Sandro Angelucci, collaboratore di Lèucade |
PRESENTAZIONE di ”NON
VEDO, NON SENT0 E...”
DI ESTER CECERE
Libreria
Minerva, Roma, 13 maggio 2017
Bruxelles A un senzatetto in terra
straniera
Dove porti
con passi scalzi
sul gelido asfalto
d'una città straniera
la tua povera gioventù
sfiorita?
Mentre lame di
compatimento
e mannaie di rifiuti
ancora e ancora
dilaniano
il corpo emaciato,
la delirante mente
e il cuore
di rancore colmo?
Torna
dove nell'aria
è sempre primavera,
dove alla mente ostile
parlerebbe il mare,
dove infuocati
tramonti
scalderebbero il
cuore...
d'una morsa di
ghiaccio
ora prigioniero!
Soffermiamoci
su quelle lame citate nel sesto verso: sono "lame di compatimento"; e ancora, sulle "mannaie" del
verso seguente: sono "mannaie di
rifiuti".
Cosa si evince? A
mio modo di vedere, che colpevoli della condizione di questo senzatetto in
terra straniera (cui la lirica è dedicata) risultano essere - allo stesso modo
- tanto la compassione che il disprezzo.
Voglio
dire: non è commiserando né spregiando che si risolve il problema (e,
ovviamente, neanche ignorandolo). Di più: mi sento di asserire che la
noncuranza è diretta conseguenza proprio di quelle cause appena esposte.
Già:
mettiamoci - solo per un momento - nei panni dell'extracomunitario, e cerchiamo
di comprendere (veramente, però) quello che effettivamente ci chiede.
Soldi?
Pane? Casa? Sembrerebbe, ma non è così; egli vuole una cosa sola che -
paradossalmente (ma neppure tanto) - è quella che desideriamo anche noi: amore.
È necessario, tuttavia, chiarirsi e soprattutto
non prendere alla leggera un termine così rilevante e, non di meno, abusato e
spesso travisato. L'amore va corteggiato perché possa conquistarci ed essere
conquistato.
Allora
mi (e vi) domando: siamo certi di fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità
perché questo avvenga? Dante diceva: "Amor che move il Sole e l'altre
stelle", intendendo con ciò sottolineare l'energia spirituale che dallo
stesso promana (un'energia che al di fuori di ogni confessione religiosa crea e
dà la vita).
Bene:
cosa facciamo noi (tutti noi) per non umiliare, per non rendere vacuo un
impegno, un'opera tanto faticosa e costante? Sganciamo bombe sui deserti della
povertà o ci imbottiamo di tritolo negli aeroporti di opulente metropoli (non
c'è differenza fra i due comportamenti).
Ascoltiamo
quest'altra bella lirica in proposito
Dimmi Dio, rispondimi Allah
Dimmi Dio,
chi ha ragione?
Rispondimi Allah,
dov'è il torto?
E' forse negl'immoti
visi
bianchi di polverose
macerie
degl'inconsapevoli
bimbi?
E' forse
negl'increduli volti
da strisce rosse
rigati
di creature innocenti?
Spiegami Dio,
cos'è un'etnia?
Parlami Allah,
perché tanto odio?
Smisura l'assurdità
d'una faida che
sanguina
di giovani vite
falciate.
Che persino la morte
fatica a portare con sé.
Le istanze rivolte a Dio ed Allah, come
se fossero due divinità, mettono ancor più in evidenza la separazione inventata
dagli uomini: una separazione che è ed è sempre stata la prima fonte di
discordia.
La divisione, la simbologia dell'albero
del frutto proibito (per intenderci), riportano a Satana, all'etimologia stessa
del nome, che allude alla scissione. Bene e male coesistono, si combattono, ed
è giusto che sia così; ma non perché uno abbia la prevalenza sull'altro (come
erroneamente si pensa); tutt'altro, si battono perché dal loro scontro si
rinnovi e nasca ancora amore.
Se si prendono nel verso giusto queste
parole, ci si rende presto conto che prevaricazioni, guerre, femminicidi,
matricidi, omicidi sono soltanto il risultato - malato e perverso - di menti
deviate da false convinzioni.
La seconda strofa della poesia con la
quale ho inteso aprire la mia relazione depone indiscutibilmente a favore della
causa di cui si fa latore - per l'appunto - l'amore. Dare all'emigrato l'amore,
l'unico reale aiuto che possa essergli, a questo punto, fornito.
Intendiamoci bene, però: invitarlo a fare
ritorno alla sua terra non significa solamente - come potrebbe sembrare -
spingerlo verso le sue radici: anche questo, ma molto di più consiste nello
stimolo a fargliele ridesiderare.
No, non appaia bizzarro: non dimentichiamo,
per favore, che per qualche pezzetto di vetro luccicante agli indigeni sono
state estorte ricchezze inestimabili.
