mercoledì 9 dicembre 2015

M. GRAZIA FERRARIS: "EURIDICE"



Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade

EURIDICE



Dall’ottobre scorso il nostro Lèucade ospita il confronto/dialogo Lolli – Campegiani sul tema del mito: Orfeo e Omero. Orfismo, razionalismo, spiritualismo, mitologia-mitopoiesi, coscienza-conoscenza, mito-logos, sapienza…: sono i temi che si dipanano rincorrendosi filosoficamente, dialetticamente.  Vertici di pensiero a tratti, intensità di voci magistrali, stimolanti, che pur si fatica a seguire,… Eppure…dirigendo selettivamente la mia lettura,  è di Euridice che mi interessa parlare…(“l'assenza dell'oggetto,Euridice”).
  Il mito di Orfeo e Euridice è fondativo della  storia della cultura occidentale: pone una molteplicità di questioni che sono particolarmente significative dal punto di vista speculativo: la poesia, il canto, la ricerca, il limite, l’amore, la morte…il mito e il  logos…
D'altra parte la rilevanza strettamente filosofica del mito di Orfeo e di Euridice è già implicita nelle prime versioni più complete e dettagliate del mito stesso, che risalgono a Virgilio, nel IV libro delle "Georgiche", e a Ovidio, nel X libro delle "Metamorfosi".
L'antefatto narrativo è noto: Orfeo è riuscito ad ammansire le divinità infernali col suo canto, è riuscito ad ottenere quindi che esse consentano il ritorno di Euridice, alla condizione che egli non si volti a guardare la sposa prima di essere uscito dall'Ade. I due intraprendono il cammino di ritorno - un cammino ripido, oscuro, difficile, aspro -, e proprio quando sono in prossimità della conclusione di questo viaggio accade l'irreparabile.
Dice  Virgilio: "Quando un’ improvvisa follia…" - il termine latino è 'subita dementia' –
"Quando un'improvvisa follia colse l'incauto amante, perdonabile invero se i Mani sapessero perdonare: si fermò, e proprio sulla soglia della luce..." Accresce il pathos della narrazione…”: si volse a guardare la sua diletta Euridice".
 La trasgressione del patto stipulato con Plutone e Proserpina è compiuta, e la prima immediata reazione è della stessa Euridice che -rivolgendosi a Orfeo - esclama:
 "Chi ha perduto me, sventurata, e te Orfeo? Quale grande follia?" - e qui il termine virgiliano è 'furor'. Che cosa induce Orfeo a un gesto di 'furor', di 'subita dementia', di insania?
Il patto-non voltarsi- era davvero così facile, elementare da rispettare?
 Si chiede a Orfeo amante di non guardare l'amata, si chiede a Orfeo – (esiste una sostanziale equivalenza/ identità tra il vedere e il conoscere!), di amare senza conoscere.
Ma la scissione di amore e conoscenza non è possibile: è appunto questo il paradosso che segna anche l'esito tragico, l’ epilogo di questo viaggio.
“Chi ha perduto me, sventurata, e te Orfeo? Quale grande follia?"
L’aveva capito benissimo il grande C. Miloz che nella sua Orfeo e Euridice scrive:
“Avanzava rigidamente, guidata dalla mano
del suo accompagnatore. Di pronunciare il suo nome
aveva una gran voglia, di risvegliarla da quel sonno.
Ma si trattenne, sapendo di aver accettato la condizione….
…Nella sua fede aumentò il dubbio
e si avvinghiò a lui come una fredda edera.
Incapace di piangere, pianse sulla perdita
dell'umana speranza nella resurrezione dei morti…..
Sapeva che doveva aver fede e non ne era capace.
Così rimase per quello che sembrò un tempo interminabile
contando i suoi passi nel torpore semicosciente.
Albeggiava. Apparve un anfratto roccioso
sotto l'occhio luminoso dell'uscita sotterranea.
E avvenne ciò che aveva intuito. Quando voltò la testa,
dietro di lui sul sentiero non c'era nessuno.
Sole. E cielo, e là le nuvole.
Soltanto ora esplose dentro di lui il grido: Euridice!
Come farò a vivere senza di te, o mio conforto.
Ma l'erba profumava, ronzavano basse le api.
E si addormentò, con la guancia sulla tiepida terra.”
È una risposta alla medesima domanda: “Chi ha perduto me, sventurata, e te Orfeo?”
