Pubblico di nuovo questa mia intervista dacché un collaboratore di Lèucade (Emanuele Aloisi) mi ha chiesto quale sia il mio pensiero poetico. E in queste risposte credo ci sia contemplato a 360 gradi.
INTERVISTA DI LILIANA PORRO ANDRIUOLI A NAZARIO PARDINI PUBBLICATA SU
POMEZIA NOTIZIE, SU LEUCADE, SU ALTRE RIVISTE LETTERARIE E SU VARI BLOG
Hai alle spalle un lungo iter poetico, che ha dato
luogo a più di venti libri di poesia; qual è la linea che ti ha sorretto e che
hai seguita negli anni?
Posso parlare di
evoluzione della mia linea, ma non certo di stravolgimento. Di sicuro,
misurando la cifra poetica dei primi volumi - Foglie di campo. Aghi di
pino. Scaglie di mare, L’ultimo respiro dei gerani, Il fatto di esistere,
Elegia per Lidia, Gli spazi ristretti del soggiorno, La cenere calda dei falò,
Suoni di luci ed ombre,… - con le ultime produzioni, penso che da un
verso libero, pur tendente sempre alla musicalità (uno dei principi cardini
della mia poetica), mi sia sempre più orientato verso una struttura classica,
in cui il mito, fortemente umanizzato ed attualizzato, ha sempre giocato un
ruolo determinante nel processo ispirativo che mi riguarda. Il mito come
simbologia degli intrighi delle vicissitudini umane. Mito come ipostasi della
vita. Anche se la ricerca di un equilibrio classico fra figurazioni
significanti e abbrivi emotivi è sempre stata nelle mie corde; magari su
un tessuto più narratologico con impiego di endecasillabi spezzati a centro
verso e inanellati da ripetuti enjambements a evitare il rischio di una lettura
cantilenante a cui si va incontro con quel metro. I contenuti sono sempre stati
più o meno gli stessi: meditazione, memoriale, panismo simbolico, input
emotivo-esistenziali sui perché dell’essere e dell’esistere, coscienza della
caducità del luogo e del tempo, immaginazione, azzardi iperbolici oltre
il limen in cui siamo racchiusi, eros e thanatos, inquietudine e saudade,
realismo lirico. Sì, il rapporto con la morte mi ha sempre coinvolto in maniera
misterica e inquietante. Ma su tutto una grande simbiotica fusione con la
natura, quella dei miei posti, quella che contiene tutte le mie primavere,
vista come decantazione e concretizzazione dei miei stati d’animo. Sentimento,
però, traslato in oggettivanti motivazioni. Penso che quest’ultimo sia il filo
conduttore che determina, in qualche maniera, l’organicità delle mie opere con
una evidente icastica presenza. Una cosa è sicura. Ho sempre creduto nel
sentimento e in una poesia nata da forti subbugli emotivi, controllati però da
argini ben solidi di ricerca verbale e stilistica. Non credo ad una poesia
intoccabile, ma in un lavoro continuo di limatura della parola e dei suoi
nessi. E che alla base del canto ci siano proprio le emozioni,
senza ordine, libere, sbrigliate così come nascono, senza bisogno né di limiti
né di restrizioni. Semmai è la ragione agli antipodi della poesia. È essa che
toglie spazio all’immaginazione e che cerca di limitare e frenare le
cospirazioni di un cuore e di un’anima vòlti oltre gli spazi delle
ristrettezze umane.
2 Fai parte di
numerose giurie di premi letterari qualificati: cosa puoi dirci di questa tua
esperienza ? La ritieni ancora oggi utile per le sorti della poesia?
Ci sono valanghe di
premi, ed ogni giorno ne nascono di nuovi. Quello che hanno di positivo è che
invogliano i poeti a scrivere, a misurarsi, a lavorare, a studiare, anche la
metrica, a leggere, e a conoscere per un continuo viaggio odisseico. Bisogna
però che alla base del tutto ci sia il rispetto per questi scrittori; lo
chiedono con la loro partecipazione; i componenti di giurie devono mettersi nel
capo di leggere seriamente i lavori, di valutarne con competenza il valore
semantico-allusivo e compositivo. In questo sta il rispetto. Sotto questo punto
di vista è una esperienza utile anche per gli stessi giurati, sia umana che
socio-culturale. Hanno la possibilità di venire a contatto con le più svariate
forme di scrittura e leggendo le molteplici espressioni, dalle più semplici
alle più complesse, ne ricevono importanti contaminazioni, motivo di ulteriori
riflessioni e approfondimenti stilistici e innovativi. La poesia non può
restare isolata, chiusa in un mondo a parte. I premi dànno luogo ad incontri, a
confronti, e credo che tutto ciò significhi crescita, soprattutto parènesi ad
approfondire e studiare. Solo conoscendo le regole si è in grado di
destrutturarle. Anche se la scintilla iniziale del poièin è un misterioso
dilemma. La dobbiamo avere innata in noi, forse; poi, certamente, la si deve
affinare con tanto lavoro.
