venerdì 5 maggio 2017

FRANCO CAMPEGIANI: "INAUGURATA LA MOSTRA ESTENSE DI GASTONE PRIMON"

Inaugurata la mostra estense di Gastone Primon
(Sala Consiliare di Este, 29 - 4 - 2017)
Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade


Inaugurata nella cornice storica della Sala Consiliare di Este, la mostra di Gastone Primon, di cui si è data notizia in queste pagine (vedi post del 25 aprile u.s.) si è svolta in due sedi istituzionali distinte: la prima, dedicata alla ceramica, presso il Museo Nazionale Atestino, visitabile fino al 21 maggio; l'altra, dedicata alla pittura, presso la Sala espositiva "Vecchia Pescheria", visitabile fino al 18 maggio. Un grande evento artistico che si è avvalso di patrocini nazionali ed internazionali prestigiosi e ha goduto della presenza di personaggi di primissimo piano vuoi del mondo istituzionale, vuoi di quello culturale e artistico. Il tutto per onorare la figura di un eccellente artista dei nostri tempi cui la Città di Este ha dato i natali e che ha alle spalle una produzione imponente di opere conosciute e apprezzate nel mondo.
Gastone Primon, artista schivo, mite, allergico ai riflettori, ma attento alle profonde emozioni dell'anima, è cresciuto e si è formato tra la pianura di Padova e i Colli Euganei, luoghi delle spensierate scorribande di lui bambino, compiute assieme ai vivaci compagni d'infanzia, per un attimo sfuggiti alla severa educazione scolastica e contadina. Luoghi, poi, dove adolescente si recava con i pastelli Giotto ricevuti in dono, a prezzo di grandi sacrifici, dalla sua austera e dolce genitrice, come lui ama ricordare. E luoghi dove ancora oggi egli s'immerge, magari in bici, per un bagno nel sangue arcaico, un tuffo nelle fonti battesimali della vita. Primon ha avuto vita avventurosa, con esperienze di lavoro e di insegnamento che lo hanno condotto fuori dalla città natale: a Roma, soprattutto, ma anche all'estero (a Malta e in Giordania particolarmente). Tuttavia è qui, in questo territorio, che egli ha solide radici.
Ed è qui, in Piazza Trento, nella Chiesetta sconsacrata dell'Annunziata, che per un cinquantennio ha tenuto in vita il proprio atelier, fucina di opere, di incontri e di fermenti culturali di altissimo livello e di primo piano. La sua poetica è profondamente immersa nella cultura visiva del nostro tempo, avendo egli vissuto alcune delle esperienze artistiche fondamentali del secondo Novecento. Ma occorre aggiungere che non si è lasciato fagocitare nelle spire del Postmoderno, riuscendo anzi a trasformarne il clima nichilista e tragico in quella che io definirei un'epopea della rinascita. Tanto che il Nulla, così caro alle filosofie e alle poetiche del nostro tempo, si carica in lui di straripanti fermenti vitalistici, divenendo una sorta di buco nero che tutto ingoia aprendo porte e finestre su ulteriori universi e ignoti mondi. Un capovolgimento che torna dalla fine ai princìpi, alle origini, rinnovando nel dolore le radici della vita, del mondo.
Poetica, pertanto, legata al rinnovamento, non soltanto dei valori, ma anche delle tradizioni artistiche, in quest'area strettamente legate alla lavorazione della ceramica, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Primon è letteralmente affascinato dall'archeologia, dai Paleoveneti. Non in senso antiquario e nostalgico, ma nel senso che da quelle culture remote riesce a trarre linfa vitale per il mondo d'oggi. Egli sente vive quelle culture, non morte, ed è con tali intenti che si affida a elementi e oggetti scartati dalla storia, a residui della passata cultura contadina, come anche a rifiuti della moderna produzione industriale, unitamente a reliquie fossili, ad avanzi di sconvolgimenti naturali e di ere geologiche. E mi sovviene una sua opera, la Camicia del Contadino, che per estensione simbolica diviene il contadino stesso, la cui immagine lisa e logora, emblema della consunzione, entra nel circolo vitale, fondendosi con l'etere e con la bruna terra, con la linfa dei ramoscelli radicati al suolo.
Gastone è come stregato da questa osmosi, da questa rete di scambi fra storia e natura. Così il ready-made, l'oggetto trovato, per lui non ha valenze di rottame abbandonato, di relitto alla deriva, bensì quelle di riscatto e di valore ritrovato, di essenza intramontabile che, dalla morte, si riaffaccia alla vita. Ed è un tornare ai processi creativi della natura, secondo cui nulla si disperde e tutto si rinnova. Qualcosa di più di una pura e semplice denuncia dell'effimero, dei modelli usa e getta della moderna cultura consumistica. Ci sono indubbiamente richiami all'Arte Povera, al Bricolage, ma qui il riciclaggio vuole essere molto più di una pura e semplice contestazione dell'opulenza consumistica. C'è il desiderio di tornare ad operare secondo natura, secondo quella Madre che è sempre pronta a ripescare ogni scarto, a non sprecarlo, a ricondurlo nel ciclo incessante della vita.
