Il camino ardeva in cucina
scoppiettando. I bambini correvano e giocavano a nascondino nelle fredde stanze
dell’ampia casa per tenere a freno i gorgoglii dello stomaco, a mala pena
riscaldato al mattino con pizzette con le alici e frittelle di cavolfiore. Il
digiuno doveva essere rispettato anche dai più piccoli, in compenso la cena di
Natale sarebbe stata più gradita e più apprezzata. Cena di magro, anche quella.
Baccalà in bianco, condito con olive, pezzetti di peperoni sottaceto, prezzemolo,
aglio e abbondante olio. Una vera e propria prelibatezza il baccalà fritto in
abbondante olio bollente, croccante fuori e morbidissimo e gustosissimo dentro.
Ancora peperoni imbottiti di mollica di pane, prezzemolo, alici o in
alternativa con mollica di pane imbevuta di mosto per chi non adorava le alici.
Gli spaghetti col sugo di vongole, pezzi di anguilla al forno o arrostita
chiudevano la prima parte della cena. Le seconde mense era tutto un brulicare
sulla tavola di castagne secche e morbide, noci, mandorle, confettini colorati,
torroni e torroncini morbidi, duri fino a spaccare i denti, croccante e
mandorle pralinate: una vera cuccagna per i piccoli, anche per riempire lo
stomaco spesso riluttante verso le pietanze dei grandi.
Stranamente il cielo era di un
intenso azzurro che si confondeva col biancore dei monti lontani. Nei prati
qualche rada macchia bianca di neve recente.
Faceva freddo, ma il sole pungeva gli occhi, insolito segno di
primavera.
I piccoli decisero di andare alla
chiesa, la piccola chiesa del paese. In fondo il gran presepe. Poggiati
alla balaustra due freddolosi pastori nelle ampie giacche di bianchi velli,
ansimanti alle cornamuse. Suono dolce che tenne estasiati i bambini per qualche
minuto. Poi via a sistemare i pastorelli in bilico su monti di sughero e
muschio. Alla luce rossastra delle candeline, nella capanna di cartone
sorrideva il biondo Bambino e all’entrata gli zampognari con le labbra
attaccate alle cornamuse mute. Nel cielo blu di carta velina il tremolare delle
stelline di latta d’argento.
L’ora cominciò a farsi tarda. Una
nebbia sottile incominciò ad avvolgere la massa nera degli alberi accanto alla
sagoma grigia della chiesa senza lume. Tenebre sempre più nere coprivano le
case del paesello e dalle finestre lontane vibravano lumicini come stelle in
una notte cupa. Si intuivano voci dolci, tenui, accorate, di uomini e donne
protesi nel mistero.
Toni non arrivava. Nessuno sapeva
il motivo di tanto ritardo. Aveva fatto sapere tramite cartolina postale dagli
Abruzzi che sarebbe arrivato, neve permettendo, nel primo pomeriggio della
vigilia di Natale.
Con la voce tremante di pianto
represso la nonna radunò i piccoli intorno a sé e avvio la recitazione di
antiche giaculatorie per propiziare l’arrivo del caro figlio. Il più piccolo
dei nipotini, come un convolvolo su vecchio muro coperto di muschio oscuro,
affondò il minuscolo viso tra le pieghe disfatte sul grembo della vecchia come
a cercare il molle tepore di un seno. Col viso quasi esangue, i capelli bianchi
fuori dal fazzolettone che le copriva il capo, la donna si chinò a pronunciare
nel soffio lievissimo d’un bacio la parola più dolce: figlio mio! Il piccolo
subito si aggrappò con la manina sottile al suo dito, la guardò in volto, vide
che non era quello della mamma sua e subito ritrasse la manina, mentre già il
caldo umidore delle lacrime aveva bagnato il ricamo di venuzze azzurre sul
piccolo pugno. Gli occhi del piccolo divennero allora per il pianto come lembi
di cielo gonfi di pioggia scrosciante e come un fiordaliso sferzato dal vento
si dilegua lieve nell’azzurro del cielo, così il bimbo riparò di corsa dalla
mamma.
Sospiri frammezzati a singhiozzi, tristezza
sui volti, parole accorate era tutto quello che preludiava a una serata
tristissima. Il capo ricciuto dei bimbi più piccoli già ciondolava dal sonno,
inutilmente le mamme tentavano di tenerli desti con il gioco della tombola o
con la promessa dell’arrivo a notte fonda del buon vecchietto che in cambio di
castagne e fichi secchi avrebbe lasciato qualche dono.
