martedì 8 dicembre 2020

FRANCESCO CASUSCELLI LEGGE "LA MIA CASA" DA "ALLA VOLTA DI LEUCADE"


Francesco Casuscelli,
collaboratore di Lèucade

Una poesia che ci racconta i dialoghi intimi di un padre e un figlio, figure che si mettono in relazione con le cose e con la casa che li ha visti crescere in un tempo che si fa presente. Ombre che accarezzano i muri e il focolare dove il fuoco arde e scalda le parole e le memorie. Un tavolo di ciliegio intorno a cui si svolgeva ogni azione quotidiana, le mani della nonna che si fanno pasta e leste rimuovono la cenere che ricopre gli oggetti in rame. Le faville s’immillavano in alto ad illuminare la stanza e anche i ricordi che il figlio traduce in questi versi carichi di suoni di un linguaggio rurale ma sapienziale ancora vivo nei sui occhi che attraversano lo spazio temporale. Ancora il freddo dell’inverno si presentava alla finestra che entrava dalle fessure e suggeriva di guardare il disegno cristallino sui rami della campagna, con filigrane candide come il latte. Il racconto continua con la figura del nonno come se fosse un passaggio di testimone tra generazioni. La sera il contadino sta all’erta dei rumori inconsueti come un pollaio minacciato dalle faine e non c’è neve ne freddo che possano sottrarre l’impegno per agire per la difesa dei propri beni. E qui lo stupore del ragazzo consola la voce del padre poiché sa che il futuro cancellerà tutto quello che ha rappresentato la sua vita. Qui prende la parola il ragazzo divenuto ormai poeta che ha lasciato quei luoghi e canta la sua nostalgia per quel tempo difficile e aspro ma ricco di umiltà, fatto di magia che si esprime nel biancore della neve e nel freddo invernale che contiene le storie della campagna. La poesia si conclude con la domanda al padre ma chi è il padre? Forse è quel ragazzo che oggi racconta a suo figlio e a noi lettori quello che il tempo ha sedimentato nel suo cuore e con occhi lucidi aspira a tramandare il legame che unisce il fuoco di un camino alle ombre della sera distese sul paesaggio e nelle stanze mentre fuori fioccano le voci della campagna.

Una poesia lirica e ricca di rimandi ancestrali che intesse il sentimento poetico con la narrazione delle figure della famiglia e la casa padronale vero crogiolo della vita. Un dettato poetico coinvolgente che con efficacia pennella parole immaginifiche che richiamano l’attenzione e ci portano dentro la storia. Versi come le ombre del tempo da cui sortono le voci dei luoghi della casa che hanno echi linguistici ancora fertili e si riversano sulle pagine bianche come le orme delle faine sulla neve. Un canto poetico in cui Pardini invita ad uscire dalle nostre abitudini che ci rendono prigionieri del progresso e cercare di recuperare quel dialogo con le persone care e con i luoghi che li rendono unici e inimitabili. Versi che questi giorni di confinamento rendono ancora più urgenti di ascolto per dare all’uomo quella dimensione di armonia con la natura dove l’uomo si nutre dello stretto necessario che la campagna dona come frutto del sudore e non c’è accumulo ma una semplice provvista per superare il corso delle stagioni.

N. PARDINI: "LA MIA CASA"

La mia casa

 

- Perché mi parli sempre di una casa

di due stanze con nell’ombra un po' in disparte

un focolaio a struggere un gran ciocco

pigramente; e di un tavolo nel centro,

smisurato, costruito con il legno           

di un ciliegio reciso; e della nonna 

a stendere la pasta al matterello                  

o a usare la ventaglia sul fornello

a carbone che spolverava cenere;         

e degli oggetti in rame; e lungamente

di quel paiolo adorno di faville

che s’immillavano in alto. Le volte

che mi hai parlato della vecchia casa

in cui abitavi, padre, saran mille. -

- Ma guarda che mia madre era tua nonna,

anche se mai l’hai vista! E quel camino

era meraviglioso coi suoi schiocchi.

Sembravano dei fuochi d’artificio.

- Sì. Me l’hai detto. - - Allora ti  racconto

dell’inverno mio amico. Penetrava

frusciando da fessure, s’inoltrava

nella stanza, poi andava alla finestra.

Alzava la tendina e in cuor gioiva

di vedersi l’autore, tutt’intorno,

di una campagna a stelle in filigrana

candida come il latte. Parlavamo.

Quante cose diceva. Poi tuo nonno... -

- Cosa faceva nonno? - - A tarda sera

andava con la torcia sulla neve.

Vedo ancora la scia. Io credevo

lo facesse per gioco. Quando vecchi,

si ritorna bambini. - - E invece? - - Udiva

gli schiamazzi di galline. Andava giù,

rumoreggiava intorno e le faine

prendevano la strada per i campi. -

- Le faine? - - Allora t’interessa

la mia casa. - - Sarei proprio curioso

di vederne le stanze, i campi bianchi

della neve notturna e i fiocchi lievi       

fruscianti sotto l’occhio di un inverno

che racconta le storie. E tu ci andavi    

nel candido cortile o per il prato

a sprofondare i piedi con tuo padre? -

 

 da Alla volta di Lèucade, Baroni Editore, Viareggio, 1999

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