venerdì 9 novembre 2018

PATRIZIA STEFANELLI: "EPISTOLA E POESIA"


 Campanaro alto, Itri 6 novembre 2018 

Patrizia Stefanelli,
collaboratrice di Lèucade

Carissimo Nazario
, maestro mio,
a volte mi viene da riflettere circa l’utilità della poesia  e allora lascio il pensiero allo stato brado e vado a farmi una frittata con le cipolle. Ottima un po’ strapazzata, dovresti provarla se non l’hai mai fatto. Poi torno e penso all’animo sensibile del poeta condividere la propria umanità e anelare al verso che ho sentito definire àncora di salvezza; penso alla commozione del poeta di fronte a una calamità, a un terremoto, un’alluvione, una guerra. Egli, spesso, è pronto a scriverne. Mi chiedo se la poesia serva alla coscienza, se serva a scuoterla.  La poesia deve far riflettere? Deve far pensare? E non bastano per questo i reportage fotografici di guerra? Non basta la foto dei morti, gli articoli dei giornali tanto immediati e fruibili? Ci vuole una poesia egotica e di chi non c’è stato che col suo andare in rima o in versi liberi o per nouvelle ontologie venga a dire che succede? E’ tanto difficile non cadere nell’inutile retorica,  restare fuori dalla prosa comunicandosi e comunicando in poesia. C’è stato un tempo in cui nulla si sapeva del mondo (i primi giornali nascono nel ‘600), le notizie correvano su foglietti volanti e prima ancora tutto era affidato alle preziose carte dei monaci. La poesia viaggiava con l’oralità e le storie cavalcavano le generazioni e i poeti combattevano il potere con i canti e raggiravano le censure. Che cavalieri! Poi vennero i cinesi a inventare, intorno al 1050, i caratteri mobili d’argilla e poi Gutenberg che stampò 180 copie di una Bibbia in tre anni di lavoro; ne vendette pochissime e s’indebitò tanto, litigò col socio e gli cedette mezza attrezzatura.
 La Bibbia era bellissima, però, stampata con caratteri gotici meravigliosi. Beh, nacque il problema dell’editoria a pagamento. Mi paghi ed io stampo. Se non hai soldi per fare l’artista ti trovi un protettore che paghi per te o tante amanti sposate a ricchi signori. Wagner anche in questo fu un grande. Che musica e che amatore! Leopardi, no, povero caro. Possibile che nessuna femmina di alto rango si sia innamorata tanto della sua poesia da sovvenzionarne la pubblicazione? E no, nessuna fu per lui mecenate, d’altronde non era sexy come Wagner.  Povero Leo, con l’editore Stella a dirgli: vendi prima 50 copie del tuo libro poi lo stampo. E lui a scrivere lettere agli amici (pochi in verità) affinché promettessero di comprarlo o meglio, anticipassero i soldini. Stella aveva inventato quello che oggi si chiama il crowdfunding: dall'inglese crowd, folla e funding, finanziamento. E gira e rigira tutto dipende dal denaro e dal sistema commerciale nel quale devi inserirti se vuoi far conoscere la tua arte.
Ma se anche si riuscisse, basterebbe la gloria a rendere appagato un poeta? Sento di essere cinica e penso a colui che ha scoperto le onde elettromagnetiche, un certo Hertz, e poi a Tesla che ha inventato la corrente alternata e la prima trasmissione radio senza fili. Penso a Edison che su una stagnola ha inciso la voce e poi l’ha riprodotta e penso a tutti quelli che son venuti dopo, che oggi ci permettono di comunicare così: con un click; e noi inventiamo poesie. Riuscissimo almeno in quello che tu scrivi nella chiara prefazione all’antologia del Mimesis: Fare melodia, armonia; legare tra loro parole che aiutino a concretizzare, a definire gli input emotivi. Melologo: fusione fra verbo e ritmo; ricerca continua di un qualcosa che appaghi; che significhi il nostro mondo interiore. Fondere in unità sintagmatiche il dire e il sentire. Cercare allunghi fonico-sinestetici, o iperbolico-allusivi per andare oltre, dacché è all’oltre che l’animo tende; alla sua origine. Mamma mia, alla sua origine l’animo tende, all’oltre, quell’oltre che ho immaginato tante volte. Il Luogo, il senso dell’amore, il nulla in cui essere, lì dove la più piccola parte di me osa pensare al divino. Oh appagare momentaneamente il desiderio di quel qualcosa, dell’indefinita agitazione che in noi perpetua il suo moto e renderne testimonianza. Qualcuno ha detto che senza l’amore per la poesia sarebbe stato in galera per omicidio o si sarebbe ammazzato. L’ha detto pubblicamente. Qualcuno s’è ammazzato e aveva la poesia ma non aveva amore. Qualcuno aveva perso la poesia e non seppe più cosa fosse l’amore.
Alcuni critici contemporanei ci dicono che il poeta, quello vero, non deve parlare di se stesso, non utilizzare quell’io così spinto, ammacchiarlo, almeno. Difficile, forse impossibile, ci siamo sempre nelle poesie anche quando non compariamo in prima persona.  E dire che l’io è stata una conquista! Intorno ai tre anni abbiamo cominciato a prendere coscienza di noi stessi e adesso torniamo a parlare di noi in terza persona? Ma anche in seconda e in quarta, se possibile. Ma anche no! Lo ricorderò a Orazio, quando lo incontrerò nella V satira lungo il cammino che da Roma lo portava a Benevento (me lo ricorda Antonio) e da lì a Brindisi. Passò dalle mie parti, dove la via ancora esiste, facendoci partecipi della sua congiuntivite.
A coltivare il “pensiero” non si sbaglia, non fa male; che ci forgi nel profondo per poter giungere a nuove invenzioni, inimmaginabili migliaia di anni fa eppure chissà, dice l’antropologia, forse erano già state scoperte e poi dimenticate sotto tumuli di sabbia.
Con grande affetto e stima ti abbraccio ringraziandoti per tutti i tuoi doni.  Chiedo, attraverso te, perdono agli amici di Leucade poiché, come ti ho già detto,  non riesco a commentare i post. Pubblico ma il tutto scompare senza giungere al gestore al quale devo essere antipatica. 


