Il saggio di Maria Grazia Ferraris dal titolo "Dino Campana e l'Olfismo", pubblicato su Lèucade venerdi 2/3/2018, verrà tolto entro il 14/3/2018 perché, secondo quanto emergerebbe dall'allegato che segue, gran parte dello stesso saggio sarebbe stata ricavata dallo scritto di Pasquale Balestriere pubblicato su Lèucade il 3/6/2014.
Attendiamo una risposta da parte di M. G. Ferraris per procedere entro la data fissata (14/3/2018).
PUNTUALE E' ARRIVATA LA RISPOSTA DELLA NOSTRA GENEROSA COLLABORATRICE DI CUI OBIETTIVAMENTE NESSUNO HA MAI MESSO IN DUBBIO LA LIMPIDA PROFESSIONALITA'. PURTUTTAVIA, NELL'INTERESSE DELLA QUALITA' DEL BLOG, CONQUISTATA IN ANNI DI LAVORO DA TUTTI NOI COLLABORATORI, E A CUI SIAMO PROFONDAMENTE AFFEZIONATI, HO RITENUTO DOVEROSO UN CHIARIMENTO IN MERITO.
Caro Nazario,
Togli pure il pezzo. M. Grazia
La mia risposta è questa
"Sono altamente meravigliata
della scelta operata da Leucade circa la rimozione del mio contributo su Dino
Campana.
Certamente ho letto quanto a suo
tempo ha scritto P. Balestriere su Lèucade il 3/6/2014: sono una
collaboratrice, ed anche attenta, di Leucade! E a suo tempo ho commentato con
altri, anche con una nota, credo molto ammirativa, essendo l’intervento originale,
incentrato sull’orfismo di Dino Campana, con ampie e interessanti spiegazioni
sul tema orfismo, di cui Balestriere è conoscitore e specialista
In questo si qualifica il suo bell’
articolo.
Il mio si articola più
semplicemente sulla scelta del titolo, alla luce di alcune note di studiosi
locali, e non ha nessuna pretesa di mettere in discussione le dotte e
articolate conoscenze di altri.
Mi si contesta l’utilizzo di alcune
notizie: BIOGRAFICHE, le notizie sulla stampa faticosa dei Canti orfici , a
Marradi, seconda stesura di Il più lungo giorno (notizia che certamente non è
una conoscenza personale né privata di Balestriere, e da lui solo rivelata, ma
compare ormai in tutti i libri di letteratura), le CONOSCENZE DEI CRITICI,
anche queste segnalate in ogni volume anche di storia letteraria liceale, e le
sue ascendenze culturali, segnalate in ogni intervento sul poeta, e il fatto
che D. Campana non ha avuto finora veri CONTINUATORI ( notizia ovvia e
risaputa).
Mi dispiace: l’unica notizia che
dovevo dare e non ho dato, e di questo chiedo scusa, è che su Leucade
l’intervento sull’orfismo è stato pubblicato a suo tempo con l’autorevole firma
di Balestriere, e ho omesso il virgolettato, ed ho preferito invece
privilegiare l’articolo comparso su La biblioteca di via Senato a firma di
Stefano Drei circa l’origine del titolo e la presentazione di M. Marchi su
Campana su Q.N., con relativi commenti dei lettori.
A mio parere questo mio modo di
procedere è un itinerario di lettura, un modo di fare critica letteraria non
specialistica ( quindi senza note, bibliografia e citazioni ) adatte a un blog
o a giornali di divulgazione e le notizie riferite copia di universale
conoscenza. Non ho altro da dire, solo le mie scuse a N. Pardini, titolare di
LEUCADE per il disturbo.
SCRITTO IN CUI Balestriere mette in evidenza i punti che riguardano il caso
Poeta molto
citato, ma per lo più dimenticato: scriveva S. Vassalli che lo ha molto amato e
studiato sulla sua vicenda biografica: “Ogni ricordo si perde nel volger di
pochi anni, al massimo di qualche decennio; le guerre e l’incuria dei vivi
distruggono registri, archivi, documenti...- e sconsolato conclude-…Una panca,
un tappeto possono durare per secoli: il ricordo di un uomo no. Come sta
scritto nel libro: < Un infinito vuoto. Un infinito niente. Tutto è vuoto
niente.>”. L’ interesse, quando c’è, scaturisce per lo più dalla vita
“maledetta” del poeta o dal film Un
viaggio chiamato amore del 2002, in cui viene riproposta la sua storia
d’amore folle con Sibilla Aleramo.
DINO CAMPANA (Marradi 1885 - Castelpulci 1932) ebbe
un’esistenza vagabonda e travagliatissima. Una grave forma di psicopatia,
manifestatasi vero i 15 anni, fu compagna
indesiderata della sua vita. Nel
1913 aveva già scritto i Canti Orfici, unica sua opera della quale lo
stesso Ardengo Soffici non comprese il valore, ne smarrì infatti
il
manoscritto, purtroppo
in unico esemplare, disavventura che costrinse il Campana a ricostruire
mnemonicamente la raccolta. Dino sperava invece nell’aiuto
di Soffici e della redazione di Lacerba e di
Papini, che per primo aveva avuto tra le mani l’opera per la
pubblicazione dei suoi versi!
