giovedì 25 giugno 2015

PATRIZIA STEFANELLI SU "LA MANO MASCHILE..." DI G. LINGUAGLOSSA


Patrizia Stefanelli

Patrizia Stefanelli: Lettura di “La mano maschile impugna il pennello” di Giorgio Linguaglossa

Ed eccomi a leggere qualcosa che mi porta piacevolmente per mano a superare i limiti della mia percezione. Cerco di non interpretare ma so già che è impossibile. L’autore ci avvisa, ci dice che è una poesia complessa e ci pone domande. Da subito la mia formazione di teatrante mi introduce alla favola del personaggio. Quale? Un nome soltanto ci dà per certo e non a caso : Posterius - ciò che viene dopo – dunque, ciò che non sappiamo; l’incerto.
Il testo comincia, nei versi che  il Nostro, Giorgio Linguaglossa, ci porge con un punto di vista ben preciso.  E’ forse il narratore che parla? Se così fosse potremmo trovarci di fronte ad un punto di vista con focalizzazione esterna. Egli dice: “il mio sguardo”. Quasi come l’occhio di una telecamera messa lì da Hitchcock sappiamo soltanto ciò che egli vede e descrive. Potrebbe essere un osservatore imparziale, non sa nulla dei personaggi che osserva e si limita a raccontare quel che vede e sente. I personaggi agiscono, parlano ma, come, in quale sequenza e intenzione, spetta al lettore/spettatore dirlo. Eppure una totale imparzialità è piuttosto improbabile. So, che nell’osservare, interagiamo sull’oggetto e che la realtà sarebbe diversa senza la presenza dell’osservatore e le condizioni in cui egli agisce. Potremmo allora, nell’incertezza, trovarci di fronte al suo contrario: al narratore interno. Se fosse lui il protagonista o testimone si spiegherebbe la nostra conoscenza limitata dei fatti che, in base ai suoi filtri e alla sua esperienza, ci presenta.
È lei, di profilo. Dipinge un ritratto.
Autoritratto della pittrice con pappagallo.”
Autoritratto perché?  C’è forse uno specchio che porta al pensiero di un duplicato, forse è da quello che chi parla vede il signor Posterius in anticamera o se stesso, quella stessa anticamera in cui si vive senza entrare appieno nella vita stessa. O forse, come possibilità, da quello stesso specchio colui che parla vede un ritratto iconico rappresentante la pittrice con pappagallo che ripete se stessa. Anche in questo caso, di testo che parla di se stesso, avremmo un’illusione di realtà. Ogni immagine riprodotta è filtrata dalla percezione.
Subito dopo, l’incertezza nella domanda: E’ lei? La mano che impugna il pennello è maschile. Potrebbe non essere lei. Potrebbe essere un alter ego, un doppio pirandelliano per cui il soggetto (essenza) cambia secondo le percezioni di esso (apparenza).Chi parla passa al “noi” . “Noi non vediamo…” Noi? Siamo spettatori? Osservatori probabilmente e contemporaneamente attori di una situazione che non potrebbe esistere senza questo nostro sguardo che indugia sulle presenze/apparenze.
(…)Il suo volto,
illuminato dall'ombra di un lampadario di cristalli
un attimo prima che si spenga insieme al buio
[non capisco da dove venga la luce]
( [il sole entra dalla finestra
ed esce dalla porta]. Se chi parla è nella posizione della porta allora osserva ciò che è in controluce, ne vede i contorni.)
Passaggio volutamente ambiguo o meglio polisemantico. Illuminato dall’ombra? Un attimo prima che si spenga insieme al buio. Chi o cosa si spegne? Il volto, l’ombra o il lampadario insieme al buio. In fondo, penso, tanta luce procura molta ombra. L’autore, preciso e astuto, per via di ossimoro sottolinea l’indeterminatezza del reale. Non che manchi la luce; ma, precisa il poeta: non capisco da dove venga. Rifletto sul pensiero filosofico-scientifico che cerca, da sempre, il senso delle cose. Si tende alla semplificazione dei fenomeni ma i concetti non sono necessariamente legati alla nostra logica. Riprendendo un enunciato di Heisenberg:  « ciò che osserviamo non è la natura in se stessa ma la natura esposta ai nostri metodi di indagine ». Il principio di indeterminatezza. Abbiamo creato premesse, definizioni assumendole a paradigmi per la nostra logica. Spesso si procede per dogmi e dunque è facile cadere in errore, non comprendere quella che invece può essere una scoperta, uscendo fuori dai nostri canoni di misurazione. Il paradigma dunque, che diventa dogma, può indurci in errore. Nel testo, l’incertezza è anche temporale tra presente e passato. Ci troviamo al di sopra, dietro, davanti e dopo le cose, i fatti, gli accadimenti e mi sembra eccellente perché dopo Einstein e al momento, non c’è più né spazio né tempo ma  “continuum tetradimensionale”. Lo spazio non è tridimensionale e il tempo non è un’entità in sé. Ci muoviamo tra flashback e anticipazioni. In fondo il testo poetico parte da un punto indefinito della storia. E’ tutto già accaduto o tutto può accadere.  
Torno a Posterius (per me, quel che viene dopo) che entra di prepotenza ancora in punto di domanda. Il probabile visitatore per il quale si era tanto ben preparata chi è? Quel che viene dopo? L’aldilà, forse la morte o il nulla. Il signor Posterius sembra essere l’unica presenza certa, in scena o fuori scena che sia; e noi altri? Ospiti. Il limite, la separazione tra il reale e l’apparire, è impercepibile. I particolari dei gesti quotidiani e degli oggetti, come il bicchiere di liquido rosso, il portasigarette d’argento custodito nella tasca sinistra, sono il segno del nostro “esilio” nella vita, ma le uniche certezze. Ci sfugge l’essenza; ci concentriamo sul fare mentre ci sfugge l’essere. Ci condiziona il finito, il confine che andrebbe relativizzato e collegato a quello di altri concetti per nuove e ardite scoperte.
Con stima e ringraziamenti all’autore e al maestro Nazario Pardini per aver postato il testo e avermi permesso queste riflessioni le quali tuttavia, non sono in grado di dare  risposte.