Tua amica Patty


Di verticalità e di altre cose

I
Un mastro muratore fissa un filo
a piombo sopra un muro.
Tutto scorre.

II
Il mio Maestro* ieri mi diceva:
“O bimba bella, mai la vita è facile
e poca roba è seria.”

E  meno, e men che meno, mi dimeno
perché come le sabbie sono mobili
le strade che non portano all'amore.

“A mille hai dato fiato, rispondevo,
e rosa e bacio. A me di più riservi
il tuo sorriso e gli anni -che ti levo-
per le domande inutili:
Una è la cosa giusta o forse cento
se niente pare vero?

La grazia -ci spiegava il buon Carmelo
che è caro al canto che disegna il mondo-
nel dentro si ricercano i
poëti.
Non io ché alla dis-grazia traggo il cuore
e lo ripongo al volo delle Erinni.
Pensami a strati, pensati così:
piramide di terra, azzardi e altrove.

Altrove, che invenzione
inflazionata,
purezza ch’è "ita"
in un vaso tra incantevoli narcisi.
Che vuoi che dica, ci ho creduto e tu
ormai hai trent’anni  -quasi-
e il mal di schiena. Io t’amo
tanto, tu ami tanti…
è tardi e adesso stacco.”

III
Il mastro muratore osserva il filo
a piombo sopra il muro;
lo guardo -il tempo scorre-
ascolta la durezza della pietra,
la forma che lo porta a convenire:
“Signora non pensare,
mi pagherai alla fine. Io valgo al metro.
Tu scrivi e non pensare,
la logica non ha per te l'uguale
là dove la misura sua è perfetta.

