martedì 8 dicembre 2020

NAZARIO PARDINI LEGGE: "LA FRAGILITA' DEL BRUCO" DI MIRELLA CRAPANZANO



Mirella Crapanzano. La fragilità del bruco. 2020

 

ogni cosa avviene

 

è una sera rossa dai petali accesi

che sgrana lentamente le sue ore

una sera di maggio senza fretta

in contrasto col vociare dei bambini

che si rincorrono in giardino

col verde impettito all’arrivo della pioggia

una danza ipnotica che scorre sulle punte

ruota come i dervisci spiega l’amore

che Dostoevskij scrive - quell’intreccio

di sguardi inaspettato tra te e un altro

assolutamente estraneo dove non

servono parole

è una sera che non si ripete

dove appaiono graffiti colorati

sui vecchi muri abbandonati del

quartiere dove finisce il limite e ogni

cosa avviene così semplicemente

sotto la magnolia sostiene la mia casa.

 

Iniziare da questa poesia testuale significa penetrare da subito nelle strategie emotivo-strutturali della poetica di Mirella Crapanzano; nel suo mondo fatto di creazioni improvvise, di invenzioni formali che ne tratteggiano la caratteristica principale: il volo; le ciel est par-dessus le toit direbbe Paul Verlaine, quel cielo verso cui è diretta la fantasia poetica della Nostra per ovviare alle aporie del contingente; eccoli gli apporti creativi:  una sera rossa dai petali accesi, una sera di maggio senza fretta, col verde impettito all’arrivo della pioggia, una danza ipnotica che scorre sulle punte, ruota come i dervisci spiega l’amore, graffiti colorati sui vecchi muri abbandonati del quartiere, ogni cosa avviene così semplicemente. Una successione di slanci iperbolici, di sinestetiche invasioni, di novità sonore con cui la poetessa cerca di volare ricorrendo a fragranze di lessemi che ci lasciano storditi. Due le occasioni  interiori scatenanti: la fragilità, e lo slancio verso la bellezza, il superbo. E non è forse ciò che riguarda la natura dell’uomo, del suo vivere, del suo esserci?  L’uomo è cosciente della sua fragilità, della brevità del cammino, ma tenta in ogni modo di staccarsi da tale impedimento con uno slancio verso la perfezione, verso l’approdo alla bellezza della farfalla, ciò che più l’avvicina all’inarrivabile. Il fatto poi che la poetessa faccia poesia trascurando interpunzioni di tradizione sintattica, è la dimostrazione che il suo ingegno è cotto a puntino per tradursi subito, con immediatezza; per trasferire il suo patema in  corpi lessicali prima che tale ispirazione perda il fuoco generatore. Poesia agile, snella, ontologicamente vicina agli input emotivi, dove l’autrice cerca di trovare le latebre del suo esistere, gli angoli più nascosti del suo essere. Il diagramma oscillatorio della versificazione, spesso endecasillabi e versi di minore o maggiore quantità metrica, sta a convalidare i sobbalzi di un’anima tutta presa da una ricerca di stile, di umana convalida connotativa. Ibi omnia sunt, c’è la vita col suo carico di vicissitudini: emozioni, tempus fugit, speranze, abbandoni, riflessioni sul fatto di esistere, ma soprattutto inquietudine umana. Il tempo fugge come tutte le cose del mondo, e  la poetessa vorrebbe farle sue le immagini che l’attorniano,  vorrebbe essere padrona di una storia che mostra tutta la sua riluttanza. Vorrebbe costruire una relazione con quel tutto che la contorna, anche se è con esso, coi suoi segmenti visivi, che costruisce il suo linguaggio. La sua è una vera ricerca spirituale, un vero affondo psicologico tramite cui poter trovare l’essenza della vita. Vivere è un po’ morire. Cotidie morimur, afferma Seneca. Ma la poetessa semmai cerca i punti focali che condizionano il suo cammino. La memoria affianca questa bella poesia, la impreziosisce, la contorna di figure che purtroppo si sono mutate in ombre che l’accompagnano nel triste viaggio della vita. Un vero viaggio in un mare non sempre tranquillo; in un mare costellato di scogli e trabucchi che ostacolano e fanno da impedimento al prosieguo. La poetessa affronta la sua storia con animo sereno e vòlto a raggiungere il porto di un’isola che  forse non esiste. Basta essere in possesso della  voglia di andare, di navigare, anche con un asse scampato al naufragio, questo conta. E  l’autrice è intenzionata a raggiungere con ogni mezzo quell’isola, quella che è nella sua mente. E lo fa con una  barca carica di verbi di assoluta novità lessicale; di fonemi e lessemi che la rendono unica, capace di proseguire, visto che la natura, con tutta la sua forza simbolica, l’aiuta non poco; dato che attraverso figure retoriche di ampio valore significante, la arricchisce di un tono verbale di assoluta novità epigrammatica e formale. Sì, perché la padronanza di un verbo dalle callide iuncturae aiuta  molto a rifinire un percorso di indagine e di analisi. E’ proprio con una parola nuova, pregna di ampie tessiture fonemiche, che Mirella Crapanzano riesce a indagare il mondo che l’attornia per scovare ciò che è nascosto. Un‘indagine che Ella persegue con tutti i mezzi che le sono propri: circolarità del verbo, andata e ritorno sui passi del poema, viaggio umano e troppo umano, storia di un’anima volta a perseguire un vero troppo lontano dai nostri desideri. Quello che conta è continuare a scrivere, a partorire parole, a meravigliarsi di fronte ad improvvise invenzioni, inattese, inaspettate. Sta nel verbo, nei contenitori lessicali il cuore del nostro messaggio. E forse è proprio leggendo le nostre confessioni non è detto che non scopriamo quella verità di cui andiamo in cerca.    Compatto è il tutto, una grande sinergia tra sentire e dire costituisce il valore aggiunto di questa silloge, netta, pulita, franca per architettura lessico-fonica e umana valenza speculativa. 