Patrizia Stefanelli


La sua mano maschile impugna un pennello

[...]
Da dietro lo stipite della porta il mio sguardo
indugia sul suo volto.
È lei, di profilo. Dipinge un ritratto.
Autoritratto della pittrice con pappagallo.
È lei? Il suo duplicato? Una controfigura
[nelle vesti della pittrice] che dipinge
il suo autoritratto? [«ma, sia detto per inciso,
in questo caso si tratterebbe di un falso»,
disse il Signor Posterius che indugiava in anticamera].
La mano maschile impugna un pennello.
Noi non vediamo la figura dipinta sulla tela,
il cavalletto è obliquo [il sole entra dalla finestra
ed esce dalla porta]
[Il Signor Posterius ha in mano un bicchiere
con del liquido rosso]
vediamo il retro della tela e il volto della pittrice
che osserva il visitatore. Il suo volto,
illuminato dall'ombra di un lampadario di cristalli
un attimo prima che si spenga insieme al buio
[non capisco da dove venga la luce]
esprime meraviglia, sorpresa, riserbo.
Il pappagallo verdeazzurro scricchia sull'asse.
"Ho violato la sfera intima del suo pudore",
pensai in un sopra pensiero.
Indossa un abito sfarzoso, un vistoso décolleté
con le spalline a sbalzo turchese sul seno sussiegoso
come prescriveva la moda del tempo.
Quindi, Lei era in attesa del suo visitatore.
[Il Signor Posterius?]
Si era preparata.
Anche il volto è particolarmente curato.
Le sopraciglia marcate e allungate da un trucco inquietante.
Il sorriso ammiccante tradisce
il retro pensiero di voler sedurre il convitato.
Il quale è comodamente seduto in poltrona
[è una mia congettura] Il Signor Posterius,
assiste alla scena [o è fuori di scena?].
[Forse l'ospite sono io].
Cerco inavvertitamente una sigaretta profumata
nel portasigarette d'argento
che tengo nella tasca a sinistra della giacca,
ulteriore termometro del mio esilio.
[Sto in anticamera]. Ma è più probabile che io sia in errore,
non c'è alcun segreto o esilio in tutto ciò.
Forse ciò che dico è soltanto una
mia congettura.
Una risibile, detestabile, irragionevole
congettura.

