lunedì 5 marzo 2018

AURORA DE LUCA LEGGE: "VELE DI PIETRA" DI G. ANIELLO



Aurora De Luca,
collaboratrice di Lèucade

 Giovanni ANIELLO, Vele di Pietra, Edizioni Tracce, Pescara, 2004

‘M’incanta dietro un angolo di buio  
la giostra sofferente della vita’ (Sera, p.18).


Poesia di assonanze e respiri brevi. Da potersi pronunciare con un solo fiato, pacato e nel contempo tanto profondo da scendere fin dentro il petto. Luoghi appartati posti a mezza strada tra l’alto e l’abisso, da cui giunge il suono di questa poesia, come un vento che alle volte fa raffica alle altre si placa, dimesso e attutito. Ogni parola è in una catena armonica con quella che la segue, tanto semplice e bella da creare un susseguirsi di immagini e di ambientazioni differenti e contrastanti: reali ed oniriche, nitide e opache, tangibili e umorali, come in Oggi (p.13), il cui percorso si snoda dal mare al mercato, dal blu al dolore.
Denso e allegorico lo stile, avente insito un ritmo che conduce il lettore all’interno del significato, all’interno dell’atmosfera, prima ancora che nella parola; e la parola è asciutta, pulita, nuda, per nulla appesantita da lirismi barocchi, scivola come nebbia e sale come incenso.
Scrive, nella così mirata e disvelante prefazione, il grande poeta Renato Filippelli «[...]Aniello ha, nativo, il senso della misura: conosce la linea che la sua poetica non deve sorpassare, se intende sfuggire al rischio del sublime rovesciato, che è poi una specie di retorica in maniche di camicia. E così il suo dettato è semplice, ma non trasandato; è musicale, ma non volgarmente canoro; ha spunti di riflessione, ma niente concede all’aridità di certo argomentare “filosofico”; ama stare in penombra, ma solo perché disdegna, per amore di equilibrio, tanto la luce accecante quanto l’oscurità fonda; si ispira al male di vivere ma senza declamazioni e senza lamentazioni. Un crepuscolare sui generis, dunque [...]».
Aniello si pone nel mezzo del turbamento, che si propaga non come uno scoppio violento ma, citando nuovamente Filippelli, come un ‘tremore spirituale, come una sorta di accortezza, di dolenzia di fronte alla labilità della vita’.
Rotte senza ritorno, noi come vele di pietra dispiegate nel tempo che si sfrangia e ci disperde, un grande buco affamato che ci ingoia: in questo tentativo di ‘raccattare l’esistenza’ il poeta-uomo si porta spesso al mare, di fronte al quale i piani della vita soltanto ondeggiano e le fobie, le paure, certi desideri, smettono di far rumore e, per un attimo, di fare male. Un mare rivelatore, che abbraccia e si adatta al fragore interiore, sovrastandolo con un suono bianco “L’odore sonoro del mare / dilata alla mente i confini, / rimuove da abissi profondi / frammenti d’amari ricordi / che schiantano l’onde alla riva / dell’arido tempo presente/. Sto come corroso dal tempo / un tronco sull’umida spiaggia (Odore di
mare, p.20)». Echi ungarettiani di fugacità e asprezze montaliane, come pure nota Filippelli, s’inseriscono nella poetica del pianissimo, che può rendere il dolore assai più assordante, esattamente come lo è uno sparo nel silenzio:

Squarciò la folla il tuo viso e fu luce
alla mente instristita
come valli d’autunno;
ma oggi è croce confitta nel cuore,
la pena segreta
che macera i giorni. (Luce e pena, p.47)

Quotidianità che oscilla tra ‘speranze morte’ e ‘stagioni del risveglio’; è sempre al confine, in zone di mezza luce (vedi Alba, p.35: aroma di caffè e gelo del mattino): il sole di marzo (come in Mattino di Marzo, p.26) trafigge i vetri al mattino e allora i sensi debbono stare all’erta per discernere le voci, i suoni, per recepire una vita che amiamo e che rendiamo nostra nemica:

Funamboli senza futuro
mastichiamo pensieri
come tele di ragno.
Narcisi in nidi d’ovatta
specchiati alle fobie
ci distrugge intentata
la vita. (Funamboli, p.28)

Aurora De Luca

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