Lo sa il Maëstro tuo che la poesia
è come questo filo a piombo: cade.”


* Maestro:  Nazario Pardini

*
Una poesia bella, intricante, generosa, che fa pensare; una lettera di amicizia, d’amore, sulla vita,  sul canto, sulla vicinanza, sull’equilibrio e la sua portata compensatrice. L’ironia, l’astuzia stilistica, e la sagacia si fanno interpreti principali di questa suadente narrazione. Tante domande, altrettante questioni a cui dovremmo dare una risposta: la vita? L’arte? La poesia? La sua utilità? La condivisione? Il rapporto fra il poeta e la società? Il poeta e la gloria? Il poeta e l’editoria? E chi più ne ha più ne metta. Il fatto sta che il poeta può essere anche un buon critico, il male è che essendo poeta è di animo nobile, e l’avverbio no non è nelle sue corde. Quindi viene chiamato in causa spesso: giudizi, note critiche, recensioni, prefazioni, tanto che alla fine gli scarseggia il tempo per pensare a sé; ai suoi sentimenti; ai suoi veri amori. Si disperde e non è un bene. Dovrebbe indirizzare l’attenzioni verso chi ha scritto e scrive pensando a lui. Ma non è giusto nemmeno questo. Ecco perché è difficile dare una risposta definitiva a quello che Patrizia ci chiede, magari ce lo chiede con eleganza, con stile, con tatto, affidandosi alla sua ironica maieutica socratica. Ma io penso, per farla breve, che la poesia sia una cosa unica, da rispettare, una cosa seria su cui lavorare con impegno e grandezza d’animo; d’altronde è a lei che ci affidiamo nei momenti più critici, è a lei che confessiamo i nostri segreti e i nostri dolori. E’ una amica? Senz’altro, la più cara. Se sei poeta non puoi farne a meno: ti chiama ti prende per la giacca e ti tira a sé: “Amico guarda che io sono qui che aspetto di essere tradotta in parole; amare, dolci, forti, leggere, basta che siano parole scelte e lavorate. Dammi la luce, dacché sono stanca di restare chiusa nel buio della tua anima”. E noi scriviamo per darle libertà, per darle voce, per darle vita. Ed è lì davanti a noi in quelle parole mai sufficienti a ritrarla in  tutta la sua spiritualità:

“...Iot’amo
tanto, tu ami tanti…
è tardi e adesso stacco.”

Io amo l’amore, quel gioco di rimandi che ci fa in parte umani in parte ultra.
E se la musica è amore in cerca di una parola, come afferma Sidney Lanier, ascoltiamola questa musica, ascoltiamo tristezza di Chopin, o il coro a boca cerrada di Puccini, o..., basta che sia buona musica adatta a farci trovare  la parola, quella piena, zeppa, profonda e unica, che suona  così “ti amo”.

Nazario







7 commenti:

  1. Grazie Patrizia per i tuoi versi e le tue riflessioni sulla poesia. Considerazioni con le quali mi trovo in sintonia, in special modo nel passo che riporto: "Alcuni critici contemporanei ci dicono che il poeta, quello vero, non deve parlare di se stesso, non utilizzare quell’io così spinto, ammacchiarlo, almeno. Difficile, forse impossibile, ci siamo sempre nelle poesie anche quando non compariamo in prima persona. E dire che l’io è stata una conquista! Intorno ai tre anni abbiamo cominciato a prendere coscienza di noi stessi e adesso torniamo a parlare di noi in terza persona?".
    In quanto all'utilità della poesia, mi sento di affermare che la sua efficacia consiste proprio nel non essere utile: abbiamo fin troppe cose che servono; la poesia non serve: basta a se stessa, e così si rende indispensabile.
    Grazie, un caro saluto e un abbraccio da estendere a Nazario