Altre interpretazioni  e risposte saranno significative, come quella di C. Pavese, che è per me la più intrigante e coinvolgente.
Il dialogo pavesiano L’inconsolabile vede Orfeo spiegare ad una baccante la violenta e rapida catena di ragionamenti per cui decide, mentre sta riportando Euridice alla vita, di voltarsi e di perdere così l’amata:  ‘Pensavo che un giorno avrei dovuto tornarci, che ciò ch’è stato sarà ancora. Pensavo alla vita con lei, com’era prima; che un’altra volta sarebbe finita. Ciò ch’è stato sarà. Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi i barlumi del giorno.
 Allora dissi ‘sia finita’ e mi voltai’.
Qui non c’è furor, né subita dementia, c’è valutazione razionale: c’è sospetto, debolezza, timore, rifiuto, calcolo. Un calcolo consapevole.
Come quello di cui ci parla Rainer Maria Rilke, in Orfeo. Euridice. Ermete . Euridice risale
…”senza un pensiero all’uomo innanzi a lei,/ né alla via che alla vita risaliva.
 Chiusa era in sé./…. Come una lunga chioma era già sciolta/, come pioggia caduta era diffusa,/ come un raccolto in mille era divisa/ Ormai era radice….”. E Orfeo capì e si voltò.
“E quando il dio bruscamente/ fermatala, con voce di dolore esclamò:/ Si è voltato -, lei non capì e in un soffio chiese: Chi?” Orfeo è uscito dal mito.
“Chi ha perduto me, sventurata, e te Orfeo?”
Anche Italo Calvino, iniziato da Pavese, si confronta col tema di Euridice: lo rivisita per ben due volte all’interno delle Cosmicomiche.
Ne Il cielo di pietra fa parlare in prima persona una strana creatura, Ofwfq, (Orfeo) che accusa gli uomini di non appartenere veramente alla terra ma di essere degli "extraterrestri".
 Egli ha invece sempre vissuto nelle viscere del globo insieme ad Euridice:
 "Un cielo di pietra ruotava sopra le nostre teste, più limpido del vostro, e attraversato, come il vostro, da nuvole, là dove s’addensano sospensioni di cromo e magnesio. Ombre alate si levano a volo: i cieli interni hanno i loro uccelli, concrezioni di roccia leggera che descrivono spirali, scorrendo verso l’alto finchè  non spariscono alla vista." Ma Euridice aspirava ad altro, a conoscere il fuori, ed un giorno uscì  alla luce attraverso un vulcano, rapita da un canto.
Ofwfq  andò a cercarla, la intravide, ma quanto cambiata!- e poi sparì,  senza poterla rivedere mai più.
Lo stesso racconto venne poi riscritto, definendolo una Cosmicomica trasformata, con il titolo significativo di L’altra Euridice.
“Voi avete vinto, uomini del fuori, e avete rifatto le storie come piace a voi, per condannare noi del dentro al ruolo che vi piace attribuirci, di potenze delle tenebre e della morte, e il nome che ci avete dato, gli Inferi, lo caricate di accenti funesti. Certo, se tutti dimenticheranno cosa veramente accadde tra noi, tra Euridice e Orfeo e me Plutone, quella storia tutta all'incontrario da come la raccontate voi, se veramente nessuno più ricorderà che Euridice era una di noi e che mai aveva abitato la superficie della Terra prima che Orfeo me la rapisse con le sue musiche menzognere, allora il nostro antico sogno di fare della Terra una sfera vivente sarà definitivamente perduto.
Già quasi nessuno ormai ricorda cosa voleva dire far vivere la Terra: non quello che credete voi, paghi dello spolverio di vita che s'è posato sul confine tra la terra l'acqua l'aria. Io volevo che la vita si espandesse dal centro della terra, si propagasse alle sfere concentriche che la compongono, circolasse tra i metalli fluidi e compatti. Questo era il sogno di Plutone. Solo così sarebbe diventata un enorme organismo vivente, la Terra, solo così si sarebbe evitata quella condizione di precario esilio cui la vita ha dovuto ridursi, con il peso opaco di una palla di pietra inanimata sotto di sé, e sopra il vuoto. […]
