giovedì 3 dicembre 2020

ADA PRISCO LEGGE: "OPERA OMNIA" DI PASQUALE D'ALTERIO



Pasquale D’Alterio

OPERA OMNIA 

Recensione di Ada Prisco

 

Gli animi avvezzi alla poesia d’autore, alle pagine di bella letteratura, che, di epoca in epoca, non ha mai lasciato orfana la lingua italiana, si trovano a proprio agio leggendo e apprezzando ritmi e assonanze nelle liriche di Pasquale D’Alterio. Pur concentrata sulle atmosfere che propone, la mente si sente libera di collegarsi alle arie note dei grandi poeti, Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli, Eugenio Montale. Si percepisce il percorso dell’autore, la sua abitudine a nutrirsene.

Gli eventi nascono man mano che il tempo si concede e si trasforma in spazio nella mente e spesso al cuore offre ossigeno di gratitudine, ma non manca l’amarezza provocata dal retrogusto di tutto quanto è andato perso. I primi componimenti della raccolta sono ispirati e dedicati al pensiero della moglie amata e morta per prima

 

continuo a chiedere a me stesso

di chi, più infelice, sia stata la sorte,

se di te che morte improvvisa e insospettata

colse

o se di me che continuo a vivere (p. 24).

 

Il tono è sereno, è lucida la coscienza del dono inestimabile. Al contempo, tendendo l’orecchio al cuore, si ascolta il silenzio rimasto e con esso l’eco dei ricordi, dell’esperienza, della condivisione che nulla può sostituire.

Incontrando la memoria, il pensiero critico ordisce una filosofia del tempo, che la perdita assorbe totalmente, tutto fluisce eppure tutto è fisso, come a trattenere o, ancor di più, a soffrire la prigione in cui il terribile colpo ha chiuso i confini. L’interiorità resta libera di vagare. Sfogliando il libro, si accetta di viaggiare con il poeta, si gode della compagnia di chi sa descrivere con eleganza avvenimenti che segnano il quotidiano di chiunque. Una tensione qua e là slancia verso il cielo, come a cercare ciò che la terra non contiene più. Non s’incontra, però, una mappa di questo vagare avvolto nella sofferenza. L’amore stringe a sé, anche in assenza del corpo che la morte ha preteso. Molti sono i cari che precedono nell’ingresso alla celeste dimora, ma si avverte la differenza fra una perdita e l’altra. La consolazione si accompagna alle giustificazioni che la ragione sa confezionare, ma non è ospite gradita, quando protagonista è la donna amata. La precedenza, che la morte ha voluto accordare alla amata compagna, si proietta come ombra avvilente nel presente di chi, a sua volta, si prepara ad affrontare l’ultimo tratto. Eppure, quando tutto sembra inesorabilmente perso e segnato dalla coltre cupa dell’incedere dei giorni, accade il miracolo inatteso, la vita continua a stupire e a trattenere legati a sé gli esseri umani, persino malgrado loro stessi. Siamo avvisati, i passaggi che affrontiamo successivamente a tanti altri e che immaginiamo come i nostri ultimi o forse come i nostri penultimi, hanno in serbo una seduzione tutta loro. D’Alterio si fa maestro di vita, quando scrive (p. 36):

 

Sol quando ti accorgi

che la vita è al suo declino,

solo allora di essa

ogni istante si comincia ad amare.

 

Nulla vale quanto l’amore, l’unico slancio per il quale valga la pena vivere, ammonisce il poeta. In teoria nessuno oserebbe smentirlo, ma forse risulterebbe terapeutico per molti il confrontarsi con qualche verso, che molto concretamente sberleffa chi, nei fatti, dimostra di dedicarsi all’accumulo di ricchezze materiali, nella vana ricerca di una soddisfazione, che, per quanto fugace, solo i sentimenti possono donare, prima che giunga inesorabile la sera della vita, preannunciata dall’invecchiamento e dai suoi segni. L’amore, quando è vero, non tramonta, ma la vita sì e non ha granché da lasciare lungo la scia del suo congedo.