    Sandro Angelucci

    RispondiElimina
  2. Grazie Patrizia al suo stile fluente e alla carica emotiva che traspare in questo suo equilibrato intervento in cui " l'ironia, ... la sagacia si fanno interpreti principali di questa
    suadente narrazione" così come ci dice il Maestro. Egli giunge, nel passaggio di fratellanza, esemplificativo del buon critico e del poeta dall'animo nobile, con quel suo input nel "ti amo", che suoni di poesia.
    Il poeta, si affida, semplicemente, alla poesia per portarla in luce d'amore, perché sia.
    Ed è in ognuno di noi, se ognuno di noi può affermare dell'altro e all'altro: e che brilli la vita per farti ammirare.
    E grazie a tutti gli amici e collaboratori di Leucade che ho avuto modo di apprezzare, leggendoli, dopo che il professore Nazario mi ha accolto, ai chiari interventi e alle loro toccanti poesie, ondate di vita, nello spazio che l'isola concede a dar voce ai diversificati punti di vista, alle storie, alla pregnanza culturale e affettiva. Quel tutto espresso nella sincerità del nostro pulsare interiore e che, di per sè, dà l'emozione della giusta misura e direzione alla condivisione poetica del nostro essere, nella mutevolezza del senso della vita che ci consegna alla vita-altra. Sicché, nel dialogo culturale aperto alla bellezza, a Voi dedico la chiusa della mia poesia:

    "Peonie del sorriso"

    ...
    Nel tempo
    delle rosee peonie piene e
    odorose d'intensità
    d'oscuri veleni,
    nell'alchimia del petolo
    mutato
    nel sorriso della fonte,
    pura e fresca,
    sia tuo,
    quello delle mie labbra,
    di parole tenere e
    d'oro.
    Vi abbraccio calorosamente nell'augurio di tanta buona poesia di vita e ringrazio, di cuore, Nazario.
    Rita Fulvia Fazio

    RispondiElimina
  3. Grande Patrizia sei unica, la tua interessante epistola fa veramente riflettere. Fortunatamente come dice il poeta Angelucci la poesia non serve. Né è un bene di consumo che si deteriora o che va buttato. La poesia scaturisce dalla nostra anima è una parte di noi, è un parto. Per noi che scriviamo una necessità, direi un bisogno primario. Per quanto riguarda l'io, anche se non è manifesto, esso si nasconde all'interno del testo. Per essere moderni anche se lo stemperiamo, con un personaggio, lui rimane, non vuole assolutamente andarsene. Ed a pensarci bene è lui l'elemento dominante. Ringrazio Nazario, grande e unico maestro per le sue sempre affascinanti risposte. Serenella Menichetti.

    RispondiElimina
  4. Grazie a Patrizia e a Nazario della bella riflessione sull'essenza della poesia. La parola magica è stata detta dal Maestro. Dio sa quanto sia vera anche quando non si può dire.Giusy Frisina

