Emanuele Aloisi, collaboratore di Lèucade |
Non chiamatelo favore
Non chiamatelo favore
quello che un uomo chiede
quello che ha fatto un uomo
quando eravate voi
a chiedergli il dovere di allattare
la tunica spartire nell’inverno
e cenere di manna nevicare
sull’ombra delle tegole invisibili.
Me la chiamate casa, voi
la casa che non ha le pietre
la terra che non ha radici?
Le avete messe nei giardini vostri
inaridite dando colpe al cielo.
Persino il cielo, avete detto
creduto fosse complice di un furto.
Non hanno maschere le nuvole
e quando piovono saettano le fiamme
incendiano la cera dei rifiuti
persino il mare che diventa brace
e croce un uomo nelle piazze ardenti
sul Golgota tizzone che concima.
La vostra terra sa di buono
le vostre case hanno le pietre
il sangue che vi appiccica la carta
il legno delle schegge nelle crepe.
Non chiamatelo favore, vi prego,
il grido della ruggine dei chiodi
il pianto proveniente dalle vene
dagli occhi delle spine acuminate.
Il velo di uno sguardo non vi chiede
neppure l’ombra di un abbraccio
e la pietà di un grembo
ma l’umile lenzuolo di un diritto
prima di chiudere il sepolcro, e nudo
un corpo seppellirvi tra le pietre.
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