sabato 26 dicembre 2020

NAZARIO PARDINI: "EPILLIO", DIALOGO SUL SUICIDIO TRA UN FILOSOFO E UN GESUITA

Epillio

(Dialogo sul suicidio

tra un filosofo e un gesuita)

 

F.

 

Quanta storia! Mi affascina il profumo

della carta invecchiata. Ci respiro

tutt’intera una vita.

Figure di filosofi,

di poeti, di storici; di ognuno

mi facevo un’idea. Ricostruivo

immagini di santi o pensatori

tormentati dai dubbi più feroci,

isolati magari nei profondi

loro turbamenti. Atri pensieri

di violenze commesse da viventi

senza ancoraggi, in alcuni, ed in altri

amori eccelsi sopra soglie umane

d’imprevisti bagliori.

E proprio del suicidio

con te vorrei parlare Don Vincenzo.

 

D. V.

 

Brutta cosa! Non è che la tua vita

da Epicureo ti abbia stancato?

e che il pensiero privo d’Assoluto

mediti strane cose?

Speriamo che non sia.

Tu hai bisogno di fede, mio Roberto.

 

F.

 

Non sono qui venuto a confessarti

ripensamenti estremi. Tantomeno

medito torva fine. Nel mio credo

ci sono, e tu lo sai, saldi valori,

altrettanto vigorosi: l’edonismo,

il paradiso in terra, soprattutto

l’amore ed il piacere di gustare

le cose che natura ci ha donato:

la vita senza un fine,

la sana libertà,

con cui sfruttare il caso irripetibile

della nostra venuta. Ma quest’oggi

io sono qui da te per affrontare

il tema del suicidio nella storia,

mio Vincenzo. Tu sei un amico colto,

grande maestro, e in più sommo gesuita.

Con chi indagare in modo più appropriato

un contenuto che coinvolge storia,

filosofia, scienza, psichiatria,

letteratura o altro; verrà a galla

Saffo, Bruto minore, e prima Jacopo

o Werter o Eloise o perché no!,

L’uomo dal fiore in bocca. Per citare.

Premetto che il suicidio è sempre stato

in tutti i tempi il tema di filosofi,

religiosi e medici. E le cause

(pur personali) sono rintracciabili

nei rapporti sociali ed in culture,

che tanto hanno influenzato menti umane.

Ti ricordo che il più antico documento,

a proposito, è il papiro di Berlino:

la morte si considera in quei fogli

una gran sorte di accogliente porto;

liberazione estrema dai dolori.

E nella lunga storia poi sarà

a volte condannato, a volte ammesso.

Furono epicurei, stoici e cinici

a difenderlo. Anche Lucrezio amò

l’azzeramento come libertà.

Ed il saggio restava indifferente

sulle cose e la vita.

 

D. V.

 

Ma i seguaci di Platone e di Aristotele

vi videro un’azione

contraria a ogni volere degli dei.

La vita è sacra e per il primo è un dono.

Usurpare nessuno può agli dei

di ritenere il diritto che una sorte

sia giunta ormai alle porte.

Il pensiero di Aristotele va oltre:

cancellare non può un’azione umana

i doveri che l’uomo ha verso i simili.

Il cristianesimo prese il suo pensiero.

Ma parlare dovrei anche dei padri:

S. Agostino e S. Tommaso si ritengono

certamente contrari a tale pratica.

Grave delitto in quanto violazione

del fondamento biblico che è un ordine:

“Non ammazzare”. L’uomo, ti ripeto,

non ha nessun potere. Spetta a Dio

creare ed annullare vite umane.

Tribunali ecclesiastici sancirono

norme severe  e dure punizioni

per ogni inosservanza a pensatori.

Età particolare

fu certamente quella medioevale.

 

F.

 

Offuscava il tempo, con soffocante

aria di punizione e di peccato,

ogni coscienza. E si capisce bene

perché per lungo tratto quel fenomeno

si fosse assottigliato. Ma il suicidio

fu visto solamente

sotto il profilo etico

e religioso fino a quella età.