Con quanta ansia tutti a casa avevano
atteso la sera e quanto a lungo lo sguardo di Toni aveva errato in cielo per la
lunga distanza.
Solo il fremito delle stelle gli
aveva tenuto compagnia e il desiderio rimasto nel cuore, dischiusosi ormai alla
speranza, di giungere in tempo per celebrare il Natale. Mancavano solo pochi
chilometri e si sarebbe tuffato tra i suoi con la passione di un amante troppo
a lungo tenuto lontano dalla donna amata. Tutto quello che la vita gli aveva
dato sotto forma di dolore l’avrebbe tuffato nella nebbia opaca della
malinconia e del ricordo. Ormai dal suo cuore zampillava gioia pura come una
vena limpida dalla nascosta roccia. E nella sua voce rotta tra i sassi e
affogata tra l’erba, vi era il riso della gioia anche se nel fondo muto dell’animo
i lineamenti scomposti del volto dei compagni caduti grondavano il pianto di un
sogno ormai morto.
L’ombra cupa del fogliame
sembrava tremolare di voci conosciute. Il silenzio pauroso ed infinito del
lungo viaggio era diventato dolce poesia, ora che la sua casa appariva piccina
in lontananza, nel cielo ovattato di nebbia, al tremulo canto di rari uccelli
notturni. Man mano, passo dopo passo, sempre più grande la casa allo sguardo e
sempre più gonfio il cuore di gioia. Non gli mancò la voglia di scherzare.
Girava carponi intorno alla casa, lo seguiva pian piano stupito, da un salto
all’altro, dalla finestra il viso di un bimbetto il quale corse ad avvisare che
era arrivato il vecchietto dei doni. Tutti accorsero al portone: urla, grida di
gioia, lacrime, abbracci. Toni era finalmente arrivato. Il vecchietto sarebbe
arrivato più tardi con i doni. Intanto ebbe inizio la cena.
Adriana Pedicini
Ambiente certamente meridionale, forse campano. Ci sono tanti dettagli che riportano al Sud, a cominciare dall'atmosfera che si respira nella casa e tutt'intorno. E poi la cena della vigilia, il clima del Natale... Su tutto questo s'innesta il tema del ritorno di Toni e dell'arrivo del "vecchietto" con i doni.
RispondiEliminaIl racconto, condotto con mano sicura, è pervaso da un'aura di religiosa attesa e da un caldo afflato d'amore.
Pasquale Balestriere
Anch'io ho rilevato nell'intenso racconto della cara Adriana delle caratteristiche dell'ambiente del sud, che conosco fin troppo bene. Un ambiente molto vicino a livello geografico, a quello nel quale sono cresciuta io, che ha risvegliato ricordi mai sopiti. 'Le pizzette con le alici' e 'le frittelle di cavolfiore', il digiuno, rispettato in modo rigoroso, per quello che non era 'il cenone' dei nostri giorni, ma 'la cena di magro di cui parla L'autrice:'Baccalà in bianco, condito con olive, pezzetti di peperoni sottaceto, prezzemolo, aglio e abbondante olio. Una vera e propria prelibatezza il baccalà fritto in abbondante olio bollente, croccante fuori e morbidissimo e gustosissimo dentro. Ancora peperoni imbottiti di mollica di pane, prezzemolo, alici o in alternativa con mollica di pane imbevuta di mosto per chi non adorava le alici. Gli spaghetti col sugo di vongole, pezzi di anguilla al forno o arrostita chiudevano la prima parte della cena. Le seconde mense era tutto un brulicare sulla tavola di castagne secche e morbide, noci, mandorle, confettini colorati, torroni e torroncini morbidi, duri fino a spaccare i denti, croccante e mandorle pralinate'... Ricordo tutto e, incredibilmente, risento il sapore. Sapore di evento che raccoglieva vicini tutti i parenti con lo spago della fede e della tradizione. Due termini caduti un 'pò disuso o, forse, semplicemente, interpretati in modo diverso, adattati alla società liquida in cui viviamo. Il brano é ricco di pathos, di malinconia e di nostalgia ed é pervaso da un'atmosfera quasi magica... quella delle radici? Della patria interiore. Leggendolo io ho pensato molto alla mia infanzia, alle storie che restano per sempre... e ringrazio di cuore la mia amica per avermi condotta in questo viaggio nella memoria. Ne approfitto per rivolgere a Lei, a Nazario e a Pasquale Balestriere gli auguri più lievi.
RispondiEliminaMaria Rizzi