Nella sua stessa opera pittorica, non fondata sul colore, ma sull'assemblage e sul collage, entra di tutto: cassette della frutta, cartoni pressati, plastica arrotolata, dipinta e poi bruciata. Una tecnica che non deriva dalla pittura, ma dalla lavorazione della ceramica. E' materiale povero, il suo. I tubetti li ha usati in passato, oggi non più. Gli acrilici pure. Predilige i colori lavabili, e poi ama molto bruciare. Utilizza di tutto. La pietra gli piace, ed anche il legno, soprattutto quando, prima di lui, l'ha già lavorato la natura, il fulmine. La sua prediletta è tuttavia l'argilla per la grande malleabilità e per l'immediatezza espressiva che consente. Primon è affascinato per questo dalla storia dei ceramisti estensi e parlandone s'infiamma con quel suo tipico fervore di fanciullo eterno.
Egli conosce ed ama i reperti conservati presso il Museo Atestino, che vanno dall'età arcaica a quella romana, con quella lunghissima stasi, durata più o meno fino al milleseicento, comunque interrotta da guizzi che lasciano intendere una mai cessata vitalità locale dell'arte ceramica. Bisogna arrivare al 1700 perché l'Europa importi la porcellana dall'Oriente. Ed è un nuovo straordinario impulso per questo tipo di arte, che si diffonde nel Veneto con particolare splendore, vedendo in Este la nascita di numerose fabbriche. Qui lavorano valenti artigiani e grandi artisti, come Giovan Battista Brunello, Giovanni Pietro Varion, di origini parigine, e Gerolamo Franchini. Gli ultimi due, il Varion e il Franchini, certamente le firme più prestigiose della ceramica atestina, hanno avuto un periodo di intensa collaborazione, il cui risultato più significativo è immortalato nel celeberrimo gruppo del Parnaso, purtroppo andato smarrito.
Siamo in pieno clima neoclassico, e le foto mostrano un basamento sorretto da quattro putti su cui si ergono in forma piramidale una trentina di figure a soggetto mitologico, culminanti con un Pegaso alato. Altri ceramisti importanti saranno Pietro Apostoli, Ecla Ranzato, Nino Capuani, Domenico Contiero ed altri, ma bisognerà attendere i furori avanguardistici del Novecento perché venga drasticamente superata l'estetica classico-romantica, e a tal proposito non sarà vano ricordare due esperienze scultoree particolarmente significative per la città di Este. La prima, quella di Gino Vascon, nella scia di un Estetismo e di un Simbolismo profondamente rinnovati; la seconda, quella di Gino Cortelazzo, immersa nelle correnti dell'Espressionismo cubofuturista.
Gastone Primon opera la sua rivoluzione artistica, pittorica e scultorea nello stesso tempo, aderendo alle tendenze materico-concettuali, ed è in quest'ambito, come abbiamo accennato, che sviluppa un interessante cambio di prospettiva. Dove l'Informale infatti tende a evidenziare i processi degenerativi della materia, il suo ridursi graduale a polvere e a terriccio informe (si vedano, per esemplificare, i sacchi di Burri), Primon, al contrario, tende a cogliere l’azione proteiforme e metamorfica della natura, il suo distruggersi per rigenerarsi in continuazione. Una natura, quella di Primon, che torna ad essere un nume primigenio, carico di forza affermativa e negativa. Un fuoco divoratore e generatore, un ruggito violento e catartico, tremendo e dolcissimo a un tempo.
Una poetica dello strappo, della ferita, dello smembramento, ma anche dei tenerissimi idilli e dei colori aurorali, dei morbidi nidi e dei promettenti albori. Una rappresentazione, se vogliamo, dell'uovo cosmico, una messa in scena dell'alba della vita, della nascita del mondo da un big bang, da uno sconquasso, da una lacerazione perenne. E' la rappresentazione del grembo che si squarcia tornando sempre nella grazia di se stesso per poter creare all'infinito. Ed è da qui che nasce la violenza della poetica primoniana. Non è un grido disperato di morte, ma un urlo eroico di vita a spingere l'artista a frantumare, a lacerare, a spezzare, a disperdere, a schiacciare. Così facendo, egli ci conduce nel cuore segreto, pulsante e ciclico della Grande Dea che da tempi immemorabili aleggia sul mare nostrum, scenario di albe e tramonti, di culle e di tombe, ma soprattutto luogo di incontri fra millenarie e favolose culture.
Primon ha soggiornato e lavorato a Malta, nel cuore del Mediterraneo antico, e la presenza qui, oggi, di quella Repubblica, in alcune sue figure altamente rappresentative, rende palpabili quei richiami e quelle aspettative. Quando i critici dissero a Lucio Fontana che oltre la poetica del Taglio e del Nulla non sarebbe stato possibile andare, non potevano sospettare questo salto, questo repentino cambio di prospettiva. Primon ama svisceratamente l'arte di Fontana, ma intuisce con semplicità disarmante l'unità del giorno e della notte, della vita e della morte, per cui il Nulla non è che l'altra faccia dell'Essere, come il Vuoto e il Pieno, lo Yin e lo Yang di una vetusta filosofia orientale. Così pone degli specchi all'interno degli strappi e delle ferite, da cui è possibile osservare la nascita, à rebours, di altri universi e altre vite. Quegli specchi riflettono nuove lune, nuovi soli e nuove terre al di là di ogni immaginabile orizzonte e di ogni confine. Spiragli di rinascita, immagini rifiorenti dal Nulla: un superamento delle poetiche informali.