Il tempo e le riflessioni che suscita sono molto presenti nelle considerazioni dell’Autore. La natura, i suoi ritmi, le descrizioni raffinate, che non risultano mai eccessive né ermetiche, si mostrano con il semplice pregio di un oggetto d’oro, prezioso, eppure liscio, inossidabile, adatto allo stile di chiunque. Incontrare il poeta e concepire con lui le immagini, che nella sua mente vanno delineando i loro contorni, come il tratto di un pittore esperto, è proprio come aprire e attingere a uno scrigno di letture. Si legge D’Alterio, ma s’intuisce che con lui si accolgono tanti maestri della parola, antichi e nuovi. Subito, però, l’attenzione è di nuovo rivolta al presente e alle visioni che egli prepara per chi lo legge. Questo libro è anche ginnastica piacevole per la mente e per la fantasia.

Le metafore della fine attraggono il suo animo particolarmente, come se cercasse non una soluzione al suo dolore né al suo tempo, quanto piuttosto una conferma, la rassicurazione di un assaggio. Non s’indugia, però, sulla tristezza, in quanto l’istantanea proposta s’impone con forza maggiore e sa catturare con il suo fascino. Ogni fine gode di una sua estetica, fatta non di artifici, falsità, illusione, bensì di natura e di tutta la vita che, fino a quel momento puntuale, l’ha percorsa e nutrita. E’ come se la fine rimanesse a narrare, ma solo per poco, quanta vita c’è stata e l’autenticasse.

Quanto è interessante il ritratto de La donna che vorrei (p. 47): può offrire spunti declinato anche al maschile, ma può far riflettere ciascuno per sé. E’ una sorta di test, ognuno può provare a ritrovarsi nei terreni descritti con maestria e sintesi e pensarsi come natura, tanto legata alla coltura. Meglio una linea costante, oppure variata dal suo andamento? Meglio un paesaggio essenziale oppure ornato? Meglio intervenire nelle storie altrui o restarne estranei? Ciascuno può trovare suggerimenti per conoscere se stesso un po’ meglio, mentre il poeta tratteggia, appunto, un modello di donna!

Morte, fugacità, natura, istante, rimpianto, vuoto: è vario il ventaglio delle rime sciolte, ma il poeta insiste volentieri su questi punti fermi. La sorte è indirettamente presentata come una giocatrice scaltra e disonesta, che non lesina tiri mancini a chi s’illude di saper giocare e di aver saputo giocare bene le proprie carte:

 

Pochi vincono, e quelli cui in sorte

di conoscere l’amore fu dato,

vincono la morte (p. 50).

 

E così anche l’amore vero, pure cantato come eterno, si trasforma in ombra che risucchia e prende con sé, lasciando al posto dei vivi un simulacro, un volto triste, un animo che non coniuga più alcun verbo al futuro. E’ spietatamente vero, quanto altrettanto dolce e pacato il modo in cui questo poeta sa restituirne l’esperienza. E anche in questo è racchiuso un possibile insegnamento: nel riflesso, nell’istante incontriamo tutto, assaporiamo il meglio ed esercitiamo una capacità di godimento. Il dolore straziante ci costringe a guardarci come immagine riflessa e nella sequenza delle diapositive del tempo che fu, mentre la pellicola di vecchia memoria continua a scorrere, sebbene orfana del nostro interesse e della nostra partecipazione. Il tempo più vuoto, avrebbe bisogno non soltanto della gratitudine verso lo spettacolo della natura, che torna immancabile a segnare i ritmi e a stupire con la sua bellezza, ma grida la necessità dei buoni amici di una volta.

Più si è soli, più l’orecchio raccoglie il cuore, ne diventa grembo e conia parole sempre nuove. Sa essere doloroso questo parto eppure è contemporaneamente sorprendente quanta compagnia fa, quanti ritratti illustra, con quanta vita continua ancora a dissetare!


Ada Prisco

 

 

Pasquale D’Alterio. OPERA OMNIA, pref. di Enzo Concardi, pp.180, Guido Miano Editore, Milano 2020, isbn ISBN 978-88-31497-28-2

 

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