Era il regno della diversità e della totalità che doveva prendere origine da quelle mescolanze e vibrazioni: era il regno del silenzio e della musica. Vibrazioni continue, propagantesi con diversa lentezza, a seconda delle profondità e della discontinuità dei materiali, avrebbero increspato il nostro grande silenzio, l'avrebbero trasformato nella musica incessante del mondo, nella quale si sarebbero armonizzate le voci profonde degli elementi.
Questo per dirvi com'è sbagliata la vostra via, la vostra vita, dove lavoro e godimento sono in contrasto, dove la musica e il rumore sono divisi; questo per dirvi come fin da allora le cose fossero chiare, e il canto di Orfeo non fosse altro che un segno di questo vostro mondo parziale e diviso. Perché Euridice cadde nella trappola? …, la sua indole incantata la portava a prediligere ogni stato di sospensione, e appena le era dato di librarsi in volo, in balzi, in scalate dei camini vulcanici, la si vedeva atteggiare la sua persona in torsioni e falcate e cabrate e contorsioni. Liberarla diventò il mio solo pensiero: forzare le porte del fuori, invadere coll'interno l'esterno, riannettere Euridice alla materia terrestre, costruire sopra di lei una nuova volta, un nuovo cielo.”
Chi ha perduto me, sventurata? Quale grande follia?
“Udii il canto e un arpeggio; due voci s'alternavano; riconobbi quella d'Euridice - ma quanto cambiata! - che teneva dietro la voce ignota. …. Il luogo era chiuso e cavo, fatto apposta - si sarebbe detto - perché la musica vi si raccogliesse, come in una conchiglia….. Appena entrai, Euridice tirò la tenda di strappo, spalancando la finestra; fuori s'apriva il golfo abbagliante di riflessi e la città e le vie. La luce del mezzogiorno invase la stanza, la luce e i suoni: uno strimpellio di chitarre si levava da ogni parte e l'ondeggiante mugghio di cento altoparlanti, e si mischiavano a un frastagliato scoppiettio di motori.
Ora, voi che vivete fuori, ditemi, se per caso vi accada di cogliere nella fitta pasta di suoni che vi circonda il canto di Euridice, il canto che la tiene prigioniera …”
L’altra Euridice, o infinite, Euridice. La riscrittura del mito orfico procede attraverso una serie d'inversioni dei rapporti originali: così il mondo interno terrestre, abitato da Plutone e dalla compagna Euridice, diventa ammirevole, ricco di possibilità; l'essere concentrato, costretto in uno spazio compatto, ne determina la superiorità sul mondo esterno, frammentato, continuamente sconvolto, trasformato in inferno dalla «valanga di rumore» che lo pervade, attraverso un'inversione del valore della musica. Sopra tutti è l’ininterrotto suono dell’ambulanza.
Risultano specularmente invertiti rispetto al centro degli eventi, i ruoli di Orfeo e Plutone: è quest'ultimo infatti a perdere la sua compagna sul bordo estremo del proprio mondo ad opera della musica di Orfeo. Il personaggio negativo è dunque proprio Orfeo, il volgare e superficiale seduttore che – con il suo subdolo canto, le sue ‘musiche menzognere’ - strappa a Plutone l’amata.
L'identificazione con Plutone: l'uomo calato in quello che per gli altri è l'Inferno, e per lui è l'unica possibilità di vita, è l’uomo che ‘torna ad abitare il silenzio’.
Scriveva infatti Calvino in una lettera che “i morti, a non essere più in un mondo in cui troppe cose non gli appartengono più, devono provare un misto di dispetto e di sollievo”.
“Voi avete vinto, uomini del fuori, e avete rifatto le storie come piace a voi, per condannare noi del dentro al ruolo che vi piace attribuirci, di potenze delle tenebre e della morte, e il nome che ci avete dato, gli Inferi, lo caricate di accenti funesti’.
L’inferno è il mondo del fuori, del suono, del rumore,  della superficie, contro cui i nostri sforzi nulla hanno valso, e che ci ha derubato dei sogni, dell’amore, della vita. Gli dei del fuori e dell'aria rarefatta hanno dato «tutto quello che potevano dare, ed è chiaro che non basta»”
“Chi ha perduto me, sventurata, e te Orfeo?”
Ecco perché è eterno il mito di Orfeo ed Euridice.

