Inaugurata la mostra estense di Gastone Primon
(Sala Consiliare di Este, 29 - 4 - 2017)
Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
Inaugurata
nella cornice storica della Sala Consiliare di Este, la mostra di Gastone
Primon, di cui si è data notizia in queste pagine (vedi post del 25 aprile
u.s.) si è svolta in due sedi istituzionali distinte: la prima, dedicata alla
ceramica, presso il Museo Nazionale Atestino, visitabile fino al 21 maggio;
l'altra, dedicata alla pittura, presso la Sala espositiva "Vecchia
Pescheria", visitabile fino al 18 maggio. Un grande evento artistico che
si è avvalso di patrocini nazionali ed internazionali prestigiosi e ha goduto
della presenza di personaggi di primissimo piano vuoi del mondo istituzionale, vuoi
di quello culturale e artistico. Il tutto per onorare la figura di un
eccellente artista dei nostri tempi cui la Città di Este ha dato i natali e che
ha alle spalle una produzione imponente di opere conosciute e apprezzate nel
mondo.
Gastone
Primon, artista schivo, mite, allergico ai riflettori, ma attento alle profonde
emozioni dell'anima, è cresciuto e si è formato tra la pianura di Padova e i Colli Euganei, luoghi
delle spensierate scorribande di lui bambino, compiute assieme ai vivaci
compagni d'infanzia, per un attimo sfuggiti alla severa educazione scolastica e
contadina. Luoghi, poi, dove adolescente si recava con i pastelli Giotto
ricevuti in dono, a prezzo di grandi sacrifici, dalla sua austera e dolce genitrice,
come lui ama ricordare. E luoghi dove ancora oggi egli s'immerge, magari in
bici, per un bagno nel sangue arcaico, un tuffo nelle fonti battesimali della
vita. Primon ha avuto vita avventurosa, con esperienze di lavoro e di insegnamento
che lo hanno condotto fuori dalla città natale: a Roma, soprattutto, ma anche
all'estero (a Malta e in Giordania particolarmente). Tuttavia è qui, in questo
territorio, che egli ha solide radici.
Ed è qui, in Piazza
Trento, nella Chiesetta sconsacrata dell'Annunziata, che per un cinquantennio
ha tenuto in vita il proprio atelier,
fucina di opere, di incontri e di fermenti culturali di altissimo livello e di
primo piano. La sua poetica è profondamente immersa
nella cultura visiva del nostro tempo, avendo egli vissuto alcune delle
esperienze artistiche fondamentali del secondo Novecento. Ma occorre aggiungere
che non si è lasciato fagocitare nelle spire del Postmoderno, riuscendo anzi a
trasformarne il clima nichilista e tragico in quella che io definirei un'epopea
della rinascita. Tanto che il Nulla, così caro alle filosofie e alle poetiche
del nostro tempo, si carica in lui di straripanti fermenti vitalistici,
divenendo una sorta di buco nero che tutto ingoia aprendo porte e finestre su
ulteriori universi e ignoti mondi. Un capovolgimento che torna dalla fine ai
princìpi, alle origini, rinnovando nel dolore le radici della vita, del mondo.
Poetica,
pertanto, legata al rinnovamento, non soltanto dei valori, ma anche delle
tradizioni artistiche, in quest'area strettamente legate alla lavorazione della
ceramica, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Primon è letteralmente
affascinato dall'archeologia, dai Paleoveneti. Non in senso antiquario e
nostalgico, ma nel senso che da quelle culture
remote riesce a trarre linfa vitale per il mondo d'oggi. Egli sente vive quelle
culture, non morte, ed è con tali intenti che si
affida a elementi e oggetti scartati dalla storia, a residui della passata
cultura contadina, come anche a rifiuti della moderna produzione industriale,
unitamente a reliquie fossili, ad avanzi di sconvolgimenti naturali e di ere
geologiche. E mi sovviene una sua opera, la Camicia
del Contadino, che per estensione simbolica diviene il contadino
stesso, la cui immagine lisa e logora, emblema della consunzione, entra nel
circolo vitale, fondendosi con l'etere e con la bruna terra, con la linfa dei
ramoscelli radicati al suolo.
