venerdì 8 febbraio 2019

CINZIA BALDAZZI LEGGE: "SOUVENIR D'ITALIE" DI ANGELO MANCINI


Cinzia Baldazzi: note critiche su “Souvenir d’Italie”

Il testo seguente è stato letto il 26 gennaio 2019, nella Sala Consiliare del Comune di Monterotondo, nel corso della presentazione di Souvenir d’Italie di Angelo Mancini.

Cinzia Baldazzi scrittrice,
critico letterario, saggista

«Non si scrive un poema con le idee, ma con le parole».

Stephane Mallarmé, maestro del Simbolismo francese, aveva ragione. La parola poetica autentica, nell’atto di essere evocata, accolta, ben presto neutralizza la fondamentale natura di veicolo comunicativo a vantaggio dell’ispirazione, della scintilla in grado di generarla.
In Souvenir d’Italie, infatti leggiamo:

«il poeta / vuole, però, / esprimere / sempre / liberamente / il suo pensiero / estetico / (e non solo) / su ogni cosa / senza ipocrisie / opportunismi / o altro che sia» [XLII].

Quest’opera di Angelo Mancini, in realtà, si mostra non tanto come un poema classico, quanto una silloge-poema. Lo sintetizza Aldo Onorati nella prefazione:

«Un lungo canto in ipometri, disarmante atto di accusa al mondo contemporaneo e dichiarazione di uno smarrimento dell’io di fronte alla massa anonima se non acefala».

Dunque, la prima consapevolezza maturata è stata di ascoltare una serie di messaggi trasmessi dall’Io in campo, anche se nel caso di Mancini userei piuttosto il termine “Ego”. Messaggi coincidenti con un’esperienza collettiva individuata dall’autore con rara coerenza, riflessiva, non apodittica, completa, per niente occasionale, dove l’Autore dialoga per noi, con noi.
Il componimento è munito di un eminente taglio storico-filosofico. Potrebbe iscriversi nel repertorio dell’invettiva, nobilissimo genere letterario capace di attraversare la storia dell’uomo, il cammino della civiltà, a partire dall’Apocalisse di Giovanni: Friedrich Nietzsche la definiva «la più caotica di tutte le invettive scritte che la vendetta abbia sulla coscienza». Un simile discorso è stato magistralmente utilizzato nell’antichità da Marziale, Catullo, Giovenale, quindi Dante Alighieri, qua e là da Petrarca e Foscolo, poi Savonarola, Bruno, l’Aretino, a metà ‘800 Guerrazzi, fino al ‘900 dei nostri Pasolini e Sanguineti.
Ma con una differenza: nella tipologia retorica e narrativa, la struttura, nella maggioranza dei casi, assume un carattere denigratorio contro il prossimo, di accusa e rimprovero, mentre in Souvenir d’Italie, citando ancora Onorati, il contenuto esibisce «toni scattanti, nervosi, precisi, aguzzi, di lancia preistorica che non fallisce mai il segno»: e il target di Mancini riguarda tutti, non nel ruolo di singoli responsabili più o meno informati, ma in una sorta di volo utopico del manzoniano «volgo disperso che nome non ha…», però all’estremo opposto della dinamica sociale.
Ne scaturisce un angoscioso itinerario di stampo onirico, dove lo sdegno civile non ha appunto obiettivi con identità circostanziate: esse sarebbero limitative del vasto piano di pertinenza del discorso, anche se, è vero, i nomi, i cognomi, le date, le vicende specificate non sono infrequenti.
La polemica, a volte irruenta, prende le mosse dalla giovinezza. Sin da ragazzi siamo influenzati, rabboniti:

«in un clima, / giustamente, / di serenità / e buon umore / tra battute / di spirito / e aneddoti / divertenti» [XL].

Nella cultura, in particolare in una precisa categoria,

«si è fin troppo / delicati e pazienti / permissivi accondiscendenti» (…) «molti scrittori / che accettano / supinamente / per convenienza / (vendite libri) / e menefreghismo / (inviti di vario tipo) / accettano, / ripeto, / ogni degrado / ogni nefandezza / coprendosi gli occhi / tappandosi le orecchie / e turandosi il naso» [XL].