Maria Grazia Ferraris


20 commenti:

  1. Ringrazio Maria Grazia Ferraris per l'esauriente presentazione del mito di Euridice, farò tesoro della sua lezione. In età giovanile ritenevo di aver chiarito a me stesso il senso del mito in questione, ma più che altro mi riferivo ad Orfeo. Mi dicevo: per amore scende nel regno delle ombre, oltre il limite del mondo conosciuto. E' l'amore a suggerirgli il bisogno irresistibile di voltarsi. Forse temeva che dietro di se ci fosse un'ombra, non Euridice viva. Gli viene chiesto di non voltarsi, di non vedere. La vista è il mezzo per guardare, ma serve anche per conoscere. E poi collegavo il mito alla poesia. Anche la poesia ruota attorno al senso della vista. Il poeta vede le bellezze della natura, guarda nei luoghi più impensati e nascosti, le gioie e le sofferenze della vita. Finché una cosa resta nel buio nessuno la conosce, nessuno può amarla. C'è il collegamento tra luce buio vista-conoscenza amore. Andando avanti con gli anni ho “creduto” al grande Gesualdo Bufalino che lesse il mito dal punto di vista è di Euridice ( da L'uomo invaso. Il ritorno di Euridice). Riassumo utilizzando i termini del Bufalino:
    “Non era delusione, quella di Euridice, bensì solo un quieto, rassegnato rammarico. In fondo non aveva mai creduto sul serio di poterne venire fuori. i pensieri, le riflessioni, i ricordi di lei, la certezza, che subentra nel finale, che non fu un errore quello di voltarsi, da parte di Orfeo, ma una deliberata scelta: in tal modo la sua poesia avrebbe trovato nuovi spunti, nuovi consensi. Proprio il suo dolore, infatti, generava contenuti e toni melodici inimitabili.
    Doveva essere un mago, quell’uomo, un seduttore d’orecchi, un accalappiatopi da tuono e rombo d’amore...”

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  2. Grazie, a Maria Grazia Ferraris per aver presentato un così esaustivo e limpido Mito di Orfeo, che ha occupato la nomenklatura letteraria di tutto il secolo e ancora lo occupa col suo potere magico, il suo accento al sogno, al dolce richiamo dell'Amore che è un classico della Letteratura di tutti i tempi: la prof. Ferraris lo descrive nel suo emozionante momento mitologico, ma c'è tanto da sondare e scavare in un territorio che è saturo di Orfismo mitologico sapienziale e seduce con la forma aurea di un una rarefatta armonia di suoni, vibrazioni e suggestioni semantico/linguistici fino ai ns. giorni. Ottimo saggio, nel quale si nota eccellente la preparazione dell'autrice che ne ha saputo estrapolare un studio che riassume l'inquieto fluire del tempo nella prospettiva storico/ambientale di ogni epoca. Il suo Logos è immortalato da una descrizione dotta che fa un punto di saldatura tra l'ieri e l'oggi, senza trascurare il MITO che lo caratterizza. Complimenti all'autrice.
    Ninnj Di Stefano Busà

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  3. Un affascinante viaggio attraverso una serie di letture e di interpretazioni del mito di Orfeo ed Euridice. Maria Grazia Ferraris ci accompagna con dolcezza e competenza nei vari passaggi della vicenda, avvicinando a noi i personaggi, dei quali rileva affetti, sentimenti e, talvolta, calcoli egoistici, attualizzandone la dubbiosa e sofferta umanità. Aggiungo che le numerose interpretazioni/variazioni di questo mito sono l'indubbio segno della sua perenne validità e vitalità, della sua sconvolgente forza, che poi è la forza invincibile dell'amore.
    Grato a M. G. Ferraris per questo godibilissimo contributo
    Pasquale Balestriere

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  4. Interessante questa inversione di ruoli tra Plutone ed Orfeo, di cui parla Maria Grazia Ferraris sulla scorta delle "Cosmicomiche" di Italo Calvino: "Il personaggio negativo è dunque proprio Orfeo, il volgare e superficiale seduttore che - con il suo subdolo canto, con le sue musiche menzognere, strappa a Plutone l'amata". In realtà, non sembra appartenere al mondo degli umani l'amore, dove l'egoismo la fa quasi sempre da padrone. Il mito di Orfeo ed Euridice pone, fra i tanti, un problema filosofico fondamentale: quello del "limite" e dell'"illimitato". E' davvero insuperabile, il limite, oppure - per quanto doloroso - si può superare? A un cieco che non ha la possibilità di guardare con gli occhi, è preclusa la possibilità di amare? A mio parere, arrestarsi di fronte al limite, come quasi sempre facciamo, significa essere incapaci di amare, incapaci di protenderci al di là di noi stessi per cogliere qualche guizzo di infinito. Si può amare ciò che non si conosce? Io dico che è proprio questa la molla dell'amore. Ciò che si conosce non attrae. Il desiderio di conoscere porta sempre oltre barriera. Si ama ciò che non si conosce, e questo vale anche per le persone care, quelle che ci sono accanto. Nel momento in cui pensiamo di conoscerle, cessiamo di amarle perché tutto precipita nell'abitudine e nella noia mortale. Il distacco indubbiamente è dolore, ma l'uomo che ama, e che amando conosce, sa che deve cibarsi di dolore. Se Orfeo impazzisce, è perché non ama realmente Euridice. Egli ama il suo stesso canto, il suo sentirsi e fingersi innamorato di Euridice. In sostanza è un Narciso.
    Franco Campegiani

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  5. Cito un poeta messicano, Xavier Villaurrutia, dal suo paradosso della paura:

    "...y si la vida es un inaplazable
    mortal miedo a la muerte
    puesto que ya no puede sentir miedo,
    puesto que ya no puede morir,
    sólo un muerto, profunda y valerosamente,
    puede disponerse a vivir."
    Traduco:
    "...e se la vita è una ineluttabile
    mortale paura della morte
    posto che non può più aver paura,
    posto che non può più morire,
    solo un morto, profondamente e coraggiosamente,
    può disporsi a vivere."

