sabato 6 giugno 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "I LUOGHI DELLA MEMORIA" DI ADRIANA PEDICINI





Adriana Pedicini: I luoghi della memoria. Arduino Sacco Editore. Roma. 2011. Pg. 114




Una narrazione agile, paratattica, apodittica, dove l’Autrice, con recuperi memoriali di grande intensità emotiva, riesce a trascinare il lettore nelle storie che si susseguono con incalzante fecondità; che ci dicono di vita, e soprattutto di immagini risultanti da una realtà rimasta a decantare nell’animo della Pedicini; che si fanno presenti con empito suggestivo e coinvolgente; tanto che naturale è seguire i contenuti delle storie, leggerne i risvolti, coinvolti da trame semplici nella loro complessità umana. I luoghi, i personaggi, gli ambienti, reali o immaginari , sono delineati con tratti ora gentili, ora forti, ora georgico-bucolici, ma pur sempre scaturiti da un’anima zeppa di vita e adusa ad una poesia di ricerca meditativa; e il tutto finalizzato a concretizzare la psicologia dei personaggi in gioco. Sequenze narrative, introspettive, descrittive si alternano vicendevolmente, affidate al supporto di una narratologia di pienezza ontologica. Per cui anche certe rappresentazioni  di un realismo di memoria verghiana appaiono appartenere al subconscio della scrittrice: “Svatlana si lasciò cadere sul divano di velluto verde consunto dall’uso nell’appartamento italiano peso in affitto. Di fronte, una cristalliera sormontata da uno specchio ingiallito ricordava le povere ambizioni della vecchia proprietaria. Sul ripiano, ninnoli di ogni specie, ricordi dei viaggi del marito di lei, agente di commercio spesso all’estero…”. Ed è da questi schizzi, in cui la realtà si mischia al memoriale,  che trapela la connessione esistente fra ambienti e stati d’animo; fra oggettistica e interiorità. Ed anche quando si ricorre a panorami naturistici di panico stupore, lo si fa per introdurre una vicenda di umana convivenza, o di nuova venuta esistenziale: “Le cicale frinivano nell’aria già calda di primo mattino, né si scomponevano ai soffi di brezza che filtravano tra i rami di alberi e arbusti che in maniera selvaggia circondavano la bianca casa di pietra della famiglia Russo”. Raffielina, Nannina, le vicine, le altre donne, e tutte le cose che servivano al parto imminente lo confermano. Anche qui memorie e fatti oggettivi; uso frequente del tempo  all’imperfetto; prodromico avvio al distendersi narrativo;  tutto dà segno di un attaccamento ad un passato che si rigenera con gentilezza e vitalità; con serenità persino nella morte; in quella che Maria aveva sempre desiderato  circondata da tutti i suoi cari. Ed è così che si chiude l’ultimo dei tredici racconti che compongono il libro. Una chiusura che rispetta quell’aria di docile melanconia che fa da trait d’union, da leitmotiv in tutto il percorso narrativo. Ensemble che non fa altro che rispecchiare il credo della Pedicini, la sua visione della vita, la sua parola di particolare intensità epigrammatica; per cui, anche se a volte triste, mai affiora dalla trama un pensiero negativo sull’esistere, dacché la Nostra lo ama in tutto il suo procedere, ed è fidente in un futuro zeppo di speranza, seppur cosciente dei meandri, e delle sottrazioni di cui si compone. Ora a voi la lettura, dacché compito del critico è quello di avviare e non di rivelare.

 Nazario Pardini


                

2 commenti:

  1. Intenso lo stupore di fronte alla bellezza della Sua lettura. Grata per sempre.
    Adriana Pedicini

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    1. Grazie, carissima, di avermi fatto leggere racconti tanto intensi di vita; tanto contaminanti di poetica umanità
      Nazario Pardini

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