Attendere dovremo

il rinascente spirito

e ancora di più il tempo dei lumi

per essere stimato

come un atto di libertà dell’anima.

E ne fa fede l’opera di Hume;

da noi fu d’accordo il Beccaria

per un’azione vista con ragione

e non più sotto l’azione

offuscante dei sogni. Ma per Kant ...

 

D. V.

 

Kant è ben altra cosa mio Roberto.

L’osservazione sua sul suicidio

che fa torto a se stesso quando ignora

che l’esistenza (al di là dell’empirismo

di una persona umana portatrice

di valori esteriori) è dotata

di una particolare dignità,

è di radici cristiane. Ma è tra

i romantici che esplode il nostro caso.

 

F.

 

Veniva il tempo in cui amore, onore

ed eroismo furono ideali

che ne fecero incetta. E tutti furono

simboli di quella generazione.

E si aggirò senz’altro sulle sponde

del suo mare o sui colli solitari

del suo suolo, con in mente un duraturo

marmo sugli Euganei, il poeta.

Per lui deluso, solo la battaglia

più antica di un eroe con l’immagine

eletta di un aedo, fece sì

che vincesse la vita. Lunga storia

da caduco mortale ai propri versi

lesse esaltato. Eppure, epicureo

anche lui, e senza ardore per il regno

dei cieli, seppe dare ad un sepolcro

eterna giovinezza. Eppure vide

la durata dell’uomo nel pensiero

che tramandò la storia. E così,

il gran cantore di saffiche stagioni

e della cruda sorte del minore

dei Bruti, nonostante divorasse

natura l’Islandese, amò l’amore

e in Silvia e in giovinezza; e in arduo modo,

fuori da intendimenti trascendenti,

esaltò epicamente

il senso della vita e propugnò

che l’uomo si associasse contro sorte.

 

D. V.

 

Ma tanto più serena è l’esistenza

se si vede la fine

in grembo al Creatore. Di quei tempi,

di cui hai portato esempi

da fuoco degli Uberti, è pure il monito

di colui che predicò nel grande libro

la mano del divino e vide il còrso

a dominare il mondo perché fu

Iddio che lo volle. Più sereno

fu certamente l’animo dell’uomo

che s’impegnò civile e religioso

verso mete di fede e di speranza.

 

F.

 

Più eroico però di certo è il ruolo

di quelli che notarono convinti

nella vita terrena uguale sorte

per ogni mortale.  Ed in loro,

sfortunati di fede, fu senz’altro

più apprezzabile lo sforzo di assegnare

all’esistenza un impegno e un dovere.

 

D. V.

 

è il filosofo estremo ad affermare

che è attraverso il suicidio che un vivente

confermerà il dominio sul volere

senza esserne schiavo. Esistenziale

sarà il problema. E tanto crescerà

lo sfronto tra l’esistere e la vita

che aumenteranno i dubbi. Facilmente

si ridusse alla morte in un albergo

chi non vide possibile

risplendere la luna sui falò.

E proprio in questi tempi puoi notare

quanto sia duro il fatto dell’esistere.

Quanti dubbi imperversino in viventi

soltanto inariditi

da scopi materiali. I nostri giovani

li vedi spersi e incerti vagolare

in mondi defraudati dello spirito.

 

F.

 

Penso alla civiltà d’Oriente. E a quanto

sia diversa la prassi nei confronti

del suicidio. Accettato, spesso acquista

funzione religiosa, laggiù. In Cina

ha valore di protesta contro offese

di disonore pubblico

per chi l’abbia commesse. Ed in Giappone

moralmente non era condannato;

diventava una vera cerimonia

di “harakiri” che

(a volte, morendo l’imperatore)

portava a suicidi collettivi.

Questo è un solo esempio.

 

D. V.

 

Mentre il Buddismo è in linea generale

contrario a tale atto. Ché si pensa

non possa liberare dal circuito

delle reincarnazioni. Solamente

si ammette che (se un monaco si sente

di avere ormai raggiunto la beata

contemplazione) il religioso possa

compiere il gesto estremo con il fuoco.