    RispondiElimina
  5. Fare poesia, fare, fare e trovare per la musica il segno significante. Grazie, maestro mio, come sempre sai dare le tue perle con altrettanta maieutica socratica di sopraffina eleganza. Grazie ai cari amici che sono intervenuti con i loro preziosi pensieri e a coloro che hanno letto e mi hanno telefonato. Stamane mi sono svegliata col desiderio di ascoltare il coro a boca cerrada. Ecco è con me in sottofondo. E’ magnifico il suo esotismo capace di mettere in discussione la cultura compositiva occidentale. Spero mi conduca alla nobiltà di cui dici.
    Il mastro muratore… conosce l’essenza delle cose, esse gli parlano, comunicano e lui si fa interprete di un canto naturale, d’equilibrio. Mi dice “non pensare” poiché per chi scrive poesia la logica non è matematica, non è rigida come quella di un filo a piombo. E dunque, come ben tu mi dici, come sempre con la saggezza del buon padre di famiglia, alla poesia affidiamo i nostri dolori, la parte di noi che non conosciamo e che si svela. Apriamo la gabbia della nostra esistenza e diamo libertà all’ascolto di noi stessi nel mondo e del mondo in noi. Può sembrare un paradosso ma è necessario che la poesia possa comunicare attraverso l’ascolto così come la comunicazione tra una persona e l’altra e l’altro di noi. “Amico guarda che io sono qui che aspetto di essere tradotta in parole; amare, dolci, forti, leggere, basta che siano parole scelte e lavorate. Dammi la luce…” Queste parole potrebbe dirle anche lo scrittore al lettore anzi, sono certa che ogni lettore lo faccia e a volte la magia riesce e la luce appare in un buio che l’esalta. Da dentro a fuori e da fuori a dentro e poi ancora fuori e il ritorno. Poche parole come piccole note da un pianoforte appena sfiorato. You tube è passato a Chopin, ora ascolto Spring Waltz (Mariage d'Amour) e comprendo l’universalità della musica. E’ dolce eppure ci scuote le spalle e tutto per farci prendere coscienza, o per turbarci e darci il punto esatto sul quale porre la nostra emozione, pietra e atto di costruzione, poiché la poesia ama la pazienza che segue il desiderio, lo guida fino a farne una cattedrale.
    Grazie. Patrizia Stefanelli

    RispondiElimina
  6. Ho sempre pensato e sostenuto la necessità di darsi, di regalarsi ai versi, e con essi a se medesimi, prima che agli altri. La poesia è uno strumento conoscitivo e inconscio, che ci permette di viaggiare in treno, tra le onde del mare, tra le fiamme di un fuoco, che non è detto bruci. Ogni angolo del proprio vagone non si conosce in fondo, rimasto accatastato nelle valigie agli angoli, nella polvere di un sovrastante scompartimento apposito. Viene più facile guardare ai finestrini, e credere di toccare gli orizzonti mobili, di respirarne l'aria. Ma spesso i vetri sono ermetici: non è possibile aprirli, o sono opachi. sono sporchi, ricoperti dal velo dell'immaginazione. Ogni tanto si aprono, e nel vagone viaggia l'aria, accarezzando il velluto rosso di una poltrona scolorita, un poggiatesta per i sogni. Il viaggio autentico è quello dell'anima, che girovaga tra un scompartimento e l'altro, in questo treno in viaggio, provando il brivido di reincarnarsi, in queste carni mobili. Ecco perché lo trovo più autentico del viaggio di una barca: al di là delle sponde si cade in mare, e non sul legno di altre barche. Si può toccare un viaggiatore a fianco, sulla barca, si può soltanto sfiorare la sua pelle. La carne è un'altra cosa, quando si tocca vibra. Poesia sociale, poesia denuncia, che ben vengano, quando il poeta tocca la realtà e il tempo in cui vive, e non l'emisfero boreale, respirato dai finestrini chiusi, dalle poltrone dal velluto rosso. Per questo ho sempre apprezzato i corrispondenti, quelli che viaggiano, che vedono per scrivere. Ho sempre apprezzato gli scrittori, quelli veri, quelli che studiano, si documentano, prima di scrivere una pagina. Ho sempre apprezzato i poeti, che parlano di guerra, avendola vista, vissuta, e parlano di se stessi, di un padre e di una padre, di un sorella e di fratello. E non per questo fanno piagnisteo, perché alcuni sentimenti, alcune emozioni, sono diverse, ma sempre universali.
    Questa è la mia opinione, la concezione dell'io, nata fin dall'età di tre anni, e mai tradita, col passare degli anni, come una frittata che si gira. Emanuele Aloisi

    RispondiElimina
  7. Complimenti Patrizia per la tua umana intelligenza e sensibilità. Buona giornata a voi tutti, a Nazario Rita Fulvia Fazio

    RispondiElimina