Su un’analoga famiglia umana, afflitta, snaturata, mi accade di pensare a Edmund Husserl e alla sua condanna delle speranze. Il fondatore della fenomenologia, membro della Scuola di Brentano, non credeva all’esistenza di un Io puro: considerando proficua un’aura privata protratta sempre all’esterno, cercava, nell’esperienza complessiva, un auto-estraniamento del proprio iter individuale, necessario a costruire una coscienza del mondo.
In un’ideologia parallela, sarebbe dunque da auspicare un ambito in cui i nostri consimili, per quanto tra loro estranei, possano esplicitare un modus vivendi capace di una profonda comprensione di sé: un Ego alienato, certamente, senza dubbio soggettivo, sebbene all’altezza di schierare se stesso vicino agli altri.
Husserl scriveva a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando ancora non padroneggiavano i condizionamenti dei mass-media e della politica: i due grandi nemici della Weltanschauung di Mancini. Di lì a poco avrebbe dominato - cito le parole di Angelo - quella «dittatura sotterranea voluta dal denaro, la quale fa pensare al “brutto / poter che ascoso a comun danno impera” di leopardiana memoria».
Ma oggi, in che misura è consentito assolvere al quesito di Husserl? Lo ripropone il suo maggior studioso, il tedesco Gerd Brand:

«Come possiamo soddisfare ora, in questa nuova prospettiva, all’esigenza del ritorno “alle cose stesse”?  A quale dimensione dell’essere dobbiamo operare la riduzione, quale essere provvisorio dobbiamo mettere tra parentesi, da che cosa dobbiamo astenerci?»

Non siamo in grado di rispondere. Mentre nel prologo di Souvenir d’Italie «vaga, vaga la mente» con «sensazioni distorte / malate / strana energia interiore», in seguito disperiamo dei mezzi attuali acquisiti: trasgredendo le aspettative, essi non aiutano a proiettarsi in avanti per conoscere, conoscerci. Anzi, sono «come un veleno / che uccide, / lentamente, / la società intera» con «tutti quei costosi / giocattolini tecnologici / che infestano il mondo».

Poi, se tentiamo di decifrare la vita e lo status naturali, viene in soccorso il presagio di Husserl, la sua visione profetica. Scriveva circa un secolo orsono:

«Io posso agire come prima quale padre di famiglia, quale cittadino, quale funzionario, quale buon europeo, appunto come uomo immerso nella mia umanità, nel mio mondo. Come prima, eppure non proprio come prima. Perché l’antica ingenuità non riuscirò più ad attingerla, potrò soltanto comprenderla».

Se volessimo spiegare tale angoscia? Con un salto di cento anni, Mancini commenta:

«…ma vallo a far capire / a chi non vuole capire… / (masse belanti di tutte le età, / etnie, condizioni sociali… e, / vorrei vedere…!, / Zuck vari ed eventuali…)» [XLVIII].

Ciononostante, il volere artistico di Angelo Mancini, il suo Kunstwollen, analizzando le false critiche odierne, seleziona lo strumento del ricordo non in chiave nostalgica. Il suo non è un “come eravamo”, piuttosto “come dovremmo essere”: non una sorta di continuum antagonista al mutare della storia, invece suo complice. Ciò avviene all’insegna e nel rispetto di un ancestrale hic et nunc capace, comunque, di nutrirsi dell’attualità vitale umana, della difesa dagli abusi intellettuali, fisici, dagli attacchi all’intelligenza e al libero arbitrio, contro il vuoto dei valori perduti, tentando di cancellare tracciati disseminati di ansia e dubbi.

«L’io, in quanto l’uomo, è un essere che si presenta nel mondo tra tanti altri esseri».

