Daniela Quieti |
T. S. ELIOT
LA TRAVOLGENTE DOMANDA
CENT’ANNI DI PRUFROCK
IBISKOS ULIVIERI. EMPOLI. 2015. Pgg. 100
PUBBLICATA SULLA RIVISTA LETTERARIA BACHERONTIUS ANNO XLIX N° 1 - 2018 ALLA Pp. 41 |
Scrivere su
questa complessa opera di Daniela Quieti significa andare a fondo del
patrimonio culturale di una scrittrice poliedrica, di proteiforme valenza:
poetessa, saggista, narratrice, collaboratrice infaticabile di cultura,
qualunque sia il campo … Una personalità di spicco nel panorama letterario
odierno. Ho avuto la fortuna di leggere alcune sue opere ed ho apprezzato fin
da subito la grande sintonia fra anima, pensiero e parola. Sì, c’è questa
sintonia nel suo linguaggio: la plasticità di un verbo che corre con grande
fluidità per stare in armonia con gli abbrivi emotivi o con gli approfondimenti
intellettivi che la completano. Ed è così che chi la legge prova una sana
invidia, dacché non è per niente facile incontrare tale equilibrio fra dire e
sentire in questo mondo infarcito di una dovizia di libri tale da essere
destinata il più delle volte al macero. Tanto che la sua scrittura si fa
morbida e apodittica; invitante e semplice; acuta e paratattica; va incontro al
lettore per offrirgli i concetti più astrusi in un vassoio d’argento senza troppi
ricami; va al sodo, come di solito si dice; e lo fa con una tale disinvoltura
da farci sembrare romanzo, avvincente e coinvolgente, anche la narrazione
saggistica. E si sa che non è certamente semplice avventurarsi in una
ricognizione esegetica su un tale talento quale T. S. Eliot; dacché è
inevitabile spaziare in parallelismi interdisciplinari; toccare ambiti
letterari, filosofici o poilitico-sociali se si vuole ben inquadrare “uno dei
migliori autori del ventesimo secolo a livello internazionale” (pg. 45):
le sue ispirazioni, i suoi contatti, gli ambienti che l’hanno formato, i
periodi storici, l’idealismo filosofico di Josiah Royce, il pragmatismo di
William James, il nuovo umanesimo di Irving Babbitt, i dubbi esistenziali già
evidenti in The Love Song of J. Alfred Prufrock; la formazione, il classicismo
postsimbolista che Mario Praz rettifica avvertendo (nel saggio
Due
maestri dei moderni, J Joice e T. S. Eliot del 1967) che il
“poeta antepone al simbolismo inteso in senso individuale, arbitrario,
dei moderni, ove la suggestione sfuma e si perde nella musica verbale (tipo
Mallarmé), il simbolismo dantesco, di carattere universale spersonalizzato” e
connotando acutamente che “la vera originalità non consiste per Eliot in
un’eccentricità, sia pur geniale d’ispirazione (esempio William Blake), ma nel
dare espressione suprema ad un’esperienza di carattere universale”; la poetica;
il legame indissolubile della poesia con la poetica, guida intellettuale dei
poeti e cosciente interprete dei loro sentimenti; la comparazione letteraria
per cui richiamare il finale del cimitero marino di Valéry come slancio
necessario a esistere (Il vento si leva… Bisogna tentare di vivere! Il mio
libro apre e richiude/ l’aria immensa, da rupi/ audace l’onda in polverìo
zampilla./ Pagine impallidite, / volate via! Con onde/ allegre irrompi,
flutto:/ questo tetto tranquillo/ che predavano i fiocchi, rompi, inonda!”),
significa confutare sia la tragicità del Battello ebro di Rimbaud che
s’inabissa nel mare con “la chiglia spezzata”, che quella del noto passo
dei Quattro Quartetti di Eliot: “Qui non c’è acqua ma solo
roccia/ Roccia e niente acqua e la strada sabbiosa/ La strada che serpeggia in
alto fra le montagne/ che sono montagne di roccia senz’acqua./ Se ci fosse
acqua ci fermeremmo a bere”, dove l’asprezza della roccia acuisce la sete
e ravviva l’impulso a cercare l’acqua nel viandante, che sente vicina la
sorgente pur non riuscendo a scorgerla (Sandro Guarneri: Poesia e Poetica.
