gioventù sfiorita?
Mentre lame di compatimento
e mannaie di rifiuti
ancora e ancora dilaniano
il corpo emaciato,
la delirante mente
e il cuore
di rancore colmo?

Torna
dove nell'aria
è sempre primavera,
dove alla mente ostile
parlerebbe il mare,
dove infuocati tramonti
scalderebbero il cuore...
d'una morsa di ghiaccio
ora prigioniero!


Ester Cecere


Soffermiamoci su quelle lame citate nel sesto verso: sono "lame di compatimento"; e ancora, sulle "mannaie" del verso seguente: sono "mannaie di rifiuti".
Cosa si evince? A mio modo di vedere, che colpevoli della condizione di questo senzatetto in terra straniera (cui la lirica è dedicata) risultano essere - allo stesso modo - tanto la compassione che il disprezzo.
Voglio dire: non è commiserando né spregiando che si risolve il problema (e, ovviamente, neanche ignorandolo). Di più: mi sento di asserire che la noncuranza è diretta conseguenza proprio di quelle cause appena esposte.
Già: mettiamoci - solo per un momento - nei panni dell'extracomunitario, e cerchiamo di comprendere (veramente, però) quello che effettivamente ci chiede.
Soldi? Pane? Casa? Sembrerebbe, ma non è così; egli vuole una cosa sola che - paradossalmente (ma neppure tanto) - è quella che desideriamo anche noi: amore. È necessario, tuttavia, chiarirsi e soprattutto non prendere alla leggera un termine così rilevante e, non di meno, abusato e spesso travisato. L'amore va corteggiato perché possa conquistarci ed essere conquistato.
Allora mi (e vi) domando: siamo certi di fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità perché questo avvenga? Dante diceva: "Amor che move il Sole e l'altre stelle", intendendo con ciò sottolineare l'energia spirituale che dallo stesso promana (un'energia che al di fuori di ogni confessione religiosa crea e dà la vita).
Bene: cosa facciamo noi (tutti noi) per non umiliare, per non rendere vacuo un impegno, un'opera tanto faticosa e costante? Sganciamo bombe sui deserti della povertà o ci imbottiamo di tritolo negli aeroporti di opulente metropoli (non c'è differenza fra i due comportamenti).

Ascoltiamo quest'altra bella lirica in proposito

Dimmi Dio, rispondimi Allah

Dimmi Dio,
chi ha ragione?
Rispondimi Allah,
dov'è il torto?
E' forse negl'immoti visi
bianchi di polverose macerie
degl'inconsapevoli bimbi?
E' forse negl'increduli volti
da strisce rosse rigati
di creature innocenti?

Spiegami Dio,
cos'è un'etnia?
Parlami Allah,
perché tanto odio?

Smisura l'assurdità
d'una faida che sanguina
di giovani vite falciate.

Che persino la morte
fatica a portare con sé.

Le istanze rivolte a Dio ed Allah, come se fossero due divinità, mettono ancor più in evidenza la separazione inventata dagli uomini: una separazione che è ed è sempre stata la prima fonte di discordia.
La divisione, la simbologia dell'albero del frutto proibito (per intenderci), riportano a Satana, all'etimologia stessa del nome, che allude alla scissione. Bene e male coesistono, si combattono, ed è giusto che sia così; ma non perché uno abbia la prevalenza sull'altro (come erroneamente si pensa); tutt'altro, si battono perché dal loro scontro si rinnovi e nasca ancora amore.
Se si prendono nel verso giusto queste parole, ci si rende presto conto che prevaricazioni, guerre, femminicidi, matricidi, omicidi sono soltanto il risultato - malato e perverso - di menti deviate da false convinzioni.
La seconda strofa della poesia con la quale ho inteso aprire la mia relazione depone indiscutibilmente a favore della causa di cui si fa latore - per l'appunto - l'amore. Dare all'emigrato l'amore, l'unico reale aiuto che possa essergli, a questo punto, fornito.
Intendiamoci bene, però: invitarlo a fare ritorno alla sua terra non significa solamente - come potrebbe sembrare - spingerlo verso le sue radici: anche questo, ma molto di più consiste nello stimolo a fargliele ridesiderare.
No, non appaia bizzarro: non dimentichiamo, per favore, che per qualche pezzetto di vetro luccicante agli indigeni sono state estorte ricchezze inestimabili.
Parafrasando la poetessa: se non vogliamo che il lavavetri (da Lavavetri) sia relegato (rinchiuso: per restare all'allegoria degli indigeni) alla figura di uno spaventapasseri, un moderno spaventapasseri, che non è più in grado di spaventare nessuno per proteggere il campo ed i raccolti, dobbiamo - per amore e per giustizia - rassicurarlo, dissipare in lui la benché minima paura di averlo perso per sempre quel campo; dobbiamo renderglielo quel terreno; fosse anche un susseguirsi di dune sabbiose e inospitali.
Lo diverranno - come lo erano - ospitali, prima che gasdotti e pozzi petroliferi le trasformassero in un inferno.
Ecco, come si arriva al paradosso: uno spaventapasseri che cerca di avvicinare (e non gli competerebbe) e, assurdamente, "peggio del passero / che alle spighe attenta" viene scacciato.
C'è un'altra poesia, della quale - se permettete - voglio dare lettura.