3 La tua è una poesia
di stampo classico, dai ritmi ampi e distesi: quale importanza attribuisci al
rapporto col passato e in particolare con quello greco-romano?
Senza passato non c’è
futuro. Non si deve escludere niente, ma bisogna dare continuità e consistenza
al nostro bagaglio culturale. Dacché sarà quel bagaglio con il suo peso
etimo-fonico e memonico a costituire la plurivocità del canto, il nerbo
sostanziale del dire artistico. La Poesia con la “P” maiuscola non ha tempo, un
canto di Saffo è tanto Bello quanto un idillio del Leopardi, o una poesia di
Montale. E credo che la lirica dei poeti prepericlei sia alla base di tutta la
cultura estetica occidentale. Dico di un Alceo, di un Anacreonte, di un
Alcmane, di uno Stesìcoro, di un Ibico, Saffo… Senza dimenticare,
naturalmente, la grande schiera di poeti, oratori, e storici della letteratura
greco-latina, come Eschilo, Sofocle, Euripide, Esiodo, Catullo,
Cicerone,Virgilio, Tibullo, Orazio. Apprezzarne le odi, le elegie, i poemi, le
orazioni, i drammi o altro; leggerli e rileggerli, meditare e riflettere sulla
forma e i contenuti, significa vedervi quella modernità che, poi, si ripete nel
tempo: si tratta sempre del rapporto dell’uomo con la morte, con l’amore, con
la vita. Del rapporto dell’uomo con se stesso e con il mondo che lo circonda.
Cambiano i mulini ma i venti sono sempre gli stessi. Dum loquimur fugerit
invida aetas: l’uomo ha sempre sofferto della sua posizione scomoda di fronte
all’infinito e proprio nel tentativo di elevarsi alle vette che più si
avvicinano all’inarrivabile sta il nocciolo della vera poesia. Si sente se in
un canto c’è la misura e la cognizione della parola; si percepisce da subito se
questa assolve alla funzione di abbracciare le motivazioni dell’anima; quel bagaglio
creativo che ti prende per mano fino ad affiancare il tuo sentire. La missione
della parola è difficile e cosa dura. Ci possono essere grandi emozioni, ma se
il dizionario è scalzo, se lo studio deficitario, si il n’y a pas de
connaissance, per dirla alla francese, viene meno quello che è il nerbo del
“poema”: quell’equilibrio desanctisiano fra dire e sentire,
indispensabile paradigma di ogni attività estetica.
4 La musica del verso
è propria della tua poesia: quale rapporto c’è a tuo parere fra poesia e musica
che sono arti sorelle?
I principi basilari di
una buona resa poetica sono la musicalità, il sentimento, l’immaginazione, il
memoriale, e il panismo simbolico, che dà corpo agli input emotivi. Non c’è
poesia in un verso che stride all’orecchio e all’anima. La musica è nata con
l’uomo che, fin dagli albori, ha mosso i primi passi ad un ritmo in lui innato.
L’ha fatto inventando strumenti primordiali, battendo ossa di animali su pietre
o legni essiccati; è stata quella sonorità, quell’armonia di cui ebbe ed avrà
sempre bisogno a farlo umano. Chi tradisce questa sinfonia tradisce ogni forma
di attività artistica. Il verso non si può permettere di andare a capo a
piacimento. O di copiare la realtà così com’è. La creatività sta tutta nella
rivisitazione che la traduce in immagine.
5 In generale la rivoluzione del novecento è quella di aver
capito che la vera poesia è più legata alla tradizione che alle finalità che
aveva sperimentate. Il poeta, gira gira, ha ripescato, dopo sperdimenti di
carattere parainnovativo, la normalità, il vero valore del canto;
quell’equilibrio di cui abbiamo parlato, alla base del quale c’è tutta
l’urgenza schietta e sincera di un aveu con cui ogni autore sente il bisogno di
liberare la sua intima vicissitudine. Per cui non vedo grandi rivoluzioni nel
secolo in oggetto, sennonché quella di ricredersi.
6 Qual è secondo te il
rapporto tra arte e sentimento, tra ragione e emozione?
