“È
questo andare / l’essenza della vita” (L’essenza della vita, p.44)
Aurora De Luca, collaboratrice di Lèucade |
Si
dice, e io lo credo, che ad ogni autore sia caro un solo centrale tema, attorno
cui ruota tutto il resto; il tempo è un argine magno, entro cui si
muovono tutte le cose e da cui tutte le cose sono dominate. Il tempo è il
centro della poetica di Giovanni Aniello.
Dalle
pagine di Vele di pietra (Edizioni Tracce, 2004), a quelle di Ostaggi
del tempo, esso è un protagonista manifesto. La vita, acqua nell’argine, è
dolorosa: «ogni vita è catena / di giorni inclinati sul buio / mistero: li
ammanta l’oblio / come un giallo tappeto / brinato l’autunno che passa» (Vita,
p.14). Abbiamo mani che non riescono a trattenere il tempo, e quel tempo che
abbiamo è compromesso da dubbi, rimpianti, attese, croci, pene sicché la vita
scivola via in un tremore sconnesso. Neppure scrutare il passato disvela il
senso, o può indicare una direzione (“ma sfugge / la trama sepolta che sveli un
senso al passato” (Memoria ferita, p.10) ed è tutto un ‘vano sognare immensità
di cielo’ (e mi torna, qui, alla mente un’immagine di Antonia Pozzi).
La
poetica del pianissimo ritorna, com’era in Vele di pietre,
dell’assonanza e dell’allegoria; immagini dense, evocate da suoni che
ritornano, rese più vivide da talune sottili asprezze che non fanno che
risuonare in un dettato così ovattato.
Un dolore
docile, si potrebbe dire, di quelli malinconici che sostano al di sotto del
petto senza mai raggiungere il pianto; quasi ricorda l’urlo calmo di
Sandro Penna (Il mare è tutto azzurro, in Poesie, 1939). Un tale
urlo non avrebbe potuto propagarsi, seppur nella sua consistenza afona, in un
spazio ampio: poesie brevi e folgoranti, che raggiungono l’apice senza mai
toccare rumorosi lirismi.
Eccomi
al guado: tempi
scoloriti
e orizzonti brevi
dove
se un suono vibra
o
guizza un viso è un lampo
sanguigno,
annuncio di tempesta.
(Il
guado, p.15)
Atmosfere
crepuscolari si ravvisano ancora, un occhio che osserva svolgersi un comune
destino di pena: «Compagni di viaggio sbattuti / dal tempo – chissà quanto
ancora / ne resta – torniamo smarriti / ai silenzi del cuore, agli anni /
solcati d’un fiato, / felici / che amarsi fosse iride e lampi» (Compagni di
viaggio, p.17).
Si fa
più lontano però il mare, e raramente l’autore si porta a quelle sponde,
piuttosto cede al ricordo, e torna ai bivi di paese a cercare amici spenti e
sogni infreddoliti; dove sono gli stupori di quel bambino che osservava la
luce colpire l’acqua issata dal pozzo? È caduto nell’inganno del tempo, che è
l’inganno della vita; si è fatta contemporaneamente arma e ferita.
Rabdomanti
in cerca di vene
profonde
viviamo d’acqua e di tempo.
È
scavo ossessivo già persi
a
sondare dove porti la trama
di
rivoli sparsi, di giorni
affastellati.
Affogati di attese
ci
coglie improvvisa la meta
evaporati
come l’acqua e il tempo.
(Acqua
e tempo, p.38)
Mentre
le Vicende d’acqua di Antonia Pozzi la donavano, in un destino, come una
voce al silenzio, Aniello è un fiume che sente la dispersione e si fa cogliere
dalla fine. Anche egli parla alla sua poesia, un poetare breve dettato da una
Musa avara: stanare le parole è il compito del poeta; quello di Antonia invero
era elevarsi alla sua altezza.
Eppure
per entrambi la poesia è un fuoco azzurro che viene dal silenzio e che resterà
oltre il tempo:
Nel
silenzio che avvolge
come
pace di tenebre la stanza
stralci
di memoria, fragili trame
di
giorni senza eventi.
Nemmeno
la passione
che ci
brucia annulla il tempo: tu fumo
azzurro,
io cenere nel vento.
(Nel
silenzio, p.42)
Lontano
dal mare, dunque, Aniello ha ora l’andamento del vento, un soffio fatale, in
realtà, che anima l’intera raccolta: un mugghiare basso che, come fu in un
verso della Pozzi, ammucchia le foglie in disparte.
Siamo
vite amputate di futuro,
scambi
di solitudini, presenze
in
coni d’ombra mute.
Siamo
foglie che un brivido improvviso
stacca
dal ramo e ammucchia
in
angoli di prato.
(Vite
amputate, p.43)
Aurora De Luca
Nessun commento:
Posta un commento