    Orfeo, invece, aveva paura che ciò che stava accadendo non fosse vero perché conosceva le regole della vita e della morte, sapeva che il suo era un atto di ribellione alle decisioni del destino e sapeva che il destino è ineluttabile. Come avrebbe potuto affrontare la vita consapevole di averne cambiato il corso? Lui voleva Euridice, voleva il suo corpo e la sua presenza, non la sua anima. Il suo non è stato un atto di amore. Forse, uscendo alla luce, è stato pungolato da un dubbio, ha avuto paura di non amarla, quindi si è voltato. C'è troppa responsabilità nella felicità, meglio vivere l'infelicità senza cambiare le regole della vita e della morte, perché cambiare il destino è fonte di altra infelicità... Euridice era morta, era libera dalle emozioni dei vivi, aveva superato ogni incertezza e non era possibile che tornasse in vita come prima, e poi che vita... lui la amava veramente? Voltarsi è stato come salvare l'ordine degli eventi, rispettare l'anima della sua amata, l'unico atto che poteva rendere eterno il loro amore che, altrimenti, si sarebbe consumato.
    Claudio Fiorentini

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  6. Mi complimento con Maria Grazia Ferraris per l'articolo proposto su Leucade. Un'argomentazione che non dimostra soltanto cultura - pure presente e in larga misura - ma interiorizzazione del mito e, conseguentemente, propria, sicura lettura. Mi soffermo dunque sul passo che - a mio parere - esplica pienamente la sua posizione:
    "Il patto-non voltarsi- era davvero così facile, elementare da rispettare?
    Si chiede a Orfeo amante di non guardare l'amata, si chiede a Orfeo – (esiste una sostanziale equivalenza/ identità tra il vedere e il conoscere!), di amare senza conoscere.
    Ma la scissione di amore e conoscenza non è possibile: è appunto questo il paradosso che segna anche l'esito tragico, l’ epilogo di questo viaggio.".
    Ed è su questo concetto che mi piace azzardare un confronto:
    non è forse - quello di Orfeo ed Euridice - lo stesso, annoso problema dell'uomo di tutti i tempi? Adamo ed Eva si trovarono di fronte alla stessa scelta, e cosa fecero? Decisero (non decise) di disobbedire. La ribellione nasce con l'uomo ed è inutile - oltreché dannoso - opporvisi.
    In Orfeo, l'errore è, si, quello di voltarsi ma non perché stia disubbidendo agli dei; egli, cercando Euridice, sta tradendo se stesso, la sua fede, il suo amore. Questo è grave, ma - non dimentichiamolo - decisamente umano.
    Tanto vale, allora, non prenderlo ad esempio; e, per di più, come cantore, come aedo, come capostipite della poesia lirica. Ci sono altri miti (vedi Odisseo) che, invece, sono più appropriati e rivelano la vera essenza della creatività in genere: cioè la libertà, l'emancipazione dalla banalità del vivere.

    Sandro Angelucci

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  7. Aggiungo un'altra considerazione. Chi è in fondo Euridice? E' ciò che manca ad Orfeo, ciò che occorre all'uomo per sentirsi, sia pure momentaneamente, felice. Può essere una donna, ma anche una terra, un cielo, un animale, o qualunque altra cosa o creatura. Può essere anche, e soprattutto, il mistero di noi stessi (o forse di Dio) da cui ci sentiamo divisi. Insomma, Euridice è il simbolo di quella pienezza o assolutezza che manca a chiunque sia immerso nel relativo. Un'assenza che può divenire concreta presenza (non fisica, ma spirituale) soltanto attraverso quell'amore e quella fede (uso il termine al di fuori di qualsiasi valenza religiosa) che Orfeo non mostra di avere.
    Franco Campegiani