L’arte vive di
sentimento, di impulsi emotivi, di voli oltre gli orizzonti che ci limitano. È
umano, fortemente umano ambire all’eccelso, e non lo si può fare certamente con
la ragione, dato che la razionalità frena questi azzardi emozionali. Si può
dire che la ragione ha il potere di aiutare a far confluire questa interiorità
entro canali dagli argini ben robusti a che non cada in sentimentalismo
eccessivo, che creerebbe squilibrio nella produzione artistica.
7 Qual valore ha per
te il “correlativo oggettivo” di stampo eliotiano? Ritieni che esso trovi posto
nella tua poesia?
Credo di avere già
risposto a sufficienza a questa domanda. Comunque non sono del tutto d’accordo
con la teoria estetica eliotiana. Le figure retoriche servono per creare certe
punte creative, certi slanci poetici, certi azzardi iperbolici, ma non devono
arrivare alla totale spersonalizzazione dell’autore. Condanno questo
trasferimento dell’ego in un oggettivismo neutro. A volte sentiamo il bisogno
di scrivere in prima persona e di farlo quando, nei momenti di intenso lirismo,
ci sentiamo presi in modo strettamente personale e autobiografico. Il tutto,
poi, sta nell’essere semplici. Nel raggiungere il maggior grado possibile di
semplicità nell’esporre la complessità del nostro sentire.
8 Quali sono i poeti
italiani che preferisci? E quali gli stranieri?
Naturalmente Dante e Leopardi. Quindi Umberto Saba,
Dino Campana, Vincenzo Cardarelli, Leonardo Sinisgalli, Guido Gozzano. Fra gli
stranieri Baudelaire, i poeti maledetti, John Keats, Philip Larkin, Thomas Gray, Pablo Neruda, Ezra Pound, Paul Valéry, André Gide.
9 Dove va secondo te
la poesia?
Per
quanto mi riguarda non esiterei a sottoscrivere la poetica di un manifesto che
rifiuti, con tutto il suo potere critico, il materialismo, il consumismo, la
globalizzazione, l’industrializzazione, il condizionamento ad un comportamento
omologante, il telecomandismo. Tutto a favore di un tipo di convivenza drogata
di schopping e infarcita di disvalori a cui si contrappone un postmodernismo
con una visione completamente opposta a quella conservatrice. Opposta ad un
mondo in cui l’industrializzazione e l’omologazione al consumismo hanno creato
una società piatta, condizionata e senza spinte creative che affonda le radici nell’Illuminismo;
in tutta la cultura ottocentesca del pensiero modernista che riconosce
un'importanza suprema a ideali come la razionalità, l'oggettività,
il positivismo ed
il realismo.
Ora ci si interroga sulla veridicità di tali ideali.
D’altro
lato non sottoscriverei di sicuro una poetica che volesse ingabbiare la poesia
nella rete di un mero realismo spersonalizzato e senza anima; nell’oggettivismo
più crudo, vòlto solo ai problemi della questione sociale. Si tratterebbe di
una poesia condizionata, a senso unico. Di una poesia che si fa ancella di una
questione, pur giusta, limitante, restrittiva per la resa creativa. La poesia
richiede libertà, pluralità, totalità; ed ogni argomento è adatto a nutrirla,
purché filtrato da un sentire che possa essere trasferito in arte. E credo che
vadano evitati gli eccessi sia da parte di chi vuole rinnovare che di chi vuole
conservare. Però una cosa è certa: il futuro ha sempre avuto bisogno della
storia per crescere. Come è certo che in gran parte di ogni produzione
artistica, quello che conta è la generosità emotiva del singolo. La sua
energia immaginifico-intellettiva. Si può fare poesia ispirandoci all’ambiente
in cui viviamo; digerendone le contaminazioni; traducendole in esperienze
personali che si possono trasformare agevolmente in memoriale-serbatoio per il
nostro dire. E credo che il verso debba essere movimentato da quel senso di
musicalità baudelairana che ha influenzato gran parte della poesia
contemporanea. Musicalità che chiede e detta; e che non permette al verso di
andare a capo a piacimento. D’altronde col tardomodernismo c’è il pericolo di
cadere in un oggettivismo invasivo che rischia di riprodurre le stesse
limitazioni estetiche della società dei consumi. Senza contare che taluni
sostengono che la stessa postmodernità sia già finita, dacché definiscono
l'attuale periodo come post-postmoderno (Alan Kirby, nel saggio The Death of Postmodernism, and
Beyond, definisce la cultura odierna "pseudo-modernismo").