Gastone
è come stregato da questa osmosi, da
questa rete di scambi fra storia e natura. Così il ready-made, l'oggetto trovato,
per lui non ha valenze di rottame abbandonato, di relitto alla deriva, bensì
quelle di riscatto e di valore ritrovato, di essenza intramontabile che, dalla
morte, si riaffaccia alla vita. Ed è un tornare ai processi creativi della
natura, secondo cui nulla si disperde e tutto si rinnova. Qualcosa di più di
una pura e semplice denuncia dell'effimero,
dei modelli usa e getta della moderna
cultura consumistica. Ci sono indubbiamente richiami all'Arte Povera, al Bricolage, ma qui il riciclaggio vuole
essere molto più di una pura e semplice contestazione dell'opulenza
consumistica. C'è il desiderio di tornare ad operare secondo natura, secondo
quella Madre che è sempre pronta a ripescare ogni scarto, a non sprecarlo, a
ricondurlo nel ciclo incessante della vita.
Nella sua stessa
opera pittorica, non fondata sul colore, ma sull'assemblage e sul collage,
entra di tutto: cassette della frutta, cartoni pressati, plastica arrotolata,
dipinta e poi bruciata. Una tecnica che non deriva dalla pittura, ma dalla
lavorazione della ceramica. E' materiale povero, il suo. I tubetti li ha usati
in passato, oggi non più. Gli acrilici pure. Predilige i colori lavabili, e poi
ama molto bruciare. Utilizza di tutto. La pietra gli piace, ed anche il legno,
soprattutto quando, prima di lui, l'ha già lavorato la natura, il fulmine. La sua prediletta è tuttavia l'argilla per la grande
malleabilità e per l'immediatezza espressiva che consente. Primon è affascinato per questo dalla storia dei ceramisti
estensi e parlandone s'infiamma con quel suo tipico fervore di fanciullo
eterno.
Egli conosce
ed ama i reperti conservati presso il Museo Atestino, che vanno dall'età
arcaica a quella romana, con quella lunghissima stasi, durata più o meno fino
al milleseicento, comunque interrotta da guizzi che lasciano intendere una mai
cessata vitalità locale dell'arte ceramica. Bisogna arrivare al 1700 perché l'Europa
importi la porcellana dall'Oriente. Ed è un nuovo straordinario impulso per
questo tipo di arte, che si diffonde nel Veneto con particolare splendore,
vedendo in Este la nascita di numerose fabbriche. Qui lavorano valenti
artigiani e grandi artisti, come Giovan Battista Brunello, Giovanni Pietro
Varion, di origini parigine, e Gerolamo Franchini. Gli ultimi due, il Varion e
il Franchini, certamente le firme più prestigiose della ceramica atestina,
hanno avuto un periodo di intensa collaborazione, il cui risultato più
significativo è immortalato nel celeberrimo gruppo del Parnaso, purtroppo
andato smarrito.
Siamo in
pieno clima neoclassico, e le foto mostrano un basamento sorretto da quattro
putti su cui si ergono in forma piramidale una trentina di figure a soggetto
mitologico, culminanti con un Pegaso alato. Altri ceramisti importanti saranno
Pietro Apostoli, Ecla Ranzato, Nino Capuani, Domenico Contiero ed altri, ma bisognerà
attendere i furori avanguardistici del Novecento perché venga drasticamente superata
l'estetica classico-romantica, e a tal proposito non sarà vano ricordare due
esperienze scultoree particolarmente significative per la città di Este. La
prima, quella di Gino Vascon, nella scia di un Estetismo e di un Simbolismo
profondamente rinnovati; la seconda, quella di Gino Cortelazzo, immersa nelle
correnti dell'Espressionismo cubofuturista.
