Ricordato a Marino laziale
LO SCULTORE UMBERTO MASTROIANNI
NEL VENTENNALE
DALLA SCOMPARSA
con una mostra curata dall'Associazione "Senza
Frontiere" nella Sala Lepanto, dal 25 febbraio al 17 marzo 2018
Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
Il Maestro Umberto
Mastroianni approdò a Marino laziale nel 1970 e andò a stabilirsi nella villa dei
Giardini Colonna, il cosiddetto Casino di caccia dei Principi rinascimentali, vendutogli
da Alberto Moravia. La villa divenne la sua casa-studio-museo per circa un
trentennio, fino alla scomparsa avvenuta venti anni fa, il 25 febbraio del
1997. Occorre rammentare che l'anno precedente il suo approdo a Marino, il
1969, era stato fondamentale per il suo percorso artistico, essendo stato
collocato a Cuneo il celeberrimo Monumento
ai Caduti cui aveva lavorato per ben cinque anni, a partire dal 1964,
lavoro con cui lo scultore inaugurò la lunga serie delle sue opere monumentali
note in tutto il mondo, pur avendo già posto nel '45, al termine della guerra, un
Monumento al Partigiano nel cimitero
di Torino, di ragguardevoli dimensioni.
Il monumento di
Cuneo fu un evento eccezionale e rappresentò un momento significativo non
soltanto per il percorso personale dell'artista, ma per l'arte dell'intero
Novecento. Una moderna e vigorosa scultura, un gioco materico di bronzo e
ceramica sostenuto da un traliccio in acciaio, con un impiego smisurato di
materiali, dal peso enorme e tuttavia dotato di straordinaria levità, di
saettante e dinamica potenza esplosiva. Un'illuminazione straordinariamente
felice che dette l'avvio alla stagione più ricca e feconda del grande scultore,
sempre più proiettato su scala internazionale. Una stagione che si consumò per
intero a Marino, ma di cui la Città rimase pressoché ignara spettatrice.
Mastroianni - è
inutile nasconderlo - è stata una meteora per la nostra città, un bolide che ha
attraversato i nostri cieli lasciandoci incapaci di cogliere appieno la grande
opportunità culturale che la sorte ci aveva dato in dono. Tutto ciò
naturalmente non ha impedito a molti di noi di conoscerlo e di frequentarlo, e
quindi di poterlo ricordare con affetto, oggi, ad un ventennio dalla scomparsa,
riflettendo il più utilmente possibile sul suo operato, sul suo messaggio
artistico e umano. Dividerò il mio intervento in due tempi. Nel primo
racconterò i miei ricordi personali dell'artista; nel secondo esaminerò la sua
poetica immersa nella problematica tecnologica dei nostri giorni, strettamente
connessa con quella della ricostruzione civile del dopoguerra.
Per ciò che concerne
le memorie personali, esse sono in gran parte legate alla mia amicizia con lo
scultore Paolo Marazzi che per decenni è stato assiduo frequentatore di Casa
Mastroianni per motivi di collaborazione artistica. Rammento le piacevoli gite
in campagna, presso la mia azienda agricola, partecipi la gentile consorte Ida,
il fratello Corrado e la cognata del Maestro, il quale restava incantato dal paesaggio virgiliano (sue parole) dei
luoghi campestri. Ricordo il giorno in cui il Maestro ospitò, dietro mio
interessamento, il poeta Mario dell'Arco: un incontro ricco e stimolante, dove
il vulcanismo dell'artista si incontrava con l'imperturbabilità olimpica del
letterato, in un simpatico gioco di contrasti, molto affascinante.
Ricordo l'incontro
con il poeta Vito Riviello e le visite di tanti altri personaggi della vita
artistica romana. Soprattutto ricordo la vicinanza del Maestro, i suoi consigli
ed i suoi incoraggiamenti - non sempre benevoli, ma comunque salutari - durante
le fasi programmatiche ed organizzative della Biennale della Pietra "Città di Marino", le cui due
edizioni personalmente diressi a cavallo degli anni Settanta/Ottanta: evento
artistico di cui si sta perdendo memoria, ma che ebbe risonanza mondiale a suo
tempo. I miei ricordi più cari del Maestro, e la mia riconoscenza, sono comunque
legati alla mia plaquette di versi
edita da "Rossi & Spera" nel 1986, intitolata "Selvaggio
Pallido", che venne impreziosita da alcune serigrafie che l'artista volle
magnanimamente concedere per la pubblicazione.
La soddisfazione
massima poi mi giunse quando sottoposi al suo giudizio il Manifesto del
Movimento "Chiaro Scuro", oggi non più operativo, da me redatto
insieme ad altri personaggi. Già gravemente ammalato e oberato più del solito
di impegni, non poté ricevermi e rinviò l'incontro a tempi migliori che
purtroppo non arrivarono, ma si scusò telefonicamente ed ebbe apprezzamenti per
l'iniziativa a dir poco esaltanti. Mastroianni non disdegnava di curare questi
rapporti privati coi cittadini di Marino, nel mentre si dedicava al suo lavoro
e alle sue relazioni internazionali d'alto rango. La sua statura ha fatto sì
che la sua dimora marinese divenisse itinerario obbligatorio per Capi di Stato,
per intellettuali, scrittori, musicisti e artisti di rilievo altissimo.