Le parole di Husserl sembrano dar voce al concetto freudiano di “conscio” (Bewusst). La necessità di conoscere, plasmare la coscienza di sé, è appunto il filo conduttore di Souvenir d’Italie.
Il libro di Mancini elabora un’avvincente e fitta rete simbolica con riferimenti realistici: la prova maggiore è nel poemetto LXV, sul ritrovamento del corpo di Aldo Moro, brano inserito nel testo dello spettacolo teatrale Progetti di delirio di Alberto Patelli. Forse il massimo e drammatico esempio della fiducia dell’autore nell’eccezionale carico semantico insito nella parola.
Alla fine dell’800, il logico e semiologo statunitense Charles Sanders Peirce scriveva, anch’egli in una previsione stupefacente:

«La parola vive nella mente di coloro che la usano. Anche se sono tutti addormentati, essa esiste nella loro memoria. I simboli crescono. Un simbolo, una volta in vita, si diffonde tra la gente. Con l’uso e l’esperienza il suo significato si arricchisce. Potrebbe non indicare nessuna cosa particolare, bensì denota un genere di cose, e non solo, ma è esso stesso un genere e non una cosa singola».

Torniamo così al senso ultimo delle invettive di Mancini, indirizzate non verso singole personalità bensì rivolte con irruenza a fatti o situazioni ritenuti biasimevoli: il consumismo, la gestione politica, l’uso della tecnologia, il degrado della scuola, il circo mediatico, la decadenza della famiglia.
Il condizionamento della società è il campo semantico dell’opera di Angelo Mancini, il mezzo letterario è il veicolo su cui fa viaggiare noi lettori. Vale per lui quanto scrisse il filosofo e poeta statunitense Ralph Waldo Emerson, quando la Sfinge parla all’uomo:

«Dell’occhio tuo, io sono il raggio».

Ecco, Souvenir d’Italie è una luce chiarificatrice, l’autore la accende per noi tutti.  
Ancora Peirce:

«Ogni esperienza, nella misura in cui è cosciente e comprensibile, contiene elementi di memoria e di anticipazione, cioè di interpretazione mediatrice tra i fenomeni del flusso fenomenico. L’oggetto può essere illuminato solo a patto di essere interpretato; l’interpretazione è frutto della mediazione creativa dell’uomo».

Ringraziamo Angelo Mancini per aver offerto una preziosa occasione di concretizzarla. Dopo aver chiuso il suo libro, il resto tocca a noi e a voi: ossia, appartiene al concetto universale più prossimo al senso del presente in generale.  


ADDENDUM

Aggiungo poche righe dopo aver ascoltato con interesse gli interventi di Franco Campegiani, Sandro Angelucci e Caterina Manco, citando ciascuno termini, personaggi e situazioni legati ad alcuni nodi cruciali del mio bagaglio personale nel campo della cultura.
Campegiani ha parlato innanzitutto di “melica”. Confesso di non aver più sentito, chissà da quanto tempo, la parola con la quale si indicava la prima forma di verso cantato (μελικ ποησις), accompagnato da cetra o flauto. Più tardi, in età ellenistica, il vocabolo “lirica” avrebbe soppiantato e compreso quello di “melica”, conservandone le differenze interne (monodica e corale, aulodica o citarodica). Campegiani ha inoltre voluto rammentare Michel Foucault, un pensatore per me decisivo nell’interpretare i complessi meccanismi del discorso nell’attuale circuito delle comunicazioni di massa, incluso l’atto di parole poetico: le sue ricerche sulla censura, sul non detto, sulle forme del sapere in generale, sono uno stimolo impareggiabile a chiunque voglia addentrarsi nei meccanismi di circolazione della parola, comune e polisensa, letteraria.
Da Angelucci ho recepito, quasi lo avesse voluto sottolineare, il vocabolo “poetica”: non aggettivo di “poesia”, bensì sostantivo, a indicare l’insieme dei problemi inerenti, sia con riferimento a scelte individuali sia in qualità di esperienze letterarie ed estetiche precedenti. Nella prima metà degli anni ’70, alla Facoltà di Lettere de “La Sapienza”, le lezioni di Walter Binni arricchivano la fondamentale nozione critico-estetica e storiografica: contro la metodica di Croce, la sua idea di poetica si caratterizzava «per una diversa volontà di integrale ricostruzione e delle personalità artistiche e della storia letteraria». Seppure Binni abbia volutamente lasciato un margine di incertezza nella distinzione tra “poetica” e “poesia”, il suo magistero rimane tra i più incisivi del XX secolo, trovando sistemazione nel saggio Poetica, critica e storia letteraria del 1963.
Infine, Caterina Manco, Presidente della meritoria Università Popolare Eretina. Ricordando il sodalizio di una vita con Angelo Mancini, ha parlato di una «lunga frequentazione». È tra le mie frasi cult: proviene direttamente da un film eccelso, I duellanti di Ridley Scott, tratto da The Duel, racconto lungo di Joseph Conrad del 1907. Nella sceneggiatura dello scrittore Gerald Vaughan Hughes, seguiamo il generale D’Hubert, bonapartista schieratosi poi con la fazione vincente dei realisti, recarsi dal plenipotenziario Fouché per salvare la vita all’integerrimo napoleonico Féraud (ora in disgrazia e destinato alla ghigliottina). Il Ministro chiede all’ufficiale come mai voglia intercedere e soprattutto cosa lo leghi a Féraud: amicizia? legami di parentela? interessi? L’inarrivabile risposta di D’Hubert è: «Una lunga frequentazione…».
Grazie a Caterina, a Franco, a Sandro per aver condiviso queste suggestioni, vive nel mio passato personale, ancora vitali nel presente. 

