martedì 16 giugno 2015

G. LINGUAGLOSSA: " E' POSSIBILE IL COLLOQUIO IN POESIA?"


Giorgio Linguaglossa

UBALDO DE ROBERTIS: "ALTRE SERE...", DA "DIOMEDEE"...": 

È possibile il colloquio in poesia?, direi che è possibile soltanto attraverso una finzione, attraverso la problematizzazione della poiesis, come fa Ubaldo De Robertis il quale procede secondo il principio del contrasto e delle associazioni bislacche e astruse. Noi sappiamo, per averlo appreso nel corso del Novecento, che più la problematizzazione investe il pensiero (poetico) più il soggetto esperiente si rivela colpito dal tabù della nominazione. Qui si nasconde una antinomia. C’è una oggettiva difficoltà, da parte del poeta moderno, a nominare il «mondo» e a renderlo esperibile in poesia; c’è una oggettiva difficoltà a scegliere l’«oggetto» della propria poesia; quale «oggetto» tra i milioni di «oggetti» che ci circondano?, e perché proprio quell’oggetto e non altri?. Che l’atto della nominazione si riveli essere il lontanissimo parente dell’atto arcaico del dominio, è un dato di fatto difficilmente confutabile e oggi ampiamente accettato, ma quando la problematizzazione investe non solo il «soggetto» ma anche e soprattutto l’«oggetto», ciò determina un duplice impasse narratologico, con la conseguenza della recessione del dicibile nella sfera dell’indicibile e la recessione di interi generi a kitsch. 
Giorgio Linguaglossa

3 commenti:

  1. A mio parere, la nominazione del mondo tipica della poesia non è un atto di dominio, ma un atto di adesione stupita al mondo e alla vita. Non è l'io del poeta a nominare autoritariamente e di suo arbitrio il mondo, ma è il mondo stesso a rivelarsi nella sua poesia. Non è il poeta a scegliere l'oggetto della poesia, ma è l'oggetto a catapultarsi nel suo mondo, a captare il suo entusiasmo e le sue attenzioni. Per questo motivo l'atto poetico sfugge alle usuali categorie razionalistiche dell'oggettivo e del soggettivo. Oggetto e soggetto sono totalmente spiazzati e posti fuori gioco dalla poesia. Ne segue che la nominazione poetica del mondo è un atto profondamente problematico in quanto è chiamato ad attraversare e a liberarsi di tutti i luoghi comuni. Problematico, e dunque colloquiale.
    Franco Campegiani

    RispondiElimina
  2. Caro Franco,

    il "dominio" del Nome di cui parlavo è una forma di "chiusura", è il modo mediante il quale l'uomo delimita e circoscrive la forza quantica di un Evento.
    Ecco cosa scrivevo commentando la tesi di un illustre filologo filosofo, Carlo Diano in un suo libro del 1968 ormai introvabile "Forma ed evento" (Neri Pozza):
    La chiusura dell'Evento è il Nome.

    Per gli Stoici “il predicato è sempre un verbo, anche quando ha la forma di un nome. Socrate è virtuoso, equivale a Socrate sta esercitando la sua virtù”.
    Carlo Diano nei Quaderni preparatori per Forma ed evento e Linee per una fenomenologia dell’arte (1968) ricorda che per gli stoici l'essenza della proposizione risiede nel verbo e che il nome è considerato del tutto secondario, infatti, per Aristotele «l'uomo cammina» equivale a «l'uomo è camminante». Ancora Diano:

    «Nome e verbo. Difficoltà in cui si trovano i linguisti nel definirli - Con la mia teoria si spiega tutto - Il verbo è sempre τό συμπίπτον = τό συμβεβεκός - eventum – Il nome è per eccellenza la forma, la struttura – ciò che non significa senz’altro la sostanza – o la significa in senso lato - Bisogna ritornare alla logica dei sofisti fino ad Aristotele - La logica sofistica non distingue la sostanza dall’accidente – il nome dal verbo - Ogni percezione ha una sua struttura temporale – il nome e il verbo si sono confusi: l’acqua scorre è un unico fatto - separate le due dimensioni e avrete il nome e il verbo - Ma è una separazione precaria perché il loro rapporto è dinamico».

    «Il mito ha sempre forma storica, ed è nei tempi in cui l'evènit del mito si rifà èvenit nel rito, che i luoghi e gli oggetti sacri sono sentiti per eccellenza augusti. Lo stesso vale per noi: nella nostra vita i luoghi hanno tutti una data, e sono reali solo in quanto e nelle dimensioni in cui quella data è attuale e presente come evento... solo lo spazio è rappresentabile»

    Per liberarsi dallo stupore e dall’horror generati dal trovarsi di fronte all’infinità, al gorgo in cui tutto è possibile, al fatto di sentire, dietro la cosa come evento, l’azione di una potenza inafferrabile, l’uomo cerca di superarne l’infinità, dando a essa un Nome e specificandola. Il nome è una forma di chiusura, circoscrive la cosa e permette di individuare l'evento. Specificando la potenza che si rivela nell'evento, il nome ne supera l'infinità, rendendo così possibile all'uomo di liberarsi dallo stupore e di dare una direzione alla propria azione. Non a caso la categoria dell'Evento viene ripresa da Heidegger e posta in posizione centrale quale «struttura» del Dasein nell'In-der-Welt-sein (Essere-nel-mondo).
    Il Nome è la forma eventica (l'hic et nunc) che si dà nella ripetizione (ubique et semper), come ad esempio nel rito. La ripetizione chiude la forma eventica restituendoci il Nome.
    Il nome permette di riprodurre l’evento e di farlo presente (ed è per questo, sottolinea Diano, che alcuni nomi sono tabù). La ripetizione trasforma un «vissuto» in un «rappresentato»: alla fine di questo processo di trasposizione da un livello (il vissuto) all’altro (il rappresentato) la ripetizione cede il passo alla specularità che l’arresta.

    RispondiElimina
  3. Caro Giorgio,
    a mio parere la nominazione sorgiva (poetica) del mondo è un atto profondamente problematico teso a rompere gli schemi della fissità e delle datazioni storiche, bloccate nelle forme ripetitive e stanche del rito, per aprirsi all'irruzione tumultuosa e innovatrice dell'infinito. La nominazione aurorale del mito va pertanto distinta dalla nominazione pedissequa e stagnante del rito. Concordo con te: "La ripetizione trasforma un VISSUTO in un RAPPRESENTATO". Purtroppo il Nome, che alla sua apparizione (poetica) non è distinguibile dall'azione o dall'evento che appunto nomina, immancabilmente degenera, sclerotizzandosi, irrigidendosi e trasformando la mitopoiesi in mitologia. La mente umana sembra avere bisogno di questa strana pulsazione. Ti saluto, grato per gli approfondimenti che sempre induci a fare.
    Franco Campegiani

    RispondiElimina