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  8. “La poesia simboleggiata da Orfeo non deve fermarsi, non deve morire, ci rivela l'autenticità di noi stessi ci restituisce un'anima”- Simona Accascina “Orfeo padre della poesia ,ieri e oggi”, in ( Senecio a cura di Emilio Piccolo e Letizia Lanza).
    Anche nel nostro tempo la concezione dell'arte come atto magicamente creativo parte da Orfeo e dal suo mito. Sarebbe stato un pensiero gradito a Dino Campana.
    Ubaldo de Robertis

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  9. Altri elementi di riflessione si possono trarre dal Corso di Letteratura di B. Panebianco, et. altri, Zanichelli Editore.
    “Se Ulisse è l’eroe più cantato nei secoli Orfeo è particolarmente caro ai poeti moderni. Il cantore greco rappresenta il magico potere della musica e della poesia, tanto che i simbolisti francesi e, sulla loro scia, Ungaretti, hanno legato la vicenda della discesa agli Inferi di Orfeo alla creazione poetica, all’esplorazione dell’abisso che ogni uomo sente dentro di sé./
    Tuttavia l’incanto e il mistero del poeta rivivono nei millenni: la poesia vince il tempo, e i poeti, come dice Montale, continueranno a studiare «per l’aldilà / un fischio, un segno di riconoscimento», per far prevalere sulla morte le ragioni dell’amore./ L’eco di Orfeo e Euridice si riconosce anche nella lirica Cigola la carrucola del pozzo. Il poeta ha rappresentato attraverso la contrapposizione di due livelli dello spazio (alto-basso) la risalita e la ridiscesa di Euridice agli Inferi: dal fondo del «pozzo» (il regno dei morti) risale verso l’alto il ricordo di una figura di donna: un sorriso e il tentativo di un bacio sembrano ripetere il miracolo del mito, dell’amore che vince la morte. Ma il ricordo svanisce e l’immagine sprofonda di nuovo nell’oscuro pozzo. Come Orfeo, anche il poeta moderno non riesce a trattenere la sua Euridice nel regno della luce: per Montale, il regno della morte è il tempo, che sancisce la sconfitta del sogno della poesia, del tentativo di aprire un varco nel buio del passato. “
    Buone Feste a tutti, Ubaldo de Robertis

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  10. Grazie a tutti voi che avete letto e commentato con grande partecipazione intellettuale ed attenzione il mio articolo. Euridice è davvero inquietante con i suoi interrogativi sospesi.
    Grazie ad U. De Robertis, che ci fa partecipi dei suoi colti ripensamenti, estendendo le citazioni ai nostri più importanti poeti lirici, a Ninnj B.,che loda da par suo il mio intervento, a P. Balestrieri, che sa vedere poesia e dolcezza nel mio intervento, a F. Campegiani, che si fa filosoficamente affascinare dall’interpretazione calviniana, e dal mistero di noi stessi (o forse di Dio) da cui ci sentiamo divisi, interpretando Euridice come il simbolo di quella pienezza o assolutezza che manca a chiunque sia immerso nel relativo, a C. Fiorentini che regala a tutti i lettori, a commento, la splendida poesia di Xavier Villaurrutia sul paradosso della paura, a S. Angelucci che sottolinea nel mito di Orfeo ed Euridice lo stesso, annoso problema dell'uomo di tutti i tempi, quello della disobbedienza e della ribellione .
    Ogni commento dichiara da sé il mondo intellettuale e spirituale, la preparazione culturale ampia che l'ha generato e quanto gli articoli primi da cui è partito il mio intervento siano stati letti e meditati.. Il nostro Nazario può gioire di poter leggere su Leucade voci così preparate e desiderose di confrontarsi. Un ringraziamento a tutti, con gioia.

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  11. Un doveroso ricordo. Un suggerimento di (ri)lettura.
    Il 21 aprile 2015 U. Cerio pubblicava sul blog di Leucade un poemetto recensito da N. Pardini, e accompagnato da molti commenti autorevoli, dal titolo"EURIDICE".
    Scriveva Pardini: “E la bellezza sta tutta nella connessione felice delle sue parti significanti: la prima, di tradizione classica, ci dice di un’Euridice che può tornare fra i viventi a patto che Orfeo, uscendo dall’Ade, non si giri per guardarla….La seconda parte prende spunto dai Dialoghi con Leucò di Pavese: Orfeo si volta per non far morire due volte Euridice…Nella terza il riferimento all’Orfeo negro del ’59 offre spunti di grande attualità sociale e civile. Nella quarta parte l’invenzione poetica in cui Euridice, dopo tante esitazioni, decide di non volere morire due volte; è lei che ha chiamato Orfeo e che l’ha costretto a voltarsi. Nella quinta la piena attualizzazione del mito dove il canto risente più della emotività del Poeta; della sua vis creativa, dacché, proprio in questa parte, sbrigliato da ogni occasione di riferimento, Cerio dà tutto se stesso allo sfogo della sua vicenda intimistico-concettuale “
    “ Un vero capolavoro di rivisitazione culturale dove il sentimento accompagna ogni palpito vitale guidando il nostro Cerio verso spazi senza confini, come l’Arte richiede; guidandolo su una strada sapida di pienezza ontologica, senza sterili espedienti sperimentalistici, con un linguaggio dolcemente affabulante, che mira a portare un messaggio a chi legge, senza ricorrere a rocambolesche figurazioni obese e di intralcio alla fluidità del dire. Perché la Poesia richiede semplicità, quella semplicità complessa che vuole toccare la parte più intima dell’essere umano; che vuol far vibrare le corde del sentire, a che, con essa, si possa volare nel cielo dei grandi miti.”