Parafrasando la poetessa: se non vogliamo
che il lavavetri (da Lavavetri) sia relegato
(rinchiuso: per restare all'allegoria degli indigeni) alla figura di uno
spaventapasseri, un moderno spaventapasseri, che non è più in grado di
spaventare nessuno per proteggere il campo ed i raccolti, dobbiamo - per amore
e per giustizia - rassicurarlo, dissipare in lui la benché minima paura di
averlo perso per sempre quel campo; dobbiamo renderglielo quel terreno; fosse
anche un susseguirsi di dune sabbiose e inospitali.
Lo diverranno - come lo erano - ospitali,
prima che gasdotti e pozzi petroliferi le trasformassero in un inferno.
Ecco, come si arriva al paradosso: uno
spaventapasseri che cerca di avvicinare (e non gli competerebbe) e,
assurdamente, "peggio del passero
/ che alle spighe attenta" viene
scacciato.
C'è un'altra poesia, della quale - se
permettete - voglio dare lettura.
I bambini di Atma non hanno scarpe A un bimbo siriano
Scarpe troppo grandi.
Scarpe da uomo
per piedi di bimbo
da macerie piagati.
Dove le trovasti?
Era morto il
proprietario?
Appartennero a tuo
padre?
Scarpe troppo grandi.
Scarpe da clown
per piedi di bimbo.
Su quel marciapiede,
sfinito, senza voce
amica,
per sempre
t'accasciasti
come semplicemente
scivolato.
Ben visibili solo le
tue scarpe.
Troppo grandi.
In questo "troppo grandi" c'è tutto: tutta la vastità della follia che ci
attanaglia. Per restare in metafora: i problemi cominciano proprio quando i
bambini calzano scarpe non loro ("scarpe
da uomo").
Come per il lavavetri-spaventapasseri
siamo di nuovo di fronte al paradosso: già, perché se fisicamente fa male
infilarsi ai piedi calzature più piccole e strette, molto ma molto più male
produce nell'animo sapere che un bambino è costretto a caricarsi sulle spalle
responsabilità e doveri infinitamente più grandi di lui. Inoltre: dovremmo
essere noi a rimpicciolirci per farci entrare le sue scarpe, tentando così la sola via di
salvezza che, forse, ci è rimasta.
salvezza che, forse, ci è rimasta.
Nessuno è risparmiato dal vento della
follia umana, neppure gli animali che, obbedendo istintivamente alla legge universale
e divina, non possono impazzire. Eppure, senza colpe e senza volerlo, sono
finiti in prigione anche loro. Come il "Gabbiano mutilato" cui hanno troncato le remiganti
condannandolo ad una vita da pollaio; come tanti altri esseri viventi che
abbiamo manipolato, geneticamente trasformato al fine di rimediare alle carenze
affettive verso gli altri e, soprattutto, verso noi stessi.
Ma la poesia non si arrende, non si è mai
arresa. "Esci ruspa chioccia forte.
/ Fino all'ultimo lombrico becca":
così - in chiusa - la Cecere esorta il "gabbiano mutilato" alla
ribellione.
E’ la rivoluzione poetica: di tutt'altra
pasta rispetto a quella insurrezionale e razionalistica e, dunque, di parte.
E’ la trasformazione, il ribaltamento che
si auspica, e per il quale lotta chi nulla vuole concedere alla retorica, al
buonismo, all’ipocrisia ed al superfluo.
Non so se la poesia salverà la vita: anche
perché sono convinto che la poesia, l'amore sanno salvarsi da soli.
Un fatto, tuttavia, è certo: finché ci
sarà qualcuno disposto a soffermarsi su pagine come queste ed a riflettere,
forse le testate nucleari pronte ad esplodere saranno disinnescate. E se anche
dovesse avvenire l'irreparabile (palingenesi) - cosa che nessuno davvero si augura
- ricordiamo sempre che c'è una forza superiore, non ad uno ma a milioni di
megatoni, continuamente pronta a muovere ancora il Sole e tutte le altre
stelle.
Sandro Angelucci
ritengo questa lettura molto calzante allo spirito della poetessa che in questa raccolta vuole farci riflettere sulle miserie dell'uomo e lo fa senza retorica, senza orpelli, col suo stile impeccabile, a tratti volutamente pungente
RispondiEliminaRingrazio Sandro Angelucci con affetto fraterno e con stima sincera per la sua lettura alternativa ma fortemente valida e pregnante di "Non vedo, non sento e..." da lui stesso presentato a Roma lo scorso 13 maggio.
EliminaCome sempre sono grata al professor Nazario Pardini, infinitamente caro al mio cuore, per averci ospitato sulla sua splendida isola!
Ringrazio inoltre, con affetto sororale Claudia Piccinno, che mi segue sempre con stima, da me ampiamente ricambiata, e con simpatia per il suo commento.
Ester Cecere