Quando approdò a
Marino, varie stagioni si erano già svolte e stratificate nel suo percorso
artistico. La sua poetica si era venuta costruendo attraverso un complesso
cammino, a partire dal figurativo prebellico, di gusto arcaizzante, con
interessi essenzialmente rivolti al mito, nonché al ritratto di giovani donne, o
a testine di fanciullo in terracotta, poi riportate in bronzo. Viveva allora a
Torino, dove era giunto adolescente nel '26 e aveva preso a frequentare
l'atelier dello scultore Michele Guerrisi per perfezionare la propria preparazione
artistica. Nato nel 1910 a Fontana Liri, in Ciociaria, era sbarcato a Torino
dopo una breve esperienza romana presso lo studio dello zio Domenico, scultore
anch'egli.
Ben presto si sarebbe
presentata in lui, con la complicità del pittore Luigi Spazzapan, un'ansia di
rinnovamento, una fame di modernità che lo avrebbe portato ad avversare, sulla
scia delle avanguardie storiche, il classicismo di Casorati e l'impressionismo
del cosiddetto Gruppo dei Sei che dominavano la scena culturale della capitale
sabauda. Negli anni '40 sarebbe iniziata propriamente la sua avventura avanguardistica,
dando corso ad un astrattismo geometrico che lo avrebbe posto all'attenzione
della critica più attenta. Chiamato alle armi durante la guerra, parteciperà
alla Resistenza, trasferendo in sede artistica le sue incontenibili istanze di
liberazione, con opere esemplari, quali il già citato Monumento al Partigiano, posto nel Campo della Gloria del cimitero
di Torino.
Gli stilemi di
questa emergente proposta estetica, definita da Giulio Carlo Argan come poetica della Resistenza, sono tipicamente
espressionisti e si rifanno in modo esplicito al dinamismo boccioniano,
innovandolo tuttavia secondo un'idea invasiva della materia nello spazio che,
se da un lato può riconoscersi figlia del Futurismo, dall'altro se ne discosta
per la valenza esplosiva e dirompente, deflagrante e penetrante, anziché
compositiva ed aggregante, come nei presupposti del Futurismo e del
Costruttivismo. Ritengo che questa differenza meriti una riflessione
appropriata. La Resistenza indubbiamente c'entra, ma c'è dell'altro, su cui
vorrei riflettere. Andiamo per gradi.
E' risaputo che la
cultura contemporanea, nel suo insieme, è cresciuta in quel maremoto provocato
dal Nichilismo che ha cancellato la Metafisica ed il vecchio Umanesimo. Dove
quella cultura era notoriamente fondata sul concetto della superiorità dell'Uomo sul
Mondo, i nuovi fermenti culturali, in tutti i loro aspetti, hanno promosso il
principio opposto della fusione e del
tutt'uno dell'Uomo con le Cose, con i rischi dell'annullamento reciproco
che ciò può comportare. L'uomo può ottenere il proprio dominio sul mondo
fondendosi con esso nelle maniere più varie, anziché imponendo autoritariamente
il proprio giogo, come accadeva in passato. Sta qui la rivoluzione della
cultura contemporanea nei confronti della cultura classico-romantica dei secoli
e dei millenni precedenti.
Entrando nello
specifico dell'arte, già la pittura simbolista di Bocklin, sul finire del
diciannovesimo secolo, è testimone di quel Vuoto, di quella funerea assenza e
di quella solitudine estrema che la pittura di Giorgio de Chirico, definita metafisica, ma in realtà profondamente
nichilista, avrebbe portato al parossismo, rappresentando la fuga del Divino
dal mondo, l'inconsistenza del Vero e dell'Essere, la riduzione di ogni ideale a
manichino senz'anima. Il Nulla dunque: questo l'indirizzo dominante della
cultura e dell'arte dei nostri tempi. Alcune poetiche - Simbolismo e
Crepuscolarismo - se ne faranno interpreti chiudendo a chiave l'universo
psichico dentro se stesso. Altre invece - Impressionismo ed Espressionismo - raggiungeranno
il medesimo risultato attraverso l'espansione dell'Io nel Mondo, o viceversa
l'irruzione del Mondo nell'Io.
Il Futurismo
boccioniano è chiara espressione di questa tendenza ad inglobare, ad assimilare,
ad annettere. Cosa fa Mastroianni ereditando questi fertili spunti? ne
trasforma il dinamismo in senso deflagrante, anziché aggregante, con scoppi che
dall'interno esplodono verso l'esterno, senza annessioni o fagocitazioni
distruttive. Avviene pertanto una cosa singolare: il Nulla svanisce per fare
nuovamente spazio all'Essere. Il Maestro predilige un'azione dirompente che
parte da un nucleo di forze interne all'opera ed è fine a se stessa, alla propria
epifania, senza intenti egemonici invasivi. Alla mitologia dell'aggressione e
della manipolazione, propria degli sperimentalismi avanguardistici, egli
sostituisce una mitologia della liberazione, della proiezione fantastica,
dell'utopia.
