RECENSIONE PUBBLICATA SUL N° 55 DELLA RIVISTA "POESIA", Pp. 100 |
Recensione a Nazario
Pardini: Dicotomie.
The Writer
Editore. Milano. 2013. PP. 320.
Di Daniela
Quieti
Daniela Quieti, scrittrice, poetessa, saggista |
Nel profondo
coinvolgimento emotivo e nel piacere intellettuale che la lettura dei versi di
Nazario Pardini raccolti nel volume “Dicotomie” mi ha procurato, desidero
aggiungere, alle tante prestigiose note critiche, le mie amichevoli parole a
commento. Il dettato poetico disvela uno spirito vibrante di passione, dolore,
sentimento. L’Autore attinge dall’unica fonte in grado di far sgorgare il vero
canto: il cuore. La dedica in esergo “A mio padre e a mia madre che hanno
immolato la loro vita sull’altare dell’amore” permea tutto il volume di
sublime pietas, incancellabili memorie, speranze, umana civiltà e
inciviltà che, pur fra le stridenti ambiguità contemporanee, restano
incancellabili nell’anima. Una Musa, quella di Pardini che freme, soffre,
sboccia nei giardini del reale per decollare verso arditi approdi dove
convertire, forse, in gaudio le lacrime.
Non saprei
dire quale dei componimenti sia il migliore: tutti possiedono una nobile orma
di purezza, schietta ispirazione, liricità, raffinato labor limae,
impronta che sanno dare alla proprie opere soltanto i grandi scrittori e gli
spiriti capaci di risalire dal crudo materialismo verso gli alti cieli degli
ideali. E che siano ricordi di guerra sulla strada, in trincea, miti oppure
fragranti giornate di luce in una rinascente campagna, o ancora piane azzannate
vicino al mare, ombrelli di carta, barche di fuscello salpate da “coste
opposte” verso il sogno di una “terra di pane e lavoro”, tuttavia un
“raggio scampato alla sera” non si piegherà “agli artigli dell’ora”.
Sono immagini
che sottendono inquietudini e raccontano l’ansia del proprio e dell’altrui
diverso destino con densa spiritualità, libertà ed eroica meditazione:
solitario privilegio dei poeti, semmai “in uno spazio vasto in mezzo ai
platani” di una campagna profumata di terra e mare “tra il
chiarore di lame / che vanno all’infinito” e respirano “aria d’eterno”.
La caducità
dell’essere nel dualismo del “cemento che guasta la collina” fra i “detriti
dell’ingordigia umana” e “quei giochi del tramonto sopra il campo”
s’incarna nella materialità di parole dense di pathos, raffinatezza
intellettuale ed esperienza etica.
Il poeta
condivide luci e ombre dell’umana sorte e dei suoi misteri nel vasto universo
senza mai perdere la percezione di un originario, incontaminato stupore.
Se, come
afferma Eraclito, “l'armonia delle cose sta proprio nel perenne mutamento
generato dal polemos tra gli opposti, così
le “Dicotomie” di Nazario Pardini celebrano la meraviglia di
un'empatia emotiva che illumina ogni opacità del cuore. E nell’intimo tormento
di un consapevole tragitto terreno, quando più forte si fa il bisogno di
confortarsi dai colpi improvvisi dell’esistenza e di proteggersi dal freddo
delle bare, “in qualche luogo… l’alba nasce… là dove il gelo non arriva mai”.
Daniela
Quieti
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