è in India che si aggiunse anche una pratica

(detta “sutuee”): imponeva

di seguire alla vedova sul rogo

il corpo del defunto. Come vedi,

per chi era nei paesi più diversi

altrettanto diversi erano gli usi.

 

F.

 

Se mi permetti voglio completare

con note più precise

riguardanti la scienza. Solamente

a partire dal secolo di Freud

viene affrontato l’atto suicidario

con ottica medica e scientifica.

Tutti gli aspetti sono contemplati:

il diritto dell’uomo,

la libertà di scelta,

fino ad ogni forma preventiva

con studi sia di psiche che di ambiente.

 

D. V.

 

La psichiatrica tesi di Esquirol,

ripresa da Brondel ed alienisti,

portò alla conclusione

che il suicidio è una conseguenza

d’infermità mentale, temporanea.

Fu una condivisa affermazione.

 

F.

 

Anche Virginia Wolf era ammalata?

Disse di sé: “Mi sento come un cumulo

di sabbia sotto un’onda.” E proprio l’onda

recise la sua età

galleggiante nel rischio.

Forse doveva attendere

che il destino giungesse

a recidere il filo: una tempesta

per Schelley, una stazione per Tolstoj,

(la stessa conclusione per  Karenina)

o una povera spina di una rosa

per Kilke. Ma per Virginia forse

fu possibile soltanto epigrafare

l’idea di libertà in “death by water.”

 

E qui da noi che dire sul problema.

In Italia è follia? Ma di chi?

Degli indagati o degli indagatori?

In un paese dove cresce il numero,

vi cresce la pazzia?

È malattia di mente o è il sistema

che non funziona più, il potere occulto

che occulto più direi.

L’ultimo è Lombardini (e lo speriamo)

dopo Gardini, Cagliari, Amorese,

Moroni,Vittorìa; questi indagati

non ressero al tormento. In prospettiva

di un calvario così triste delle indagini,

e di una risonanza,

che un fatto può ottenere nei mass-media,

Lombardini ha scelto la sua fine.

Mi hanno insegnato a scuola ed ho insegnato

che alla base di un mondo democratico

vige la divisione dei poteri.

Non è così. Il sistema è squilibrato.

 

Ed anche un grande uomo

ha dovuto sottostare agli ostacoli

di lotta burocratica e politica,

che taluni individui

gli volsero contro con superbia.

Dimostrò lottando che la storia

della prima repubblica non era

del tutto da gettare. E quanto fosse,

al contrario, opinabile e illusoria

l’onestà della seconda. Che illusione!

 

Il piccolo cimitero di Hammamet

lambisce il mare e assorbe quelle aurore

che aspergono le coste dell’Italia.

Volge lo sguardo a Oriente,

le spalle ad Occidente

inebriandosi dei canti

degli inquieti gabbiani.

è là che, morto, vive un Italiano

in un perpetuo esilio della mente

rivolta alla gente del suo cielo.

Guarda lontano che si levi il sole.

Forse gli porterà note e portali

di Verdi, di Puccini e del Vasari.

 

Da questa parte

se vuoi vedere l’alba

gli devi volgere le spalle di vergogna;

per guardare il tramonto

sei costretto con gli omeri a una patria

rossa nelle facciate e sopra i tetti

di un’aria che ricorda altri sospetti.

 

19/01/2000

 

 

 

 

 

8 commenti:

