La solitudine pensosa di Franco Donatini
Floriano Romboli (a sinistra),
collaboratore di Lèucade
Il
componimento eponimo assicura alla silloge una “circolarità” denotante indubbia
sapienza compositiva, ma soprattutto – tramato
com’è di riflessioni meta-poetiche, di considerazioni intorno alla sostanza
ideale e alle condizioni spirituali della creazione artistica – propone un ragionato quadro orientativo, un
“precipitato” intellettuale-morale da cui traguardare, rileggere e intendere
compiutamente il complesso dei testi che costituiscono le sei sezioni tematiche
dell’opera: “Non vive il poeta sulla terra/ neppure abita la sommità dei cieli/
non cerca gloria/ o vanto della gente/ schivo usa le nubi come veli (…) Fugge
la luce e l’allegria del giorno/ si rifugia nelle stanze della notte/ ove
immagini sopite/ fan ritorno/ e popolano la casa dei ricordi/ Respira
l’oscurità e il mistero/ che ammalia il suo abito inquieto/ mentre i rintocchi del tempo/ batton lenti/ accordandosi
al fluire dei sentimenti” (La solitudine del poeta, vv. 1-5 e
21-30, corsivi miei).
Il
corsivo vuol mettere in risalto la centralità del motivo del tempo, vale la sottolineatura del suo
inesorabile trascorrere, intimamente connesso al determinarsi dei differenti
stati d’animo, al precisarsi delle situazioni soggettive, largamente caratterizzate
da un senso di evidente affievolimento della tensione vitale, dallo smorzarsi e
quasi esaurirsi dell’attiva partecipazione alla dinamica sociale e naturale:
“Rotola l’anima sul pendio dei giorni/ d’una vita sbriciolata ed appassita/ incapace/ di risalir la china/ su rocce
smussate dalle piogge/ ma solo di frenare la discesa/ E scorre a ritroso il mio
viaggio/ riconosce eventi già vissuti/ rivede/ con mente disillusa/ attimi di
vita incontri di persone/ senza il
sussulto ormai d’un’emozione” (Rotola
l’anima…, vv. 1-12, corsivi miei).
La
preposizione privativa rilevata alla fine della citazione conferma una
concezione pessimistica che non predilige i ricordi,
poiché ne ravvisa la scarsa consistenza, l’inappagante labilità: “Sono salito
ansante verso il colle/ e quella casa a lungo abbandonata/ densa di ombre e
amare nostalgie/ e di ricordi caduti nell’oblio” (La casa in collina, vv.1-4);
“E ti stringevo a me/ per non lasciarti/ per tornare a contare i nostri
giorni/ a consumare insieme le stagioni/ ma tu fuggisti senza far rumore/ nella
tua casa eterna ove ritorni/ a divider con gli altri i tuoi ricordi” (Madre mia, vv.29-35).
L’esistenza
si manifesta perciò in tutta la sua dolorosa precarietà, in quanto successione di momenti psicologico-sentimentali
male armonizzabili, serie di “attimi” fugaci e irrelati: “ Talvolta è solo un
alito di vento/ a muoverti verso un’altra riva/ a spingerti impotente sopra il
mare/ a combinare vicissitudini ed eventi/ non contemplati nella propria rotta
(…) Ignoro quanto tempo sia passato/ un
lustro un anno un giorno o solo ieri/ Non son capace di contare il tempo/ né
prevedere quando finirà/ e cosa resterà di questa storia/ se il vento spazzerà
dalla memoria” (Questa vita, vv.6-10
e 15-20) ; “Solo un ricordo di piacere
avaro/ Non lasciaste a me/ l’anima vostra/ ma sembianze di corpi senza vita/ e
non mi resta di voi/ altro che un niente/ occhi muti sguardi spenti/ una nebbia
che offusca la mia mente” (Gli altri che
se ne vanno, vv.9-16) ; “Paesi
appesi/ a crinali di colline/ agglomerati precari/ eppure eterni/ muri feriti da sferzar di venti (…) Paesi appesi al filo dei ricordi/ immersi
nel silenzio di voci mute (…) a contare attimi infiniti/ a consumarsi invano
nell’attesa/ di chi vi lasciò per altri lidi” ( Paesi, vv.1-5, 11-14 e 18-20, corsivi miei).
Richiamando
l’ultimo testo sono ricorso nuovamente al corsivo per segnalare, in
componimenti stilisticamente ben calibrati, stroficamente ordinati e molto
regolari come quelli scritti da Donatini, il valore pregnante e asseverativo
delle sequenze anaforiche e il
significato peculiare del sintagma ossimorico
- altri esempi: “degli incontri fugaci
eppure eterni” (Sera d’autunno, v.5) ;
“una vicina lontananza” (Un sorriso nuovo, v.5); “Ho visto
sorrider volti tristi” (Madre mia,
cit., v.8) - , sintomatico di un complessivo atteggiamento di perplessità, di insicurezza conoscitiva
e assiologica connaturali allo “spirito della modernità”: “Cadono di nuovo le stelle/ stanotte nel
cielo più scuro/ fatui baglior di fiammelle/ Nel mio silenzioso abituro/
avvolto dal buio più intenso/ un sogno che scende catturo/ Un istante che sfida
l’immenso/ una fugace vana illusione/ nella notte di San Lorenzo” (San Lorenzo, novenari pascoliani).
Però
nel deserto del mondo, ove è facile per l’autore d’intesa con “i suoi poeti”
(“Vorrei che Charles Paul Arthur ed io”, Omaggio
ai miei poeti, v.1, con elegante “allusione” al Dante delle Rime) “osservare …il funerale/ della
Speranza/ e il sinistro trionfo dell’Angoscia”( ivi, vv.17-19), non manca il
commosso riconoscimento di un parziale, marginale fremito vitalistico, accolto
e rivendicato nella sua isolata e nondimeno positiva e confortante specificità:
“E scopre d’un tratto tra un crepaccio/ uscire timido da una fessura/ un fiore
che sfida il sole/ e che s’aggrappa/ a una rara cavità di terra scura/ e che si
protende voglioso d’un abbraccio” (Rotola
l’anima…, cit., vv.13-18).
Anche
altrove la sollecitazione vitale trova il modo di palesarsi (“Tra le crepe del
tempo e tra i sassi/ sboccia furtiva un’esile figura (…) Non voglio più
ignorare la tua voce … e riscoprire/ nel breve mio domani/ il tuo sorriso tra i
vasi di gerani” (La casa in collina,
cit., vv.9-10, 18 e 20-22), aprendo l’animo dell’uomo alla speranza in una
gioia futura: “Son tornate le rondini
sui tetti (…) Son tornate a portare la speranza/ a snidare l’oscuro bieco/
verme che la carne infetta/ ma il cuore non si arrende/ spera e attende/
l’arrivo di una nuova primavera” (Nuova
primavera, vv. 4 e 13-18).
. . .
. . .
. . .
.
Nessun commento:
Posta un commento