Marco dei Ferrari, collaboratore di Lèucad |
Questioni e interrogativi sul fatto di esistere e sul fatto di morire. Marco Dei Ferrari, come al suo solito, con uno stile personalissimo, ci invita alla meditazione lasciando dentro noi quesiti irrisolti: il tempo che fugge, la morte che incombe, la fine del mondo, il dove ed il quando, idoli e Dei senza nome, tombe di secoli:
vita di sacro morte
precipizio nel cosmo senza appigli,
se non risorge
RISORTO
Risorto appare ricordo asceso
dalla tomba vuota calice amaro
sbriciola il pane e avvento
per popoli e Terre inizia
Si contano vivi e morti alla fine
del mondo anime e corpi,
beni di mali, demoni d'angeli
per carne di polvere cercano
il dove del quando
giustizia del cuore, carità d'amore
del nuovo ritorno? Fine del tempo
risorto?
Domande rispondono domande...
la morte da dove e per dove?
Idoli e Dei senza nome,
di secoli tombe, di fede ombre
oscurano storie pulsando
vita di sacro morte
precipizio nel cosmo senza appigli,
se non risorge.
Marco
dei Ferrari
Con tutto e il massimo rispetto per l'autore e per il suo componimento, confesso che (per mia deficienza) se non fosse per la breve introduzione del prof. Pardini non ci avrei capito e continuo a non capirci niente di questa poesia. Ribadisco che sarà mia deficienza non riuscire a cogliere almeno il nesso logico che cuce i termini per definirne nella seguenza il messaggio pur avendolo letto e piu volte riletto il testo. Mi perdoni l'autore se dico che mi sono chiesto più volte: che vuole dire? Rifiuto a priori certi sperimentalismi espressi in arte sia essa pittorica, poetica, scultorea ecc. Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaDi fronte a Guernica posso pormi in differenti maniere: cercando di trovare un ordine tra uomini, bestie, occhi e nasi, e, non trovandolo, girare i tacchi sdegnosa perchè manca un qualsiasi richiamo naturalistico....oppure posso lasciare che, oltre la sensazione e l'intelletto, la ragione entri nel quadro e viaggi tra il suono, l'eco delle urla, l'orrore dello smembramento e il sibilo delle bombe...la ragione è a casa, non necessita un ordine canonico per com-prendere, per capire...l'io penso ha riconosciuto se stesso.
RispondiEliminaPer me non c'è bisogno di altro; e ringrazio Marco per aver dato ancora una volta suono e voce alla paura del vuoto e del nulla
Isabella
Più di una volta ho avuto modo di commentare e presentare in pubblico qualificato opere di Marco dei Ferrari, sia in versi che in prosa, di genere e argomento vario, sempre molto originali e seguite.
RispondiEliminaAlla prima lettura si incontra una certa difficoltà di fronte ad un lessico personalissimo e al dettato sicuramente poco accessibile al lettore frettoloso, ma ad una maggiore attenzione e impegno non può sfuggire il senso, e il valore del tutto innovativo, di qualsiasi degli scritti di questo autore, saggista scrittore e poeta. Ovviamente se chi legge non rifiuta a priori la comprensione e non si dichiara apertamente contrario a qualsiasi tipo di sperimentazione.
L'apertura alla conoscenza tout-court è sempre e comunque indice di apertura mentale.
Mi dolgo pertanto con il prof Cinnirella per il suo poco felice commento, segno forse di superficiale lettura e di certi preconcetti.
Edda Conte.
Marco dei Ferrari ha un suo personale dettato poetico che, procedendo per immagini compresse, giustapposte e apparentemente irrelate, compone un quadro denso, fortemente analogico, fitto di rinvii e di allusioni, vere e proprie spie per il lettore che cerchi di porsi, con attenzione e adeguato retroterra culturale, sulla lunghezza d'onda del poeta.