I bambini di Atma non hanno scarpe    A un bimbo siriano

Scarpe troppo grandi.
Scarpe da uomo
per piedi di bimbo
da macerie piagati.

Dove le trovasti?
Era morto il proprietario?
Appartennero a tuo padre?

Scarpe troppo grandi.
Scarpe da clown
per piedi di bimbo.

Su quel marciapiede,
sfinito, senza voce amica,
per sempre t'accasciasti
come semplicemente scivolato.

Ben visibili solo le tue scarpe.
Troppo grandi.

In questo "troppo grandi" c'è tutto: tutta la vastità della follia che ci attanaglia. Per restare in metafora: i problemi cominciano proprio quando i bambini calzano scarpe non loro ("scarpe da uomo").
Come per il lavavetri-spaventapasseri siamo di nuovo di fronte al paradosso: già, perché se fisicamente fa male infilarsi ai piedi calzature più piccole e strette, molto ma molto più male produce nell'animo sapere che un bambino è costretto a caricarsi sulle spalle responsabilità e doveri infinitamente più grandi di lui. Inoltre: dovremmo essere noi a rimpicciolirci per farci entrare le sue scarpe, tentando così la sola via di
salvezza che, forse, ci è rimasta.
Nessuno è risparmiato dal vento della follia umana, neppure gli animali che, obbedendo istintivamente alla legge universale e divina, non possono impazzire. Eppure, senza colpe e senza volerlo, sono finiti in prigione anche loro. Come il "Gabbiano mutilato" cui hanno troncato le remiganti condannandolo ad una vita da pollaio; come tanti altri esseri viventi che abbiamo manipolato, geneticamente trasformato al fine di rimediare alle carenze affettive verso gli altri e, soprattutto, verso noi stessi.
Ma la poesia non si arrende, non si è mai arresa. "Esci ruspa chioccia forte. / Fino all'ultimo lombrico becca": così - in chiusa - la Cecere esorta il "gabbiano mutilato" alla ribellione.
E’ la rivoluzione poetica: di tutt'altra pasta rispetto a quella insurrezionale e razionalistica e, dunque, di parte.
E’ la trasformazione, il ribaltamento che si auspica, e per il quale lotta chi nulla vuole concedere alla retorica, al buonismo, all’ipocrisia ed al superfluo.
Non so se la poesia salverà la vita: anche perché sono convinto che la poesia, l'amore sanno salvarsi da soli.
Un fatto, tuttavia, è certo: finché ci sarà qualcuno disposto a soffermarsi su pagine come queste ed a riflettere, forse le testate nucleari pronte ad esplodere saranno disinnescate. E se anche dovesse avvenire l'irreparabile (palingenesi) - cosa che nessuno davvero si augura - ricordiamo sempre che c'è una forza superiore, non ad uno ma a milioni di megatoni, continuamente pronta a muovere ancora il Sole e tutte le altre stelle.

                                  Sandro Angelucci 

2 commenti:

  1. ritengo questa lettura molto calzante allo spirito della poetessa che in questa raccolta vuole farci riflettere sulle miserie dell'uomo e lo fa senza retorica, senza orpelli, col suo stile impeccabile, a tratti volutamente pungente

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    1. Ringrazio Sandro Angelucci con affetto fraterno e con stima sincera per la sua lettura alternativa ma fortemente valida e pregnante di "Non vedo, non sento e..." da lui stesso presentato a Roma lo scorso 13 maggio.
      Come sempre sono grata al professor Nazario Pardini, infinitamente caro al mio cuore, per averci ospitato sulla sua splendida isola!
      Ringrazio inoltre, con affetto sororale Claudia Piccinno, che mi segue sempre con stima, da me ampiamente ricambiata, e con simpatia per il suo commento.
      Ester Cecere

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