Adriana
Pedicini: I luoghi della memoria.
Arduino Sacco Editore. Roma. 2011. Pg. 114
Una
narrazione agile, paratattica, apodittica, dove l’Autrice, con recuperi
memoriali di grande intensità emotiva, riesce a trascinare il lettore nelle
storie che si susseguono con incalzante fecondità; che ci dicono di vita, e
soprattutto di immagini risultanti da una realtà rimasta a decantare nell’animo
della Pedicini; che si fanno presenti con empito suggestivo e coinvolgente;
tanto che naturale è seguire i contenuti delle storie, leggerne i risvolti, coinvolti
da trame semplici nella loro complessità umana. I luoghi, i personaggi, gli
ambienti, reali o immaginari , sono delineati con tratti ora gentili, ora
forti, ora georgico-bucolici, ma pur sempre scaturiti da un’anima zeppa di vita
e adusa ad una poesia di ricerca meditativa; e il tutto finalizzato a
concretizzare la psicologia dei personaggi in gioco. Sequenze narrative,
introspettive, descrittive si alternano vicendevolmente, affidate al supporto
di una narratologia di pienezza ontologica. Per cui anche certe
rappresentazioni di un realismo di
memoria verghiana appaiono appartenere al subconscio della scrittrice:
“Svatlana si lasciò cadere sul divano di velluto verde consunto dall’uso nell’appartamento
italiano peso in affitto. Di fronte, una cristalliera sormontata da uno
specchio ingiallito ricordava le povere ambizioni della vecchia proprietaria.
Sul ripiano, ninnoli di ogni specie, ricordi dei viaggi del marito di lei,
agente di commercio spesso all’estero…”. Ed è da questi schizzi, in cui la
realtà si mischia al memoriale, che
trapela la connessione esistente fra ambienti e stati d’animo; fra oggettistica
e interiorità. Ed anche quando si ricorre a panorami naturistici di panico
stupore, lo si fa per introdurre una vicenda di umana convivenza, o di nuova
venuta esistenziale: “Le cicale frinivano nell’aria già calda di primo mattino,
né si scomponevano ai soffi di brezza che filtravano tra i rami di alberi e
arbusti che in maniera selvaggia circondavano la bianca casa di pietra della
famiglia Russo”. Raffielina, Nannina, le vicine, le altre donne, e tutte le
cose che servivano al parto imminente lo confermano. Anche qui memorie e fatti oggettivi;
uso frequente del tempo all’imperfetto; prodromico
avvio al distendersi narrativo; tutto dà
segno di un attaccamento ad un passato che si rigenera con gentilezza e vitalità;
con serenità persino nella morte; in quella che Maria aveva sempre
desiderato circondata da tutti i suoi
cari. Ed è così che si chiude l’ultimo dei tredici racconti che compongono il
libro. Una chiusura che rispetta quell’aria di docile melanconia che fa da
trait d’union, da leitmotiv in tutto il percorso narrativo. Ensemble che non fa
altro che rispecchiare il credo della Pedicini, la sua visione della vita, la
sua parola di particolare intensità epigrammatica; per cui, anche se a volte
triste, mai affiora dalla trama un pensiero negativo sull’esistere, dacché la
Nostra lo ama in tutto il suo procedere, ed è fidente in un futuro zeppo di
speranza, seppur cosciente dei meandri, e delle sottrazioni di cui si compone. Ora
a voi la lettura, dacché compito del critico è quello di avviare e non di
rivelare.
Nazario Pardini
Intenso lo stupore di fronte alla bellezza della Sua lettura. Grata per sempre.
RispondiEliminaAdriana Pedicini
Grazie, carissima, di avermi fatto leggere racconti tanto intensi di vita; tanto contaminanti di poetica umanità
EliminaNazario Pardini