  1. RICEVO E PUBBLICO

    Caro Nazario, sei coraggioso come lo dovrebbe essere qualsiasi poeta che si rispetti e non si limiti a parlare di tramonti e fiorellini ma esprima le proprie opinioni anche se possono essere controcorrente. Questo poemetto in morte di Bettino Craxi – che non so se si sia suicidato come tu lasci intendere – oltre a essere intriso di un'enorme cultura ha momenti di grande lirismo soprattutto nel finale nel parallelismo dei due luoghi dove lo statista è vissuto. È una denuncia forte e drammatica la tua, un “J'accuse” preciso senza fraintendimenti che tu lanci nelle ultime strofe del tuo scritto. E lo fai con una leggerezza sorprendente quale solo un grandissimo artista, quale tu sei, può fare. Non so se la data che tu metti in calce allo scritto sia quella effettiva del componimento oppure serva solo per rendere evidente, senza nominarlo, di chi si parli. E mi piacerebbe saperlo perché normalmente noi scrittori con il tempo perdiamo smalto mentre tu ogni giorno ci stupisci con nuove invenzioni.
    Credo che, al di là di ogni considerazione, dovresti far pervenire in qualche modo questo tuo poemetto ai figli di Craxi. Te ne sarebbero certamente grati.
    Carla Baroni

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  2. una carrellata che apre la mente a numerose osservazioni, tutte pregne di valori caleidoscopici. Hai toccato le corde della memoria e dell'ingegno con il passo rapido e sicuro di chi entra nella storia per suggellare valori assopiti! Da rileggere!

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  3. In questo poemetto lo Straordinario e Unico Prof. N. Pardini, al massimo della Sua maturità anagrafica, culturare, etica, di fede, morale e perchè no psicologica (quando cioè si iniziano a pesare sulla propria stadera i pro e i contro del proprio vissuto) descrive, in una prosa versificata o in versi volutamente quasi in prosa (vedi a confronto la Sua "La piena del Serchio", una seguenza inarrestabile di interrogativi, domande, di quesiti, dei perchè e dei come prettamente esistenziali che solo un uomo che personifica la Cultura a 360 gradi può chiederseli e tutti. Come Dante nella Divina Commedia si pone a latere di un suo pari (Virgilio), così il Prof. Pardini si pone a fianco un Gesuita-teologo dove il dialolo con lo stesso acquista una profondità di pensiero non comune ed insolita nel contemporaneo, se non per gli adetti ai lavori. Estasiato, di tanta capacità dialogica-espressiva, trasborda nel lettore tutti quei suoi perchè per una propria meditazione esistenziale che l'uomo, in quanto tale (entità di pensiero), ha forse il dovere o la necessità di porgersi per chiedere a se stesso il perchè in questa -esiste-.Pasqualino Cinnirella

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  4. Nazario mio, continui a lasciarmi basata con il tuo eclettismo e la tua capacità di cimentarti anche su tematiche di rara difficoltà. In questo breve poema d'indole epica, scritto rispettando rigorosamente i canoni poetico - narrativi dei testi greci, per l'esattezza alessandrini, esplodi con un problema come il suicidio mettendo in rilievo i sostenitori e i detrattori dello stesso. Il tuo è un viaggio condotto in forma di dialogo, come si addice allo stile ellenico, tra un filosofo e un padre gesuita sui vari pensatori, poeti, narratori e sulle loro posizioni etiche. Tra coloro che sostengono il libero arbitrio nel porre fine alla propria vita citi la poetessa Saffo, che saltò dalla rupe della tua magica Isola; il Bruto minore della canzone leopardiana; lo Jacopo Ortis delle Ultime Lettere di Foscolo; e il protagonista della novella di Pirandello "L'uomo dal fiore in bocca". Ti soffermi sulle correnti religiose, filosofiche, politiche, sulle scelte individuali più o meno opinabili e, come sottolinea Carla con la consueta splendida fierezza espressiva, arrivi al leader politico dei nostri tempi, Bettino Craxi, che 'ha dovuto sottostare agli ostacoli/
    di lotta burocratica e politica,/ che taluni individui/
    gli volsero contro con superbia". Di fatto esprimi il tuo parere, con il coraggio che ti contraddistingue e, alla luce delle vicende politiche attraversate negli anni, credo sia velleitario darti torto. Sul suo suicidio ho le mie perplessità, in quanto sembra sia morto d'infarto, dopo lunghe sofferenze cardiache, ma il cuore, si sa, risponde spesso alle ragioni del vivere. Ed è indubbio che Bettino Craxi rifiutasse l'esilio e continuasse le sue lotte da Hammamet. Gli ultimi versi si infuocano del tuo ardore di Uomo e di Poeta, descrivi il letto di morte del leader italiano e io mi lascio andare con il pensiero a Borges e al suo assunto: "Nessuno e la Patria. La Patria è un atto perpetuo come il perpetuo mondo". Nessuno perde le radici, Amico immenso, le piantiamo nei cuori di coloro che amiamo. Un poemetto travolgente che meriterebbe intere pagine di autentica critica. Ti chiedo scusa per la mia pochezza e ti ricordo che rappresenti la partitura delle mie giornate. Senza di te mi sento muta. Ti stringo insieme ai miei illustri compagni, Carla e Antonio...