Mi piace ultimare questo mio scritto riportando una pericope della prefazione di Franca Alaimo:  “…Anche questo lavoro della Crapanzano ubbidisce ad una idea poematica per compattezza e di contenuto e di stile, pur nell’intrecciarsi molteplice di motivi e sfumature percettive che sorprendono e meravigliano. Da questa lettura si esce col cuore mutato, perché, come scrive lei, “l’inatteso si coglie al passaggio/ dell’ ignoto al riverbero di un sogno”.

Ed è proprio nella malinconia di un  colore, nel palpito delle aiuole fiorite, che Mirella Crapanzano ritrova se stessa, il suo mondo spesso trafitto da irrequieti pensieri che danno alimento al suo canto.  


la malinconia del rosso

sopravvengono le nubi

a formare la malinconia

una fuliggine nella pupilla

un movimento inusitato

sopra le cose costringe

a colmare l’assenza dentro

ci sono aiuole fiorite e sentieri

che conosco fin da piccola

l’istinto mi guida a un cespuglio

di sole consola del muschio sulla

corteccia e lì appoggio la fronte

pronuncio il mio nome e ascolto

tutto il paesaggio intorno è carta

di frontiera da reinventare


Nazario Pardini

2 commenti:

  1. L'immenso Nazario ha dedicato alla Silloge "La fragilità del Bruco" di Mirella Crapanzano una simile disamina, che ogni parola sarebbe inutile. Posso solo asserire che le due liriche postate mi sono apparse di un respiro così grande da trascinare in altra dimensione. La natura, tanto offesa da noi uomini, regna sovrana nei versi dell'Autrice e sembra frontiera, riparo dalle storie che si svolgono nel 'paesaggio di carta', che la circonda. Immagini vibranti, dense di pathos e di allegorie dolci, mai sanguigne, che toccano l'anima. Il nostro Nazario ha messo in evidenza i punti salienti dei versi della Poetessa, lo ringrazio, gli rivolgo il mio plauso ed estendo l'ammirazione alla signora Mirella, che merita una pagina così intensa. Mi permetto di abbracciarli entrambi!

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  2. Sono molto onorata e felice di poter essere qui, su quest'isola di grande poesia, e con una bellissima recensione di Nazario Pardini al mio libro! Sono grata e non posso che ringraziarlo ancora con tutto il cuore per avermi dedicato tanta attenzione.
    Un grazie sentito anche alla signora Maria Rizzi per il gentile commento.

    Mirella Crapanzano

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