Cinzia Baldazzi



6 commenti:

  1. Cinzia Baldazzi, da grande letterata ed umanista qual è, ha arricchito la silloge con citazioni forbite dall'alto significato simbolico e non solo. Una silloge "denunzia" immersa nei problemi contemporanei dell'Italia, alla quale il poeta Angelo Mancini suggerisce un "pronto soccorso". Souvenir d'Italie...

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  2. Ringrazio, di certo anche a nome di Angelo Mancini, l'amico e collega Sergio Camellini per aver sintetiticamente individuato - grazie a confermata lucidità ed esperienza critica - uno dei leitmotiv cruciali del libro.

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  3. Ho assaporato il testo di Cinzia Baldazzi nuovamente e con maggior riflessione (cosa che, purtroppo, quando si è coinvolti nella presentazione non sempre, e per diverse ragioni, riesce completamente).
    Sintetizzo in questo suo pensiero la sua prolusione perché lo trovo auspicabile e positivo per un futuro migliore:
    "...In un’ideologia parallela, sarebbe dunque da auspicare un ambito in cui i nostri consimili, per quanto tra loro estranei, possano esplicitare un modus vivendi capace di una profonda comprensione di sé: un Ego alienato, certamente, senza dubbio soggettivo, sebbene all’altezza di schierare se stesso vicino agli altri.".
    Con profonda stima,

    Sandro Angelucci

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  4. Caro Sandro, hai ragione, l'aspetto umanitario di comprensione generale di noi tutti come collettività è fondamentale nella poetica di Mancini. Un "collettivo", come si diceva una volta, somma i tanti singoli, non isolati, ma parte di un tutto solidale, anche se differenziato. Sono onorata della tua stima.
    Grazie.

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  5. Avevo promesso all’amica Cinzia che avrei letto volentieri la sua presentazione all’opera “Souvenir d’Italie” di Angelo Mancini. L’ho fatto con un po’ di ritardo e me ne scuso! Ciò però non limita il piacere dell’immedesimazione e del coinvolgimento sulla riflessione soprattutto umanistica della quale ci viene fatto dono. Percepisco da quanto scritto, il credo e la esposizione di Mancini così come tutta la capacità Cinzia di rendere pregnante e profondo ogni passaggio trattato.
    C’è nella disanima dell’opera, tutto un excursus storico-filosofico-filologico-letterario che appassiona ed erudisce non trascurando citazioni dell’autore e rimandi a più illustri pensatori per validarne le idee.
    Inutile dire quanto diventino positivi per questa opera i riferimenti trattati dalla Baldazzi, Cinzia con chiara conoscenza ed altrettanta profondità e preparazione, riesce a farci gustare il senso vero dell’opera dell’autore.
    Ringrazio per avermi invitato a questa costruttiva lettura.

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    1. Caro Carmelo, siamo noi - Angelo Mancini e io - a ringraziare per l'attenzione riservata. Sperando, anche con il tuo aiuto, di continuare a divulgare l'idea che, in questo mondo illustrato nel "profondo" di "Souvenir d'Italie" come denso di contraddizioni e antinomie, la cultura sia viva e attiva.

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