In questo senso
trovo giusta l'affermazione di Cesare Brandi, laddove sostiene che le
deflagrazioni di Mastroianni "è come affermassero la piena virulenza del
Centro, in un'epoca come la nostra, caratterizzata dalla perdita del
Centro". Non mi soddisfa tuttavia il confronto che lo studioso instaura
tra la poetica del Maestro con l'arte barocca, perché nel Barocco, a mio
parere, le fantasmagorie sono intellettualistiche, sono giuochi della mente
razionale, mentre qui ci troviamo in presenza di espressioni poderose dell'inconscio,
di eruzioni laviche, di schegge che dal profondo si catapultano per ogni dove. E
tuttavia non si può non restare sorpresi da alcuni accostamenti tra il Nuovo e
l'Antico, da alcune, forse casuali, sinestesie, come testimoniano le opere del
Maestro suggestivamente inserite nel
tessuto urbano di Marino.
Occorre tuttavia
tenere a mente che le deflagrazioni di Mastroianni provengono da un centro
sepolto e interno all'opera, che, di scoppio in scoppio, sembra liberare
regioni sempre più profonde di se stesso. Ricordo che una volta il Maestro mi
confidò, con il calore impetuoso che lo contraddistingueva, come la sua massima
aspirazione estetica e umana fosse di riuscire finalmente a rompere il guscio, ad aprire lo scrigno della mente e
dell'anima per poterne svelare una volta per tutte il mistero. Ciò lascia intravedere
uno sfondo metafisico nei suoi interessi estetici e umani, in grado di
riscaldare tutta intera la sua personalità creativa. Gli orizzonti civili sono
indiscutibili, ma vanno innestati in questa visione più profonda, dove il big bang diviene esplosione di energie
spirituali: voglia di rinascere, si, dalle rovine della guerra, ma prima di
tutto dalle rovine dell'anima.
Una ricostruzione
non soltanto civile, pertanto, ma umana a trecentosessanta gradi. Al contrario
dei Futuristi, Mastroianni aveva piena consapevolezza dei rischi connessi a una
sfrenata meccanizzazione, così impegnò tutto se stesso in un progetto di
umanizzazione delle tecniche e del mondo industriale. Una civiltà delle macchine, come veniva anche proposto, nello stesso
periodo, dal poeta e critico Leonardo Sinisgalli. Ed è un ritorno del Mito nel
cuore di un'era come la nostra, caratterizzata da laceranti demitizzazioni. Sta
qui la matrice neoumanistica di un artista d'avanguardia che, pur avendo
attraversato da grande protagonista la vasta e variegata gamma degli
sperimentalismi più avanzati (dall'Astrattismo al Futurismo, all'Informale), è
rimasto sostanzialmente fedele ad una concezione umanistica del fare artistico.
Tutti i suoi
esegeti, a partire da Giulio Carlo Argan, concordano su questo punto. Il
trionfo delle macchine, a fronte di vantaggi materiali indiscutibili, comporta
un inevitabile rischio di appiattimento e di aridità. Correnti artistiche quali
il Dadaismo, ma soprattutto la Pop Art, testimoniano tale apprensione
per il processo di massificazione in atto e per il declino consumistico,
denunciando il fallimento dell'illusione futurista (meccanicistica) della
civiltà. Quella di Mastroianni, al contrario, vuole essere una provocazione condotta
dall'interno e non dall'esterno della civiltà tecnologica, una sfida promossa
da un intellettuale che mostra comunque di amare i valori tecnologici. Il suo
ottimismo di fondo lo porta a credere che il seme dell'umano possa ancora
utilmente venire trapiantato nell'arido villaggio globale dei nostri tempi.
Non a caso un
critico come Floriano De Santi ha potuto disquisire di macchinismo fantastico, mentre Giulio Carlo Argan ha espressamente
parlato di metallurgia a servizio dell'arte.
Umanizzare la macchina, anziché fare dell'uomo un robot. Utopia impervia, ma
forse percorribile, se si riflette su alcuni spunti provenienti dalle teorie critiche della società avanzate
dai filosofi di Francoforte e in particolare sulla categoria estetica dell'ulteriorità elaborata da Adorno. Secondo
costui le opere d'arte si servono, nel loro processo di formazione, di quelle
stesse tecniche dalle quali sono indipendenti, giacché l'arte "mobilita la
tecnica dalla linea di tendenza opposta a quella su cui la tecnica viene messa
dal dominio". In tal modo l'arte si separa da esso e si solleva al di
sopra della situazione, prendendo posizione su di essa e alludendo ad un mondo
migliore e diverso".
Franco Campegiani
SCULTURE
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