Così i Canti Orfici vennero stampati nel 1914,
a spese dell’autore, presso il modesto editore (o tipografo) Ravagli di
Marradi. Una stampa che nondimeno offre una
copertina la quale suggerisce
interessanti ipotesi e accostamenti
per la scelta tipografica dei caratteri ( Columbus) i quali si ritrovano con sorpresa riprodotti nell’insegna – ritrovata oggi- del caffè Orfeo di Faenza, frequentato dal
poeta, come ci testimoniano le pagine del suo Taccuinetto faentino.
I primi studiosi ad interessarsi
di quest’opera furono i critici militanti di quel periodo: Giuseppe De
Robertis, Emilio Cecchi, Giovanni Boine. Poi, nel corso del tempo, hanno
scritto di Campana biografi, esegeti, poeti, narratori
: da
Mario Luzi a Giorgio Bàrberi Squarotti, da Carlo Bo a Franco Fortini, da
Antonio Tabucchi a Sebastiano Vassalli, da Gianfranco Contini a Eugenio
Montale, da Gianni Turchetta a Luciano Anceschi, ….con sottolineature
divergenti.
Il titolo ha
destato molte congetture.
Il titolo originario della raccolta manoscritta era
infatti “Il più lungo giorno“(ritrovata nel 1971 nelle carte di Soffici) nella sua casa di Poggio a Caiano. Come diventò Canti Orfici? In
realtà l’orfismo fu storicamente un culto misterico che non ebbe
grande diffusione e si collegava in qualche modo al mitico Orfeo, poeta,
vate e citaredo e non sembra essere di stretta
pertinenza con la inquieta poesia di Campana (se non per richiami a Nietzsche). Campana
sembra interessato alla ricerca del mistero della vita incompresensibile alla
sua mente allucinata, visionaria, con improvvise folgorazioni e il
suo mondo lirico non sarebbe rettamente interpretato senza certe mediazioni
dannunziane e romantiche o senza la lezione poetica e morale carducciana: la cosiddetta vera “follia” di Campana è del
resto un segno integro del disagio e del male di vivere dei poeti “maledetti”.
Dino Campana non è estraneo alle suggestioni di Baudelaire e di Rimbaud, soprattutto
in “Viaggio a Montevideo” e in “Chimera”.
Diceva dei
suoi versi: "Sono note musicali; - Sono stati di fantasia. - Sono
colorismi più che altro. - Sono un effetto di colori e di armonia: un'armonia
di colori e di assonanze. - Cercavo di armonizzare dei colori e delle
forme". Lo stesso Campana scriveva: «Ad ogni poesia fare un quadro». Era
assolutamente unico nel coniugare parole e immagini, creando così un binomio
straordinario. Queste note confermano sia la ricerca dell’armonia profonda delle
cose, sia la ricerca del rapporto con la
realtà in un rapporto di apertura ma anche di ambiguità con connotazioni fortemente esistenziali: una visione angosciata, che diventa ossessiva.
Vale la pena di ricordare, il lavoro di
Sebastiano Vassalli su Dino Campana. che porta il titolo La notte della
cometa, del 1984.
Amatissimo,
Campana rappresenta per Vassalli la ricerca del padre ideale, quello
letterario, che l’autore incontrò leggendo La Chimera, la poesia che
Dino aveva mandato a Prezzolini, a vent’anni.
"Cercavo
un personaggio con certi particolari connotati. Il caso me l'ha fatto trovare
nella realtà storica e da lì l'ho tirato fuori: con accanimento, con scrupolo,
con spirito di verità. …. se anche Dino non fosse esistito io ugualmente avrei
scritto questa storia e avrei inventato quest'uomo meraviglioso e 'mostruoso',
ne sono assolutamente certo. L'avrei inventato così".
Così
infatti finisce il libro di S. Vassalli,
poeta che parla di un poeta, che in Campana biografa parte di se stesso.
Tornando ai Canti
Orfici e al suo problematico titolo una nuova tesi viene proposta da
Stefano Drei, professore e ricercatore da lungo tempo di Faenza,
presso il liceo Torricelli in cui Campana studiò, tesi molto interessante…
Campana volle
sempre tenere congiunte letteratura ed esperienza. E tale volontà fu tanto
ferma e disperata, che l'interprete non può prescinderne ed accettare un
rapporto di identificazione.
Secondo S.
Drei : «Campana dice nel Taccuinetto faentino di essere seduto sotto una
“loggia grande”, poi cita un caffè, una “piazza viva di archi potenti” e una
“torre barocca, e «a questo punto un
faentino non ha dubbi: l’autore dei Canti Orfici è seduto al caffè Orfeo».