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  5. Il mistero Pardini continua…

    Da sempre, trattare e parlare del suicidio è stato è, e continuerà ad essere, un argomento del quale non si può parlare a cuor leggero.
    In questo “Epillio” (poema epico), lo storico e umanista illustre Prof. Pardini osa parlarne con la leggerezza tipica del volo di una farfalla o di un passo di danza leggero come quello di cui solo un’abilissima ballerina di danza classica è capace.
    Non serve sapere quando è stato composto e non ci interessa neanche conoscere il motivo o la persona per cui o per il quale è stato scritto.
    L’autore, in questo mirabilissimo saggio, varca i confini di ciò che è, apparentemente semplice, e allo stesso tempo complesso, dando senso al fatidico “Consenso informato” contrapposto “all’Accanimento terapeutico”. Argomenti che hanno riguardato e riguardano l’etica e la morale corrente di ogni tempo con gli infiniti temi e problemi a cui sono legati.
    Per chi crede in un Ente Supremo, il suicidio è un gesto da condannare e per chi non crede pure ma, non v’è dubbio alcuno che, coloro i quali ne sono coinvolti, per forza di cose, ne vengono stravolti.
    Solo un grande maestro di vita può calcare il sacro sentiero che porta alla illuminante verità del “Libero arbitrio”.
    Ma Egli, alla maniera tipica dei grandi scrittori e saggisti, vi si inoltra camminando con il passo leggero dei Suoi inconfondibili versi intrisi di poesia pura e vera.
    “Essere o non essere” è stato e continua ad essere il dilemma di sempre ed il bravo autore di questo immaginifico dialogo ne sa fin troppa di filosofia e storia per evitare di trattare un argomento così spinoso e delicato. E non vi è tempo, era ed epoca in cui l’uomo, unico essere pensante, non si sia cimentato con il suicidio, seppur senza mai arrivare ad un approdo certo e sicuro.
    Ciò nonostante l’Illustre prof. Pardini, ne parla senza timore alcuno, con la leggerezza e la grazia di un grande maestro di vita quale egli è e sa di essere.
    Chi legge questo saggio non può fare altro che inginocchiarsi e piegarsi di fronte a cotanta bellezza. Quella bellezza di cui parlava Dostojewsky, nota solamente a coloro i quali è stato dato il dono del talento naturale scaturito dall’immensa cultura che li ha resi grandi per sempre.
    Il Prof. Pardini è uno di questi.
    Un grande del nostro tempo che non ha, né avrà mai perso il Suo tempo a giocare con le parole in quanto queste, pur essendo state scritte, non sono altro che musica armonica e melodica nelle Sue poesie fino a diventare addirittura sinfonie in questi poemetti epici nei quali Egli, di tanto in tanto, si diletta.
    Mi sarebbe piaciuto veramente conoscerlo di persona un uomo di così alta cultura poiché se non altro sarebbe valsa la pena vivere anche solo per poter dire che al mondo esiste quello che io definisco un vero e proprio mito del nostro e di ogni tempo.
    Grazie mille di esistere professore, l’ho sempre ammirata e continuerò a farlo fino alla fine dei miei giorni. La ringrazio molto così come, infinitamente, ringrazierò gli amici che mi hanno dato la possibilità di conoscere i Suoi magnifici componimenti.