1996). Il saggio di Daniela composto di cinque capitoli, si profila,
quindi, come una interessante e approfondita dissertazione su un autore di cui
tanto si dice e si è detto, ma forse mai si è scritto con tale acutezza e
personalità critico-cognitiva; questi i sottotitoli: Eliot e l’età
moderna; Scenario storico e culturale; Dante, Virgilio e la classicità in
Eliot; Prufrock e la travolgente domanda (da cui il titolo); La figlia che
piange; Conclusione, uniti da un tema centrale che corrisponde
all’intendimento che Eliot ha della poesia. La sua evoluzione, le varie tappe,
e soprattutto il rapporto del poeta con l’essere e l’esistere: una proiezione
continua verso il tutto, l’oltre, l’olismo; il desiderio di dissetarsi ad una
sorgente di cui sentiamo la vicinanza ma che ci sfugge continuamente.
D’altronde è proprio dell’uomo ambire a svincolarsi dalla terrenità pur
facendone parte in maniera indissolubile. Ma è pur vero che in noi è viva la
coscienza della nostra precarietà, della nostra pochezza se commisurata
al dipanarsi infinito di una clessidra che unisce in sé passato presente e
futuro. Soffrire di queste pulsioni e trasferirle in un poièin la cui armonia
(innata nell’uomo) faccia da legame vincolante, e il cui slancio si muti in
correlativo oggettivo, penso sia il focus centrale delle inquietudini
esistenziali di Eliot. E per questo mi piace aggiungere al mio scritto alcuni
passi del critico che mettono bene in luce, nella Conclusione, la conflittualità
che anima il percorso poetico e umano di Eliot: “… Nella sua infanzia Eliot
contemplava l’Atlantico e sapeva cosa significasse affrontare uno sconfinato
orizzonte, in cui scoprire nuovi ormeggi ma anche rischiare un naufragio…”;
“… Eliot incastra trasposizioni letterarie, scissioni, e antinomie
nell’insieme della versificazione alternando intensi passaggi emotivi con un
ritmo ondeggiante, essenziale e melodico, in una originale stratificazione di
linguaggio alto e basso…”; “Il percorso che avrebbe portato Eliot alla
conversione non fu facile, e la sua iniziale produzione poetica ne testimonia
il conflitto interiore proteso al raggiungimento di una dimensione critica e
razionale…”; “… Il monologante Prufrok, nel descrivere il senso di
squallore quotidiano che pervade le sue divaganti osservazioni, rappresenta il
manifesto di una nuova poesia che esce da uno schema rigido, per affermare i
pensieri e le ansie effettive della coscienza con uno sguardo lucido e
penetrante associato a una sottile vena musicale e comica…”.
E terminare
questo mio scritto riportando un’affermazione dello stesso Eliot, come massimo
interprete della poesia di tipo analogico-simbolico, culminante nei poemetti La
terra desolata, Mercoledi delle ceneri, e I quattro quartetti: “è compito
del poeta non quello di trovare nuove emozioni, ma di usare quelle comuni e di
esprimere… sentimenti che non si trovano nelle emozioni vere e proprie”
significa mettere in luce il fine umorismo inglese che lo caratterizza; ma
anche una sua idea fondamentale: quella che il mistero della poesia e
dell’universo è impenetrabile anche dalla stessa poetica.
Nazario Pardini
Grazie, grazie di cuore, carissimo Nazario. Il Tuo autorevole apprezzamento mi gratifica ed emoziona in modo particolare. Rallegramenti vivissimi per il costante e generoso impegno letterario e un caloroso saluto con i migliori auguri di cose belle... Alla volta di Leucade!
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