A fine
Ottocento e nei primi del Novecento era un classico ritrovo di intellettuali,
come le Giubbe Rosse a Firenze. Dunque …solo il frutto di una suggestione data
da una donna, e una osteria, una piazza
e un caffè…– le immagini descritte possono nascere da percezioni, suoni o
immagini della mente.
Il caffè
recava una grande insegna realizzata dalla fabbrica diretta dal noto ceramista
Achille Calzi, raffigurante appunto il mitico poeta con la lira: il nome e
l’insegna del caffè, congettura il ricercatore,
in qualche modo hanno innescato
una suggestione, un suggerimento per il titolo del poema. Sono state ritrovate,
a riprova, per una mostra al Museo delle Ceramiche di Faenza dedicata appunto
ad Achille Calzi, le settantacinque mattonelle messe in posa nel 1906,
smantellate nel 1959, conservate in una cassa per oltre mezzo secolo dagli
eredi dei vecchi proprietari, ora recuperate, restaurate, ricomposte ed
esposte: ai lati del dipinto centrale raffigurante Orfeo che con la lira
incanta un leone e una leonessa (o una tigre?): la scritta CAFFÈ ORFEO. Sono
gli stessi caratteri Victor Hugo o
Columbus che ritroveremo nei Canti Orfici della stampa Ravagli del 1914: Caffè
Orfeo, Canti Orfici. (veniamo a sapere dunque che nella realizzazione Calzi, o
più verosimilmente le maestranze da lui dirette, fecero ricorso come in uso fra
i ceramisti, a un recente campionario di caratteri tipografici: presumibilmente
lo stesso di cui si sarebbero serviti qualche anno più tardi Baldini e Castoldi
per il Daniele Cortis e poi Ravagli per i Canti Orfici.
L’ipotesi
dunque che quel caffè e quell’insegna abbiano in qualche modo suggerito al
poeta la scelta del titolo si rafforza.
Dino Campana, “poeta maledetto” della letteratura
italiana non ha trovato finora, veri continuatori, anche se ha determinato
influenze letterarie, come nel caso degli ermetici e di certa recente poesia.
Ripropongo
esemplarmente una poesia fascinosa,
odisseica e visionaria, “orfica”, di un
orfismo funebre, dei Canti Orfici: Il canto della tenebra.
Il canto della
tenebra
La luce del
crepuscolo si attenua:
Inquieti spiriti
sia dolce la tenebra
Al cuore che
non ama più!
Sorgenti
sorgenti abbiam da ascoltare,
Sorgenti,
sorgenti che sanno
Sorgenti che
sanno che spiriti stanno
Che spiriti
stanno a ascoltare…
Ascolta: la
luce del crepuscolo attenua
Ed agli
inquieti spiriti è dolce la tenebra:
Ascolta: ti
ha vinto la Sorte:
Ma per i
cuori leggeri un’altra vita è alle porte:
Non c’è di
dolcezza che possa uguagliare la Morte
Più Più Più
Intendi chi
ancora ti culla:
Intendi la
dolce fanciulla
Che dice
all’orecchio: Più Più
Ed ecco si
leva e scompare
Il vento:
ecco torna dal mare
Ed ecco
sentiamo ansimare
Il cuore che
ci amò di più!
Guardiamo: di
già il paesaggio
Degli alberi
e l’acque è notturno
Il fiume va
via taciturno…
Pùm! mamma
quell’omo lassù!
M. Grazia
Ferraris
Pasquale Balestriere
RispondiEliminaCon la dovuta umiltà vorrei far osservare a Maria Grazia Ferraris che in questa vicenda c’è un nodo centrale di verità inconcussa che lei non sembra aver colto e che è questo: qui non le si contesta “l’utilizzo di alcune notizie biografiche”ecc. , ma il trasferimento nel suo pezzo di alcuni periodi estratti integralmente dal mio saggio, un autentico copiaincolla, come ognuno che abbia voglia può constatare. Mi dispiace veramente che alla Ferraris sfugga il fatto che i brani di cui si parla -per quanto le notizie ivi contenute possano essere di pubblico dominio (ma io per qualcuna ho qualche riserva)- sono stati pensati e organizzati da me e pertanto mi appartengono: mia è stata la scelta dei dati da inserire nel contesto del saggio, mia quella dell’organizzazione del pensiero, della sintassi e del lessico, mia l’adozione di quella punteggiatura e non di un’altra. Elementi questi che sembrano dettagli e invece sono sostanza; che distinguono lo stile di un autore da quello di un altro, rendendolo personale e inconfondibile; che dicono della proprietà letteraria di uno scritto. Spero che la Ferraris si renda conto di avermi danneggiato. Perché, a giudicare dal tono della sua risposta, il suo peccato le risulta veniale. E invece è mortale.