    Josye Traulcer

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  6. RICEVO E PUBBLICO

    Caro Nazario,
    una volta di più sono meravigliata e stupita dalla forza della tua scrittura poetica. Chi ti segue ben conosce la ricchezza e la varietà del tuo itinerario proteiforme, ma questa volta mi hai stupito per la forma del poemetto, anzi dell’epillio, come dottamente intitoli, per l’argomento e per l’articolazione dei pensieri... alla fine di un anno così catastrofico da indurre molti a consentire all’ipotesi di un ultimo viaggio verso “accogliente porto”.
    È sempre il tuo amore per la letteratura quello che prevale, quello per “la carta invecchiata”, ma in questo caso è espressione di grande turbamento anche per te, abitualmente e stoicamente sereno.
    Ci ritrovo la tua attività di studioso, la tua grande cultura, il tuo passato da insegnante. Eccoli comparire allora nel loro succedersi storico i grandi suicidi : Saffo, Bruto minore, Jacopo, Werter o Eloise, Pirandello…. E poi la riflessione geografica e geopolitica, possibile di infiniti approfondimenti.
    Concludi con un caso politico per te significativo, ma molto molto controverso.
    Perdonami: avrei terminato con un cenno o forse più alle donne, le tante donne disperate, le poetesse dalla parola negata che non hanno retto all’angoscia, come A. Pozzi, A. Rosselli, A. Storni, A. Pizarnik, S. Plath, A. Sexton M. Cvetaeva…c’è solo l’imbarazzo della scelta.
    Un sereno anno nuovo, nonostante tutto. Ricordandoti con affetto.
    M. Grazia

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  7. RICEVO E PUBBLICO

    NOTA DI COMMENTO SU “EPILLIO”, DIALOGO DI NAZARIO PARDINI.

    Due figure emblematiche, un filosofo e un gesuita, ossia un religioso colto e “ragionatore”, dialogano sul tema del suicidio in questo “Epillio” di Nazario Pardini riprendendo idealmente il leopardiano “Dialogo di Plotino e Porfirio” delle Operette Morali. Leopardi vi aleggia anche nelle citazioni del “Bruto Minore” e dell’ “Ultimo canto di Saffo”, ma molte sono le fonti e le figure letterarie inerenti al tema che il poeta toscano aduna nel suo breve ma intenso dialogo.
    “Ma tanto più serena è l’esistenza, se si vede la fine in grembo al Creatore”. Con queste illuminanti parole il gesuita Don Vincenzo introduce la figura del Manzoni, ”colui che predicò nel grande libro la mano del divino”, l’autore forse più vicino alla sensibilità e alla cultura di Nazario Pardini.
    Partendo dal testo apocrifo del “papiro di Berlino”, tutto l’immaginario della sua formazione letteraria, un’ideale compagine di letterati ( Lucrezio, Leopardi, Goethe, Foscolo, Manzoni, Virginia Wolf, Shelley, Tolstoj, Rilke, Pavese…), di filosofi ( Epicuro,Platone, Aristotele, Tommaso e Agostino,Hume, Beccaria, Kant, gli esistenzialisti…), di uomini di scienza ( Freud, Esquirol,Blondel, gli alienisti,…) e le religioni e le culture d’Occidente e d’Oriente, sono citate e convocate a testimoniare sulla “vexata quaestio”.
    Non si tratta di una congerie disordinata e neppure di una mera elencazione di nomi: il dialogo, nel suo insieme, risulta piuttosto come una sorta di caleidoscopio filosofico, dove i bagliori di ogni posizione ideologica si succedono e si riflettono, venendo a contatto e interagendo fra loro.
    Fra le rivisitazioni letterarie forse manca quella, conturbante e penetrante, del monologo dell’Amleto scespiriano, così carica com’è di quella indeterminatezza, di quella vaghezza che è propria della poesia.
    Nell’ultima parte Pardini, abbandonando gli ambiti dell’immaginario iconografico letterario, irrompe a sorpresa nella cronaca politica della recente storia nazionale, citando per nome alcune delle vittime suicide della cosiddetta “tangentopoli”, per chiudere con la commemorazione, polemica e visionaria, del rappresentante emblematico di quel “dies irae” giudiziario, di quella stagione sanzionatoria e apocalittica che molti ingenui salutarono come un’alba di giustizia: Bettino Craxi, morto esule in terra africana.
    Cosa sia mai dunque il senso del suicidio, la rinuncia volontaria all’immenso dono della vita?
    Idea o atto? Libertà o costrizione? Opportunità o condanna? Santità di martire o peccato di empio? Coraggio o viltà? Dissennatezza o affermazione ultima della volontà? Cieca disperazione o dignità suprema? Eroica ribellione alle persecuzioni della sorte o perdizione miserabile e senza appello?
    Ponendo questi dilemmi e argomentando su di essi, i due dialoganti passano in rassegna i testimoni delle epoche e delle culture della storia dell’uomo.
    Col suo “modus scribendi” sobrio ed epigrafico, aristotelico, quasi compilativo, squisitamente colloquiale, alieno com’è da enfasi ed iperboli, in quest’opera straordinaria che si richiama al modello leopardiano, Pardini dispiega e illumina un panorama culturale grandioso e stimolante.
    Questo dialogo non appare come una dissertazione trattatistica e comunque, a ben vedere, resta sul terreno dell’aporia e non vuol dare risposte definitive.
    Appare piuttosto, per l’inclito e per l’incolto, come una chiamata a riflettere. ad approfondire, un invito a prendere coscienza riguardo a un tema cruciale del pensiero umano .
    Un lievito culturale, un’occasione da non perdere.