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  13. Molto importante questo contributo di Maria Grazia Ferraris al "dialogo" su EURIDICE tra Vito Lolli e Franco Campegiani. E' un ricco contributo anche sul mito stesso, perché ci troviamo di fronte ad un commento di un mito intramontabile e sempre attualissimo, perché nostro è il dramma della vita e della morte, della morte da cui non è possibile tornare indietro. E' anche un mito dell'oggi. Ci tornerò sopra; intanto complimenti a Maria Grazia Ferraris. Orfeo è con noi. Euridice è ancora e sempre con noi.

    Umberto Cerio

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  14. Sono già intervenuto, per cui non desidero aggiungere altro di mio. Inviterei tuttavia ad ascoltare "Euridice" di Roberto Vecchioni. Il link: https://www.youtube.com/watch?v=id6O7j8sC2Y

    Sandro Angelucci

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  15. Ho seguito l'indicazione di Sandro e mi sono trovato di fronte ad un'interpretazione del mito totalmente ribaltata. Qui Orfeo si volta in quanto rinsavito. Si volta per restituire Euridice al suo destino. Si volta perché "tutto quello che si piange non è amore". Grazie Roberto. Arrossisco per la mia pochezza nel non aver compreso una così alta testimonianza di fede.
    Franco Campegiani

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  16. Molto bene. Un saluto a tutti coloro che stanno rendendo grazie al Mito, fatto solo del suo dire che non dice. Il contributo della Ferraris riassume e ribadisce che la forza di un mitologema archetipo è il DNA di una civiltà e della sua storia. Noi "siamo" quel mito. Interpretandolo, e interpretandone l'interpretazione, tessiamo la nostra ragnatela neurolinguistica come un labirinto - ma anche questo lo "sapevamo" da un altro mito - dal quale ci libererà un volo. E come l'ebbrezza del volo ci spinge fatalmente verso il sole, l'ebbrezza del profondo oscuro ci spinge fatalmente a credere di poter vedere l'invisibile. Euridice è la metafora di quel disincarnarsi dell'elemento spirituale che è l'uomo nell'ordine naturale e Orfeo, immagine dell'originaria eruzione della rivelazione apollineo-dionisiaca, è la cifra del tragico inganno nascosto nell'esperienza del conoscere. Non dimentichiamo che Eraclito afferma l'identità dionisiaca di Ade: il "canto" è la chiave d'accesso all'invisibile non-manifesto, che è tanto il dimenticato non-più quanto il nascosto non-ancora. E il gesto di Orfeo, archetipo di quel pathos del nascosto che è la necessaria gestazione di ogni poetica, è il tragico pegno della consapevolezza: a partire da lui sappiamo che l'invisibile è invisibile, che il rapporto con esso è sensitivo, non visivo. Dopo, diventerà capacità di visione. Ma "Orfeo", Mito, è tutti e nessuno: la profondità dell'"Ade" ci abita tutti e solo la perdita della nostra "Euridice" ci spinge alla rimemorazione. Volerla vedere, volerla trasformare in qualcosa di visibile, darle il volto di un'interpretazione qualsiasi, non fa che trattenerla nell'oscuro e lasciarci nell'illusione, nel rischio dell'inganno. Orfeo è testimone di questo prezzo pagato. Noi? Un saluto a tutti.
    Vito Lolli

