Aurora De Luca, collaboratrice di Lèucade |
‘M’incanta
dietro un angolo di buio
la giostra sofferente della vita’ (Sera,
p.18).
Poesia
di assonanze e respiri brevi. Da potersi pronunciare con un solo fiato, pacato
e nel contempo tanto profondo da scendere fin dentro il petto. Luoghi appartati
posti a mezza strada tra l’alto e l’abisso, da cui giunge il suono di questa
poesia, come un vento che alle volte fa raffica alle altre si placa, dimesso e
attutito. Ogni parola è in una catena armonica con quella che la segue, tanto
semplice e bella da creare un susseguirsi di immagini e di ambientazioni
differenti e contrastanti: reali ed oniriche, nitide e opache, tangibili e
umorali, come in Oggi (p.13), il cui percorso si snoda dal mare al
mercato, dal blu al dolore.
Denso
e allegorico lo stile, avente insito un ritmo che conduce il lettore
all’interno del significato, all’interno dell’atmosfera, prima ancora che nella
parola; e la parola è asciutta, pulita, nuda, per nulla appesantita da lirismi
barocchi, scivola come nebbia e sale come incenso.
Scrive,
nella così mirata e disvelante prefazione, il grande poeta Renato Filippelli «[...]Aniello
ha, nativo, il senso della misura: conosce la linea che la sua poetica non deve
sorpassare, se intende sfuggire al rischio del sublime rovesciato, che è poi
una specie di retorica in maniche di camicia. E così il suo dettato è semplice,
ma non trasandato; è musicale, ma non volgarmente canoro; ha spunti di
riflessione, ma niente concede all’aridità di certo argomentare “filosofico”;
ama stare in penombra, ma solo perché disdegna, per amore di equilibrio, tanto
la luce accecante quanto l’oscurità fonda; si ispira al male di vivere ma senza
declamazioni e senza lamentazioni. Un crepuscolare sui generis, dunque
[...]».
Aniello
si pone nel mezzo del turbamento, che si propaga non come uno scoppio
violento ma, citando nuovamente Filippelli, come un ‘tremore spirituale,
come una sorta di accortezza, di dolenzia di fronte alla labilità della vita’.
Rotte
senza ritorno, noi come vele di pietra dispiegate nel tempo che si sfrangia
e ci disperde, un grande buco affamato che ci ingoia: in questo tentativo
di ‘raccattare l’esistenza’ il poeta-uomo si porta spesso al mare, di fronte al
quale i piani della vita soltanto ondeggiano e le fobie, le paure, certi
desideri, smettono di far rumore e, per un attimo, di fare male. Un mare
rivelatore, che abbraccia e si adatta al fragore interiore, sovrastandolo con
un suono bianco “L’odore sonoro del mare / dilata alla mente i confini, /
rimuove da abissi profondi / frammenti d’amari ricordi / che schiantano l’onde
alla riva / dell’arido tempo presente/. Sto come corroso dal tempo / un tronco
sull’umida spiaggia (Odore di
mare,
p.20)». Echi ungarettiani di fugacità e asprezze montaliane, come pure nota
Filippelli, s’inseriscono nella poetica del pianissimo, che può rendere
il dolore assai più assordante, esattamente come lo è uno sparo nel silenzio:
Squarciò
la folla il tuo viso e fu luce
alla
mente instristita
come
valli d’autunno;
ma
oggi è croce confitta nel cuore,
la
pena segreta
che
macera i giorni. (Luce
e pena, p.47)
Quotidianità
che oscilla tra ‘speranze morte’ e ‘stagioni del risveglio’; è sempre al
confine, in zone di mezza luce (vedi Alba, p.35: aroma di caffè e gelo
del mattino): il sole di marzo (come in Mattino di Marzo, p.26) trafigge
i vetri al mattino e allora i sensi debbono stare all’erta per discernere le
voci, i suoni, per recepire una vita che amiamo e che rendiamo nostra nemica:
Funamboli
senza futuro
mastichiamo
pensieri
come
tele di ragno.
Narcisi
in nidi d’ovatta
specchiati
alle fobie
ci
distrugge intentata
la
vita. (Funamboli,
p.28)
Aurora De Luca
Nessun commento:
Posta un commento