Quindi dove andrà
questa benedetta antica arte? La poesia è immortale, o perlomeno durerà quanto
l’uomo. I poeti non fanno niente e non servono a niente, ma la loro poesia, pur
non essendo utile, è un mezzo tramite il quale possono staccarsi da terra e
respirare uno sprazzo di cielo. Di quel cielo o di quell’azzurro di cui sentono
un forte bisogno senza spiegarsi il perché. E prende sempre più corpo
quanto più l’uomo si divide dallo spirito. Perché è lei a richiamarlo alla
funzione di anima eletta.
10 Hai in cantiere
nuovi libri? Quali progetti hai per il futuro?
Ho una silloge che
penso di pubblicare il prossimo anno. Contiene una ventina di poemetti in
endecasillabi; endecasillabi sperimentali, di ampio respiro narrativo. Il
titolo: “Poemetti onirici”.
11 Si delinea qualcosa
di nuovo, a tuo parere, nella poesia del terzo millennio?
Credo che la poesia
seguirà immancabilmente le vicende che sempre ha vissuto: vale a dire le
contrapposizioni fra schieramenti: minimalismo, esistenzialismo, poesia civile,
materialismo naturalistico, misticismo spiritualistico, classicismo,
post-post-modernismo, e chi più ne ha più ne metta. Ma sono convinto, anche,
che, dalla dialettica dei contrapposti, sortirà come vincitrice della
contesa, e me lo auguro, la Poesia.
12 Pensi che la misura
del poemetto andrà affermandosi su quella del frammento, che è stato tipico
della poesia novecentesca?
In verità penso che il
poemetto prenderà sempre più piede. Dacché offre maggiore possibilità di
narrare, di raccontare, di trasferire sul foglio l’anima a tutto tondo. È meno
criptico è più espanso, più disponibile ad accogliere una narrazione poetica.
Visto il bisogno che l’uomo sente sempre più impellente di raccontarsi.
Perlomeno è quello che io sto provando con le mie ultime esperienze.
È una gioia rileggere questo tuo "Credo", carissimo Nazario. Grazie!
RispondiEliminaMi associo alle tue parole, al senso di ciò che affermi e mi commuovo. Lo sento ardere dentro di me questo Credo, che si staglia alto su tutte le contese, sulla poca umanità, sui tanti stili.... mi ci specchio e, con Te, brindo al sortire "come vincitrice della contesa, la Poesia". Auguri per tutto ciò che hai in programma.
Ti abbraccio con affetto e ti auguro Buona Pasqua.
Sonia Giovannetti
Grazie, carissima Sonia, per la tua vicinanza...
RispondiEliminaNazario
Rileggendo quest’intervista, torno con il pensiero a quelle lunghe chiacchierate telefoniche nelle quali a lungo abbiamo discusso, caro Nazario, su essenza, modi e forme della poesia, ed anche sul panorama letterario e poetico odierno, così frantumato, incerto nei confini, aleatorio negli esiti.
RispondiEliminaDella tua dichiarazione di poetica, della tua idea della poesia sono sempre stato perfettamente consapevole e compartecipe. Condivido e mangio il tuo pane poetico che è anche il mio e che rafforza la nostra amicizia e la comune visione dell’arte. Quando vedo certi avventurieri della penna, privi di voce e di canto, violentare la poesia con presuntuosi e supponenti sperimentalismi di facciata o con avventurismi pressappochistici, con lezî, con sofisticazioni, contraffazioni o improbabili conati, mi vien voglia di gridare: Via i mercanti dal tempio!
Perciò, ancora una volta, mi compiaccio con te, caro Nazario, per la tua saggezza, il tuo acume, la tua competenza; per la tua scelta di campo, antica come la mia. Sempre dalla parte della poesia, quella vera. Hic manebimus optime.
Pasquale Balestriere
Caro Pasquale,
RispondiEliminail tuo commento è per me un grande nutrimento culturale e umano. Sì, è vero! Quante volte abbiamo parlato per telefono dell'idea di arte, di poesia, di critica, di vita, di sana agricoltura che ti fa sempre più forte. Ed io sono felice di condividere con te quei tanti pensieri che rafforzano la nostra fraterna amicizia; sulla poesia non si scherza, abbiamo detto più di una volta; è una cosa seria che richiede lavoro, dedizione e intima rielaborazione; tutto deve passare dall'anima per esserne verniciato; la stessa realtà solo dopo una lunga decantazione raggiunge il serbatoio a cui attingere per la melodia del canto. Ti ringrazio, caro amico, di questo tuo saggio e sentito intervento.
Nazario
Credo fermamente, ma è la mia opinione, che il mistero di questa intervista, come della poesia di Pardini, stia soprattutto nella grandezza dell'umiltà: un dono raro, divino, lo stesso che ha spinto un Dio, e l'umano del suo corpo, a sbattere fuori dal tempio...i possessori delle leggi. Emanuele Aloisi
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