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  17. Morte /vita, buio/luce: dicotomie perfette che sono il fulcro di ogni filosofia. Non simultanee , non in parallelo ma un prima e un dopo. Un prima in cui c’era il Nulla, un dopo in cui c’è il Nulla. Su questo comincio la mia riflessione,con le mie possibilità, grazie al bellissimo scritto di Maria Grazia Ferraris, per tornare sulla via di Orfeo e Euridice. Penso, allora, che Orfeo si volti perché il ritorno alla vita dopo la morte, sarebbe stato il mistero svelato. L’unico che resta è quello della fede cristiana. Solo Dio, nella potenza della Trinità ha il potere sulla morte e conserva il mistero della fede. Con un’operazione definita di “sincretismo”, Virgilio ci parla di “Pater” nelle Georgiche, un padre che è Provvidenza, avvicinandosi molto al messaggio messianico, e questo credo debba essere preso in considerazione. Per Orfeo, il patto era: credere nella luce e ambire solo a quella , al passaggio. Egli avrebbe dovuto seguire una luce interiore e la sensibilità che deriva dalla privazione di uno dei sensi, cioè la vista. In teatro, uno degli esercizi più importanti che propongo ai miei allievi è proprio quello del raggiungimento di una meta indicata, passando attraverso ostacoli costituiti da corpi solidi inanimati (freddi) e corpi caldi (persone) . Chiedo di fare a meno di due sensi: la vista e il tatto. Lo sviluppo è incredibile, lascia stupefatto chi esegue l’esercizio. Sentire dentro, al di là di quei sensi: lo spostamento d’aria, il pieno di un corpo, il vuoto, le correnti fredde e calde, il pericolo, la paura di non farcela. Il buon risultato dipende dalla propria interiorità. Dalla conoscenza e dalla consapevolezza delle nostre possibilità, dall’esser-ci, dal nostro credo e dalle motivazioni . Si procede al buio, con le mani a sentire senza toccare, a riportare l’elaborazione al cervello razionale ed emozionale. Cosa è mancato dunque a Orfeo? Avrebbe dovuto ragionare di più? No, semplicemente il sentimento ha preso, così come sempre succede in situazioni estreme, il sopravvento sull’intelligenza razionale. E’ naturale fare una cosa pensandone un’altra. A partire dalle leggi etiche(religiose e sociali) si cerca di imbrigliare il cervello emozionale ma Orfeo, forse, ha agito in virtù di una forte emozione (dal latino latino moveo, con l'aggiunta del prefisso “e” (movimento da)) infrangendo il divieto e pagandone le conseguenze. D’altronde, Euridice, mai avrebbe potuto contaminare il regno dei vivi riportando l’esperienza della morte. Perché quello di Orfeo è il tempo dell’incanto, in cui ogni creatura cambia la sua natura per acquistare o perdere prerogative : il volo per gli uccelli che cadevano, l’aggressività per le belve feroci, Caronte, Cerbero, Le Erinni ecc… il tempo dell’ingannevole realtà che potrebbe essere e non è. Molto interessanti i commenti di tutti. Complimenti all'autrice

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  18. Maria Grazia Ferraris ha narrato la vicenda che, da sempre, rappresenta una sorta di calamita per noi lettori, rivisitando la figura di Euridice e io mi
    unisco a lei, ringraziandola per tanto acume. La donna finita nell'Ade era cambiata, era uno spettro apatico. Non possedeva più la Bellezza che fu per Orfeo fonte di tanta ispirazione. La linfa vitale capace di partorire l'incantevole dimora di Amore si era spenta. Euridice era cristallizzata e il suo uomo percepì solo il senso del trapasso, lo scarto acuto e incolmabile che separava la morte dalla vita. Nonostante la banale morte, lo mise nella condizione di cercare ancora la Poesia. Euridice alla lettera significa trovare giustizia. Orfeo va oltre il confine dei vivi per riportarla in terra. Saltando da un secolo all'altro, ho trovato una testimonianza interessante, che gioca su quest'allegoria. Erri De Luca afferma: "Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata.Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scese in piazza, impugnando il suo strumento e il suo canto solista. Innamorati di lei,della Giustizia, accettammo l'urto frontale con i poteri costituiti. Fummo liberi da ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Il nostro Orfeo collettivo è stato il più imprigionato per motivi politici di tutta la storia d'Italia. La nostra variante al mito: Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all'aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio. Cos'altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell'esercito, nella aule scolastiche. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò lei non c'era." La versione dello scrittore partenopeo sembra stravolgere la vicenda mitologico, in realtà dimostra quanto il mito non abbia nulla a che fare con la leggenda, con le storie favolistiche, come ci insegna Franco Campegiani, bensì sia parte integrante della nostra esistenza.
    Un caro saluto a tutti agli ospiti del blog e al nostro condottiero, Nazario.




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  19. Il commento appena scritto é di Maria Rizzi

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