PREFAZIONE
A “SOTTOVOCE A TE MADRE”
Edizioni ETS. Pisa. 2015
di
Maria Luisa Daniele Toffanin
Ora che si rifà Natale e
l’attesa
facile svapora profumo d’infanzia
nostalgia per la casa-cuna
tuttinsieme
come in presepe, sento madre
cara
urgenza di succhiare con te
miele
di quel momento quasi energia
vitale
e in sussurri-intimi bisbigli
ridirti
- che tutto in Lui già vedi
in un eterno celeste presente
–
la mia storia qui sulla terra
ed altro
svelando verità ove le nostre anime
nude, si specchiano
simili gocce d’uguale
sorgente. (Lettera di Natale).
Questo
l’inizio della plaquette che già tiene in sé un climax ascensionale, un
abbraccio alla terra e alle sue storie, per trasferirle là dove Lui tutto
contiene “in un eterno celeste presente”. Come a contraddire il potere della
morte, come a sconfiggere la tracotanza del tempo che tutto travolge e tutto
fagocita in un inarrestabile ritmo disumano:
Il giorno spegne per sempre
una vita.
Abi resta torrente d’inverno
alla prima gelata
che cruda improvvisa lo
stringe e chiude.
Ma grida con giovane cuore
dei mille segreti rimasti
accanto a parole-carezze
lasciate cadere.
Fermati un solo momento ancora
anima scarlatta
nelle ombre cupe della sera…
Un
Lui salvatore e riparatore delle sottrazioni a cui il terreno ci sottopone;
quelle sottrazioni che ci procurano dolori indicibili dacché tali mancanze
vorremmo che non arrivassero mai, fino
al punto di pensarle e di vederle eterne le persone che amiamo:
hai tali e tante età
da non avere età.
Mater mea
senza tempo
ami la vita
Ma qui il dolore stesso si fa quietudine sotto
lo sguardo di una eternità che ferma il presente abitato da anime “simili gocce
d’uguale sorgente”. Sta qui la grandezza di questa silloge, in una simbiotica
fusione di cielo e terra, di Thanatos e Eros, di vita e morte; di quiete e
dolore in questa dualità fra luce ed ombra, in questa scalata verso la
luminosità del Cielo che, come preghiera, annulla ogni spigolo dell’umano
vivere; del terreno esserci; una fusione di contrapposizioni, di polemos tra
gli opposti, che, in questi versi, genera, con euritmica musicalità, il focus
della vita, il cuore del vivere, sbocciando tra i fiori del reale per decollare
verso porti di smisurati orizzonti; per convertire in gioia le lacrime:
E il tuo albicocco in umana
forma
vive rivive anche in una
favola
in volo verso il divino
schermo
ché tu la legga nei cenacoli
del cielo
come meraviglia rifiorita
sulla terra…
E il tutto ex abundantia cordis; sì, da una
straripante generosità emotiva, dato che anche il dolore, una volta riposato in
animo, e illuminato da una urgente spiritualità, si trasforma in dolce immagine
da trasferire in poesia; poesia di catarsi, di rugiadosi petali, di armonie:
Così allora che tu ti
spegnesti
catarsi e armonia mi infuse il
verso
e mi colmò il vuoto
dell’assenza
di rugiadosi petali.
Con la parola ti rievocavo
e mi apparivi viva accanto
in queste pagine che Sottovoce
ti allego
da leggere in comunione con
altri
che abitano con te il cielo…
Una
poesia che dice di momenti di grande resa lirica, di effettiva efficacia
poematica, in cui la parola si scorcia o si allunga, si smorza o si rattiene,
per seguire l’impeto di un fiume che romperebbe gli argini se non fosse
sorretto da un robusto stilema; da una cifra lessico-fonica che va, anche,
oltre la sintassi, oltre la tradizionale grammatica con accorgimenti figurativi,
allusivi, iperbolici, e unità sintagmatiche che si fanno particolarità
linguistica di notevole valenza visiva nel campo semantico e significante della
Nostra. E anche se la Toffanin riesce ad allungare sguardi verso eteree ed
edeniche soglie di fede, lo fa sempre partendo dalla coscienza della
ristrettezza del vivere; dalla visionaria verità di una vita bruciata:
Ormai il vero scopre se stesso
Lo sento, mi urla impietoso
che
La vita intera è infine
bruciata.
Resta solo un fascio minuto
D’esili raggi di sole.
E si leva un vento mesto
Un lieve piangere di foglie
Un’ala grigia di presagio.
Ed
è la natura a farsi interprete prima nelle vicende della Nostra. Una natura che
prende per mano l’Autrice e l’accompagna in un autunno che tanto sa di redde
rationem, di ultimazione, dove
“Struggente è il vano nutrirti/ d’amare illusioni, vuoto/ scavato dentro da non
saziare più”. Una natura che con i suoi sprazzi cromatici concretizza gli
slanci emotivi della Toffanin.
Il memoriale diviene, così, alcova rigenerante,
luogo di rinascita; terriccio fertile per canti che travalicano il contingente
per azzardare sguardi oltre la caducità dell’ora. Ed è in questa isola felice
che la Nostra riposa; è qui che riabbraccia volti fattisi diafani, puri, nudi e
innocenti; ridarli a nuova vita, serena ed immortale, è la prima esigenza in
questo afflato di rigenerazione plurale e totale:
Aria di passato spira
nella casa ritrovata
e agita un pulviscolo
d’emozioni.
Fra pareti di sole
sfumati dal tempo
si muovono volti.
Quasi cascate irruenti
esplodono voci risate pianti
fra colori buoni di vita.
Intorno aleggiano trepidi
Madre i nostri giovani sogni…
Un
poema alla madre i cui versi si intersecano in agili e apodittici costrutti,
per agguantare gli abbrivi emotivi che ne fanno una voce di ontologica plurivocità.
Iniziare dalla citazione testuale significa andare a fondo da subito nello
stile e nei contenuti della Toffanin. Un poièin estremamente suggestivo e
carico di motivazioni umane, di affondi naturistici contaminanti per cromie e
simbologia esistenziale. Un poema il cui titolo – Sottovoce a te madre - fa da prodromico ingresso ad una storia
verticale e orizzontale per la sua polivalenza. La poetessa fa della realtà
fenomenica un trampolino di lancio verso un cielo carico d’azzurro. Ogni cosa
dà il suo contributo a questo viaggio epigrammatico dove tempo, memoria, affetti,
saudade, e nostos si miscelano fra loro cercando nelle oscillazioni metriche le
varie stazioni degli stati emozionali.
Uno
spartito di polisemica significanza dove ogni elemento fa parte di un tutto organico e circolare: vita
morte vita. Sì, proprio la vita! La sua irripetibile casualità, la sua unicità
e bellezza dominano in questa vicenda umana illuminata da squarci di cielo,
voci di mare, gridi d’amore:
(…)
Passero triste
nelle ore lunghe di grigi
tramonti.
Aquila audace
felice a confinare nuovi
orizzonti.
Così rimarrai negli occhi del
cuore.
Nazario
Pardini
Nessun commento:
Posta un commento