domenica 13 dicembre 2020

FLORIANO ROMBOLI: "LA SOLITUDINE PENSOSA DI FRANCO DONATINI"

La  solitudine  pensosa  di  Franco  Donatini

 

Floriano Romboli (a sinistra),
collaboratore di Lèucade

 Non credo sia casuale che la lirica finale abbia lo stesso titolo dell’intera raccolta poetica di Franco Donatini, docente universitario e ingegnere dalla solida cultura umanistica ed estetico-letteraria.

Il componimento eponimo assicura alla silloge una “circolarità” denotante indubbia sapienza compositiva, ma soprattutto –  tramato com’è di riflessioni meta-poetiche, di considerazioni intorno alla sostanza ideale e alle condizioni spirituali della creazione artistica  – propone un ragionato quadro orientativo, un “precipitato” intellettuale-morale da cui traguardare, rileggere e intendere compiutamente il complesso dei testi che costituiscono le sei sezioni tematiche dell’opera: “Non vive il poeta sulla terra/ neppure abita la sommità dei cieli/ non cerca gloria/ o vanto della gente/ schivo usa le nubi come veli  (…)  Fugge la luce e l’allegria del giorno/ si rifugia nelle stanze della notte/ ove immagini sopite/ fan ritorno/ e popolano la casa dei ricordi/ Respira l’oscurità e il mistero/ che ammalia il suo abito inquieto/ mentre i rintocchi del tempo/ batton lenti/ accordandosi al fluire dei sentimenti” (La solitudine del poeta, vv. 1-5 e 21-30, corsivi miei).

Il corsivo vuol mettere in risalto la centralità del motivo del tempo, vale la sottolineatura del suo inesorabile trascorrere, intimamente connesso al determinarsi dei differenti stati d’animo, al precisarsi delle situazioni soggettive, largamente caratterizzate da un senso di evidente affievolimento della tensione vitale, dallo smorzarsi e quasi esaurirsi dell’attiva partecipazione alla dinamica sociale e naturale: “Rotola l’anima sul pendio dei giorni/ d’una vita sbriciolata ed appassita/ incapace/ di risalir la china/ su rocce smussate dalle piogge/ ma solo di frenare la discesa/ E scorre a ritroso il mio viaggio/ riconosce eventi già vissuti/ rivede/ con mente disillusa/ attimi di vita incontri di persone/ senza il sussulto ormai d’un’emozione” (Rotola l’anima…, vv. 1-12, corsivi miei).

La preposizione privativa rilevata alla fine della citazione conferma una concezione pessimistica che non predilige i ricordi, poiché ne ravvisa la scarsa consistenza, l’inappagante labilità: “Sono salito ansante verso il colle/ e quella casa a lungo abbandonata/ densa di ombre e amare nostalgie/ e di ricordi caduti nell’oblio” (La casa in collina, vv.1-4);  “E ti stringevo a me/ per non lasciarti/ per tornare a contare i nostri giorni/ a consumare insieme le stagioni/ ma tu fuggisti senza far rumore/ nella tua casa eterna ove ritorni/ a divider con gli altri i tuoi ricordi” (Madre mia, vv.29-35).

L’esistenza si manifesta perciò in tutta la sua dolorosa precarietà, in quanto successione di momenti psicologico-sentimentali male armonizzabili, serie di “attimi” fugaci e irrelati: “ Talvolta è solo un alito di vento/ a muoverti verso un’altra riva/ a spingerti impotente sopra il mare/ a combinare vicissitudini ed eventi/ non contemplati nella propria rotta (…)  Ignoro quanto tempo sia passato/ un lustro un anno un giorno o solo ieri/ Non son capace di contare il tempo/ né prevedere quando finirà/ e cosa resterà di questa storia/ se il vento spazzerà dalla memoria” (Questa vita, vv.6-10 e 15-20) ;  “Solo un ricordo di piacere avaro/ Non lasciaste a me/ l’anima vostra/ ma sembianze di corpi senza vita/ e non mi resta di voi/ altro che un niente/ occhi muti sguardi spenti/ una nebbia che offusca la mia mente” (Gli altri che se ne vanno, vv.9-16) ;   Paesi appesi/ a crinali di colline/ agglomerati precari/ eppure eterni/ muri feriti da sferzar di venti (…) Paesi appesi al filo dei ricordi/ immersi nel silenzio di  voci mute (…) a contare attimi infiniti/ a consumarsi invano nell’attesa/ di chi vi lasciò per altri lidi” ( Paesi, vv.1-5, 11-14 e 18-20, corsivi miei).

Richiamando l’ultimo testo sono ricorso nuovamente al corsivo per segnalare, in componimenti stilisticamente ben calibrati, stroficamente ordinati e molto regolari come quelli scritti da Donatini, il valore pregnante e asseverativo delle sequenze anaforiche e il significato peculiare del sintagma ossimorico -  altri esempi: “degli incontri fugaci eppure eterni” (Sera d’autunno, v.5) ;  “una vicina lontananza” (Un sorriso nuovo, v.5); “Ho visto sorrider volti tristi” (Madre mia, cit., v.8) - , sintomatico di un complessivo atteggiamento di perplessità, di insicurezza conoscitiva e assiologica connaturali allo “spirito della modernità”:  “Cadono di nuovo le stelle/ stanotte nel cielo più scuro/ fatui baglior di fiammelle/ Nel mio silenzioso abituro/ avvolto dal buio più intenso/ un sogno che scende catturo/ Un istante che sfida l’immenso/ una fugace vana illusione/ nella notte di San Lorenzo” (San Lorenzo, novenari pascoliani).

Però nel deserto del mondo, ove è facile per l’autore d’intesa con “i suoi poeti” (“Vorrei che Charles Paul Arthur ed io”, Omaggio ai miei poeti, v.1, con elegante “allusione” al Dante delle Rime) “osservare …il funerale/ della Speranza/ e il sinistro trionfo dell’Angoscia”( ivi, vv.17-19), non manca il commosso riconoscimento di un parziale, marginale fremito vitalistico, accolto e rivendicato nella sua isolata e nondimeno positiva e confortante specificità: “E scopre d’un tratto tra un crepaccio/ uscire timido da una fessura/ un fiore che sfida il sole/ e che s’aggrappa/ a una rara cavità di terra scura/ e che si protende voglioso d’un abbraccio” (Rotola l’anima…, cit., vv.13-18).

Anche altrove la sollecitazione vitale trova il modo di palesarsi (“Tra le crepe del tempo e tra i sassi/ sboccia furtiva un’esile figura (…) Non voglio più ignorare la tua voce … e riscoprire/ nel breve mio domani/ il tuo sorriso tra i vasi di gerani” (La casa in collina, cit., vv.9-10, 18 e 20-22), aprendo l’animo dell’uomo alla speranza in una gioia futura:  “Son tornate le rondini sui tetti (…) Son tornate a portare la speranza/ a snidare l’oscuro bieco/ verme che la carne infetta/ ma il cuore non si arrende/ spera e attende/ l’arrivo di una nuova primavera” (Nuova primavera, vv. 4  e 13-18).

 Floriano  Romboli

 

 

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