    Luciano Domenighini
    1 gennaio 2021

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  8. RICEVO E PUBBLICO

    Carissimo Nazario, ti invio queste mie riflessioni dopo la lettura del tuo Epillio.
    Se non dovessero piacerti puoi non pubblicarle.

    ^^ Leggo alcuni commenti su la più recente (?) opera di Nazario Pardini.
    Leggo e prendo atto di quanto si dibatte su questo Epillio squisitamente letterario.
    C'è un Pardini filosofico? certamente sì, perché l'argomento anche nella sua stessa strutturazione ha tutti i motivi di una argomentazione etico-religiosa.
    Leggo interessanti e dotte "spiegazioni" di un problema dibattuto nei vari secoli della Storia , fin dai primi filosofi greci. Leggo anche qualche appunto di personale approfondimento...;
    ciascuno degli scrittori dichiara la sua stima e ammirazione nei confronti dell'Autore, che ancora una volta sorprende i suoi lettori con un'opera "nuova". Tutti concludono poi con il plauso di affettuoso stupore per l'uomo di immensa cultura che scrive con versi leggeri persino un dettato tanto austero.
    Io, che non mi ritengo una esperta di scienze filosofiche né una accreditata scrittrice critica per un lavoro tanto specifico, non riesco a staccarmi dal mio pensiero fondamentale, sempre attratta dalla costante ricerca dell'Uomo.
    Pardini filosofo? Pardini uomo di immensa cultura? Pardini poeta? Sì, tutto questo non si può negare leggendo questo Epillio. Certamente il Professor Nazario Pardini è tutto questo!
    Ma perché ancora guarda e analizza, anche se questa volta non direttamente , lo scomodo personaggio Thanatos?
    Qui la presenza di Thanatos è ancora più inquietante, si nasconde dietro il lato più complesso della eterna lotta con l'uomo: la forza del suo pensiero. Per Pardini oggi non conta la partita a scacchi con la Morte, c'è in gioco molto di più: c'è il dubbio.
    E forse il dubbio è più interessante di una certezza cui non si può sfuggire.
    Dunque è questo l'argomento che richiama il suo poiein.
    Perché Pardini è e resta comunque "il Poeta"
    Concludo questa mia breve nota di riflessione affermando ancora una volta che l'animo del vero Poeta è votato nunc et semper esclusivamente alla sua Musa.
    Perciò grazie, amico Poeta, che sai così bene subordinare alla Poesia qualsiasi altra forma di pensiero.
    Con immensa stima e grande affetto,
    Edda Conte

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