Gastone
Primon opera la sua rivoluzione artistica, pittorica e scultorea nello stesso
tempo, aderendo alle tendenze materico-concettuali, ed è in quest'ambito, come
abbiamo accennato, che sviluppa un interessante cambio di prospettiva. Dove
l'Informale infatti tende a evidenziare i
processi degenerativi della materia, il suo ridursi graduale a polvere e a
terriccio informe (si vedano, per esemplificare, i sacchi di Burri), Primon, al contrario, tende a cogliere l’azione proteiforme e metamorfica della natura, il suo
distruggersi per rigenerarsi in continuazione. Una natura, quella di
Primon, che torna ad essere un nume primigenio, carico di forza affermativa e
negativa. Un fuoco divoratore e generatore, un ruggito violento e catartico,
tremendo e dolcissimo a un tempo.
Una poetica dello
strappo, della ferita, dello smembramento, ma anche dei tenerissimi idilli e
dei colori aurorali, dei morbidi nidi e dei promettenti albori. Una
rappresentazione, se vogliamo, dell'uovo
cosmico, una messa in scena dell'alba della vita, della nascita del mondo
da un big bang, da uno sconquasso, da
una lacerazione perenne. E' la rappresentazione del grembo che si squarcia tornando
sempre nella grazia di se stesso per poter creare all'infinito. Ed è da qui che
nasce la violenza della poetica primoniana. Non è un grido disperato di morte,
ma un urlo eroico di vita a spingere l'artista a frantumare, a lacerare, a
spezzare, a disperdere, a schiacciare. Così facendo, egli ci conduce nel cuore
segreto, pulsante e ciclico della Grande Dea che da tempi immemorabili aleggia
sul mare nostrum, scenario di albe e
tramonti, di culle e di tombe, ma soprattutto luogo di incontri fra millenarie
e favolose culture.
Primon ha
soggiornato e lavorato a Malta, nel cuore del Mediterraneo antico, e la
presenza qui, oggi, di quella Repubblica, in alcune sue figure altamente
rappresentative, rende palpabili quei richiami e quelle aspettative. Quando i
critici dissero a Lucio Fontana che oltre la poetica del Taglio e del Nulla non
sarebbe stato possibile andare, non potevano sospettare questo salto, questo
repentino cambio di prospettiva. Primon ama svisceratamente l'arte di Fontana,
ma intuisce con semplicità disarmante l'unità del giorno e della notte, della
vita e della morte, per cui il Nulla non è che l'altra faccia dell'Essere, come
il Vuoto e il Pieno, lo Yin e lo Yang di una vetusta filosofia orientale.
Così pone degli specchi all'interno degli strappi e delle ferite, da cui è
possibile osservare la nascita, à rebours, di altri universi e altre vite. Quegli specchi riflettono nuove
lune, nuovi soli e nuove terre al di là di ogni immaginabile orizzonte e di
ogni confine. Spiragli di rinascita, immagini rifiorenti dal Nulla: un
superamento delle poetiche informali.
Franco Campegiani
Più volte F. Campegiani si è occupato dell’arte di G. Primon, e delle sue mostre che si ripartiscono tra Este e Roma. Le sue osservazioni critiche, ma ampiamente ed empaticamente coinvolte nella visione degli elaborati artistici di cui purtroppo non possiamo avere visione sul blog, ci introducono in temi già ricordati
RispondiElimina-il distruggersi e il rigenerarsi della materia, la valorizzazione dello “scarto” che viene ripescato, ripensato e valorizzato a nuova vita nascente, la visione cosmica della terra mater che rigenera in osmosi tra storia e natura- che sono carissimi all’artista ed al critico. Viene opportunamente valorizzata la tecnica- che nasce dalla concretezza dell’arte ceramica e dall’insegnamento dei più famosi ceramisti-, ma è tecnica pervasa di cultura che supera ogni apparente e travolgente novità dell’arte informale, in una prospettiva nuova , originale, di fusione cosmica di vita e morte. Prosa e poesia del mondo. Davvero interessante.
Ringrazio vivamente Maria Grazia Ferraris per questo suo appassionato e penetrante commento. Se il blog potrà ospitarle, cercherò di inviare immagini di alcune opere di Primon al patron, Nazario Pardini.
RispondiEliminaFranco Campegiani