RispondiEliminaIn questa poesia colgo, fin dall’inizio, un neppur tanto velato ammicco alla passione e resurrezione di Cristo, e anche al giudizio universale. Ma il discorso poetico si amplia, sdegna i confini dell’ovvio, accenna a problemi esistenziali, dice di vita e di morte, di fine e di rinascite/resurrezioni, di religioni, di fedi: agganci a cui appigliarsi, a patto che si voglia. Per la salvezza, per la vita.
Pasquale Balestriere
Ero consapevole che il mio commento sul testo poetico dello scrittore M.dei Ferrari avrebbe suscitato reazioni negativi nei miei confronti. Assicuro intanto che il testo è stato da me reiterate volte letto e con quella attenzione dovuta; che il sottoscritto sono ben 55 anni che fa poesia con più che lusinghieri riconoscimenti in campo nazionale e relativi premi di certa caratura. Ciò premesso, ribadisco il mio disappunto nei confronti del testo in quanto l'autore non consente (sempre a mio umile parere)al suo lettore (se si fa poesia non solo per se stessi) un minimo di aggancio perchè questi possa seguirlo nel dettato. Sempre a mio modesto avviso, vi riscontro un ermetismo molto accentuato il quale inevitabilmente crea tra autore e lettore una barriera invalicabile per una immediata o successiva comprensione. Credo, ancora, che in poesia, l'autore, abbia il dovere, e perchè no l'obblico, per farsi comprendere,apprezzare, farsi godere nel suo scritto, innestare nel testo quei canoni elementari (compresa la punteggiatura)perchè quel testo divenga appunto poesia.Nel contesto poetico italiano e contemporaneo a me pare, con la scusa che bisogna andare avanti, modernizzarsi, essere aggiornati, essere al passo coi tempi(cosa fontamentalmente giusta ed inarrestabile) si compongono testi poetici nella loro struttura al solo fine di "impressionare" il possibile lettore. Nel chiedere umilmente scusa in primis all'autore e al suo testo e agli intervenuti per questa mia inopportuna espressevità di pensiero non consono agli stessi mi permetto dire che non sempre un testo poetico postato su Leucade debba essere sempre e comunque consono all'autore e ai rispettivi interventi. Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaSono a ringraziare per l'attenzione e il pensiero di tutti gli intervenuti (consenzienti o dissenzienti) in quanto attori essenziali ed ineludibili ad un qualificante confronto artistico. La poesia peraltro nelle sua più varie espressioni si arricchisce nel dibattito e nel contrapporsi di teorie spesso disomogenee, dove non tutto è quel che appare.
RispondiEliminaMarco dei Ferrari
Marco dei Ferrari, attraverso il suo personalissimo stile, mette a nudo la più viscerale delle nostre inquietudini di poveri esseri umani: la paura della morte, che nei recessi dell’animo coincide con la paura della fine di tutto. Per questo il pensiero del trapasso sgomenta, terrorizza. In maniera esemplare, Marco dà voce ai nostri timori più profondi, e lo fa senza compiacimento, ma solo mostrando come l’essere umano cerchi di trovare il senso delle proprie azioni nell’immortalità.
RispondiEliminaAd offrire una luce di speranza ai nostri timori più profondi interviene la Resurrezione di Gesù Cristo, che per il credente è la dimostrazione dell’esistenza di una vita oltre la morte: il Giorno del giudizio ci riapproprieremo del nostro corpo glorioso. Ma, nonostante tutto, l’essere umano è fragile. Così l’inquietudine ti attanaglia quando meno te lo aspetti: di fronte alla morte siamo nudi, ci sentiamo inermi e, ripiegati nei nostri dubbi, ci atterrisce la possibilità di essere inghiottiti dal “precipizio nel cosmo senza appigli,/se non risorge”.
Non a caso la morte e la paura di essa sono temi cardine del pensiero filosofico. Già nel III secolo a. C. Epicuro di Samo, nelle Sentenze vaticane, affermava : “Da ogni altra cosa è possibile metterci al sicuro, ma rispetto alla morte noi tutti abitiamo una città senza mura”.
Grazie, Marco. I tuoi versi ci hanno offerto l’opportunità di riflettere non solo sui nostri timori, ma anche sul senso della nostra esistenza terrena.
Maria Fantacci