Anonimo
monteverdino: Riflessioni sulla storia recente. Sonetti e pasquinate dal 1999 al 2013. Ensemble Edizioni. 2018
Un
testo di poesia vernacolare di Anonimo Monteverdino, che riporta a memoria, sia
per la sagacia satirica dei contenuti che per la scelta dell’anonimato, le
famose Pasquinate “… non erano poi altro che tracce di un’insoddisfazione, di
un crescente malumore popolare contro la corruzione, l’avidità e l’arroganza
del Sacro Soglio Pontificio…” (dalla prefazione di Dario Pontuale). Qui uno
sguardo dissacratore, ironico, satirico, e burlesco, anche, sulla vita e il
costume del popolo romano o solo “Riflessioni sulla storia recente” come da
titolo. Gli argomenti sono tanti e tante le boutades, le stoccate indirizzate
al malcostume, alle liti dei cialtroni, alla mano tesa “de la romana, santa e
sacra cchiesa”, alla disuguaglianza della legge, a “Le
elezzioni der 2001”. Sonetti ben costruiti secondo i canoni di una
tradizione longeva della nostra
letteratura: in ogni salsa. Naturalmente in vernacolo romano. Due le sezioni: Pasquinate, e Sonetti in libertà. Fin
dalla Introduzione vien fuori lo
spirito di un poeta, vòlto a cogliere le caratteristiche peculiari della Romanità
o i difetti del potere, o le abitudini di una popolazione ad appendere il
proprio malumore ai bordi di una statua: soprusi e vizi che poi sono facilmente
estendibili al mondo degli umani, più propensi all’egoismo o all’abuso, che al
bene: “… Qui, tra le cose strane e più ‘ntriganti/ ce ‘sta ‘na Roma fatta de
poesia/ che parla co’ le sue statue parlanti!/ ‘Na vorta erano tante, ‘nvece
adesso/ ce resteno tre statue arovinate:/ Babbuino, Pasquino, e Luiggi Abbate/
ma er popolo nun tace, mica è
fesso!/ Le statue adesso languon
nell’oblio/ e allora usiam la rete, santiddio!”. Il fatto sta che il Nostro
vede sempre il popolino succube dei potenti (… E ar popolino che è manipolato/
da ‘sto bombardamento di stronzate/ darà ner culo ‘n sacco de pedate), qui a
proposito della scesa in campo di
Berlusconi durante il governo Amato.
Proseguendo
col sonetto sulla fine del mondo (e pure si nun cambia proprio ‘n corno), o su La fine der Giubbileo (… er povero ci ha
l’anima beata/ e er ricco je lo mette sempre dietro!), la narrazione, toccando
tutti i punti focali del rapporto fra gli ultimi e chi comanda, completa il suo excursus con il sonetto Conclusione: “… Che er popolo rimane
sempre tale/ e l’unico che je po’ da’ conforto/ secondo te, chi è? E’ er
Padreterno./ Ma attento, nun je devi mai fa’ torto/ perché artrimenti vai a finì all’inferno!”.
Una
scrittura agile, armoniosa, di euritmica inventiva, di sarcastica visione, dove
l’Anonimo mostra tutta quanta la sua abilità satirica affidandosi ad un
endecasillabo perfetto, mai zoppicante, mai lasciato al caso, ma studiato e
limato pur con tutta la spontaneità del caso. Un quadro, quello che emerge, di
figure e situazioni di forte impatto critico affidato all’abilità
versificatoria e vernacolare di un artista a tutto tondo:
(…)
E’
che er coraggio è forse ‘n’utopia?
E
nun potemo fa quarche pazzia
prima
che er tempo nostro sia finito?
E
mentre che ve scrivo ‘st’omelia
guardo
er tramonto, rosso ed infinito
e
er resto sembra tutto ‘na bucìa
(dalla copertina)
Nazari Pardini
Un plauso a questo anonimo Monteverdino che, nella tradizione delle Pasquinate, “castigat ridendo mores”. Sebbene non sempre il linguaggio sia da educande non usa parole sgradevoli limitandosi a chiamare ogni cosa con il proprio nome senza eufemismi. La lettura dei suoi sonetti è piacevole anche se talvolta si può non condividerne i contenuti ma la sua è una satira nella tradizione da Aristofane in poi quella, cioè, che sotto altra veste ha riempito per secoli i Teatri. Insomma, per concludere, le invettive fatte con garbo e con buon gusto hanno molta più efficacia di quelle che questi canoni non rispettano.
RispondiEliminaCarla Baroni
Grazie per la bella recensione.
RispondiEliminaMatteo Chiavarone
Ensemble