                                     Franco Campegiani 




2 commenti:

  1. Più volte F. Campegiani si è occupato dell’arte di G. Primon, e delle sue mostre che si ripartiscono tra Este e Roma. Le sue osservazioni critiche, ma ampiamente ed empaticamente coinvolte nella visione degli elaborati artistici di cui purtroppo non possiamo avere visione sul blog, ci introducono in temi già ricordati
    -il distruggersi e il rigenerarsi della materia, la valorizzazione dello “scarto” che viene ripescato, ripensato e valorizzato a nuova vita nascente, la visione cosmica della terra mater che rigenera in osmosi tra storia e natura- che sono carissimi all’artista ed al critico. Viene opportunamente valorizzata la tecnica- che nasce dalla concretezza dell’arte ceramica e dall’insegnamento dei più famosi ceramisti-, ma è tecnica pervasa di cultura che supera ogni apparente e travolgente novità dell’arte informale, in una prospettiva nuova , originale, di fusione cosmica di vita e morte. Prosa e poesia del mondo. Davvero interessante.

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  2. Ringrazio vivamente Maria Grazia Ferraris per questo suo appassionato e penetrante commento. Se il blog potrà ospitarle, cercherò di inviare immagini di alcune opere di Primon al patron, Nazario Pardini.
    Franco Campegiani

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