Stefano
Iori, Lascia la tua terra. Sinfonia del congedo, Fara Editore, Rimini, 2017,
pag. 80, € 9,00
Una sinfonia wagneriana che, sfiorando con le sue note tutti gli abbrivi
esistenziali, termina con un crescendo di memoria pucciniana; cinque i tempi
della sinfonia: Del morire, Nel nulla,
Dubbi, Stupore, Oltre. Si suona percorrendo ogni stadio del pensiero
terreno con lo studio analitico dell’anima. E si sa che con la musica si raggiungono
vette di celestiale levatura. Basta saper ascoltare, saper leggere, sapere
impiegare la spiritualità che è in noi; quella parte che ci eleva all’oltre
attraverso le magagne della vita e tutti quei dubbi che ci rendono mortali.
Lascia
la tua terra. Sinfonia del congedo. Questo il titolo della
plaquette, che con un andamento diacronico, con un climax ispirativo allunga lo
sguardo nei reconditi più profondi dell’ego. “Il titolo… è citazione del
comandamento divino ad Avrahàm che appare nel libro della Genesi (12, 1)”, come
scrive l’autore nella nota introduttiva.
Un nostos, un viaggio, un percorso in cerca di una verità da conquistare attraverso meditazioni
e soluzioni di sapore epigrammatico. E viaggiare rientra nelle corde umane; andare oltre, oltre i
confini, al di là delle nostre miserie, oltre quegli orizzonti che delimitano
la nostra identità. L’autore affronta il suo iter scavando nelle sue recondite fioriture intime, e si sa che
ognuno di noi, dal momento che intraprende una tale ricerca, va incontro a
dubbi e perplessità che lo fanno umanamente precario; umanamente fragile di fronte ad un tutto che
lo condiziona. Ma il viaggio continua, senza reminiscenze, senza sobbalzi
memoriali, perché sulla barca che frange le onde non c’è posto per una zavorra
che ne rallenterebbe la navigazione. Quello che conta è mirare al futuro,
guardare lontano, oltre i limiti che ci condizionano, convinti che la morte stessa sia una tappa di
resurrezione:
“C’è
un disegno nel morire”. “La morte intreccia/ l’osceno ricamo/ di segreti
fasulli/ tessuto che veste/ la foga di esistere/ in oblio d’anima”. “Grazie alla morte/ la vita si disegna”. Passando
dal nero del nulla, quante volte ci poniamo interrogativi senza risposte;
questioni che il più delle volte lasciano in sospeso i nostri perché. Ma nei
versi del poeta sembra che il nulla risplenda: “E crepa l’amore/ s’annulla si
scioglie/ nel buio infinito/ il nulla
risplende”, un boato di silenzio che frastuona. “Ai margini del nulla/ cieco sta un lume spento/ nella
tenebra smagliante”. Un lume che deve
essere acceso per conquistare attraverso il dubbio la potenza dello stupore;
per ascendere dalla precarietà del nostro esserci alla voce della verità:
Rimarrà ancora
e forse sempre
uno stretto sentiero
Non so
chi lo percorrerà
e con
quale passo
Io forse
se solo potrò udire
pur lieve
un palpito di verità.
L’opera
si conclude con “Sintonia del congedo”, dove la stessa sinfonia per il poeta
sta in mezzo fra inizio e fine: “Morte si oppone a nascita”. “Solo nel congedo/ lo spartito si disegna/ Il
dovuto il donato il rubato/ Di là da sé sboccia lo stupore”.
Un
processo verbale di urgente resa ontologica, dove il verso, con tutta la sua
varietà metrica, dà sostanza e colore ad un’anima ricca di pathos; di energica
risoluzione introspettiva; un processo che spesso noi facciamo nostro nel travagliato
corso della vita.
Nazario
Pardini
Nessun commento:
Posta un commento