Giorgio Linguaglossa



5 commenti:

  1. Cara Patrizia Vicinelli,
    complimenti per l'analisi iconica e testuale del testo, hai saputo dare una lettura del testo come io immaginavo che un lettore intelligente facesse quando si poneva dinanzi al testo. La tua lettura non è un'ermeneutica in quanto la mia poesia vuole tutto tranne che richiedere un ermeneuta; la tua è una lettura iconica, si affida alla vista, segue il fiuto della vista. La mia poesia è simile alla scena di un delitto. Ci sono tracce dappertutto, tracce che possono aiutare il lettore a ricostruire il fatto delittuoso. Il lettore diventa un commissario di polizia che indaga, che raccoglie le tracce e tenta di ricostruire gli accadimenti, ma si accorge che più procede con la raccolta degli indizi più la quantità di ipotesi possibili aumenta, che il Reale è molteplice, prospettico, ha tante prospettive quante sono le prospettive di chi osserva, che è l'osservazione stessa ad influire sull'osservato in ossequio alla legge di indeterminazione di Heisenberg, come tu hai ben citato. La realtà è sempre più varia e più ricca di quanto ce l'hanno raccontata, di qualsiasi narrazione. Si può dire che non c'è un personaggio centrale; ma noi non sappiamo nemmeno se la protagonista, la pittrice, sia maschile o femminile, alcuni indizi ci fanno propendere per l'uno o per l'altro versante, ma sappiamo poco, anzi, sappiamo solo che è una donna che indossa un abito scollato con un seno «sussiegoso»... ma è sufficiente? basta un seno «sussiegoso» per dedurre il genere femminile? E poi: si tratta di un ritratto o di un autoritratto? E poi perché con «pappagallo», e proprio un «pappagallo»? Forse il personaggio attorno a cui ruota tutta la scena primaria è un fuori-scena; il Signor Posterius infatti si trova in «anticamera». Ma perché in «anticamera»? Questo l'autore non lo dice ma lo possiamo dedurre noi che leggiamo: l'«anticamera» come un luogo che ancora non si trova nel presente, che sta nel Futuro, che ancora deve accadere in quanto il Signor Posterius è il Futuro, lui deve ancora accadere, è nelle sue facoltà accadere, o recedere. Ma, ancora una volta noi non sappiamo ciò che sta per accadere, le fraseologie di Posterius in realtà sono sibilline, equivoche, dicono qualcosa ma dicono anche qualcosa d'altro che forse potremo decrittare nel Futuro, e non nel Presente. Dunque, il vero protagonista è il futuro, è il Signor Posterius che sta per entrare in scena, ma «indugia». Ma perché «indugia»? Anche qui, man mano che ci inoltriamo nella lettura ecco che scappano fuori altri indizi che complicano il quadro della scena primaria dell'accadimento... ma che cos'è che sta per accadere?, anche questo è un elemento che il lettore non comprende, non riesce ad afferrare, è il Presente, il Futuro? È il Nulla? È l'identità dell'Autore scissa e disarticolata tra i tanti personaggi? Tra tutti i personaggi?. Noi non lo sappiamo, Il lettore non lo sa.
    Più la poesia procede più si complica la sua struttura testuale, è un avvolgibile interrotto, una doppia elica che non si sa se sale o scende nel vuoto...

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    1. Carissimo Giorgio Linguaglossa, grazie per le sue parole. Sono felice che abbia accolto con favore la mia lettura e felice di aver dato al signor Posterius il suo senso tradotto in : Ciò che viene dopo, che potrebbe accadere oppure no. Mi sono resa conto di come ogni parola, nel suo testo avesse un significato plurimo e mai casuale. Non ho toccato tutti nodi del testo, ho dimenticato per esempio di accennare al pappagallo che ho visto come una ripetizione a causa della sua espressione verbale senza costrutto. Lei è uno scrittore e un poeta di ampia cultura internazionale, aperto alle molte sfaccettature che la letteratura, la filosofia e la scienza insieme alla natura offrono. Grazie ancora per questa bella esperienza.

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  2. Carissima Patrizia,
    sì, il pappagallo. Sono ormai circa trenta anni che nelle mie poesie ritorna il pappagallo. Ma perché un pappagallo? (mi sono chiesto spesso). Ritengo che i pappagalli (io amo i pappagalli) sono degli strani esseri, a metà terrestri e a metà coelicoli, intelligenti oltre misura, in grado di articolare suoni in una lingua umana ma di non comprendere il senso e il significato di quei suoni. Essi forse hanno abbandonato la lingua degli uomini, o meglio, non hanno mai acquisito le abilità per dotarsi di una lingua umana. La loro lingua è forse il silenzio, e hanno aguzzato oltre misura l'organo della vista. Il silenzio richiede una grande capacità introspettiva e presuppone l'abbandono della lingua. Il pappagallo, in un certo senso, è qualcosa che noi umani siamo già stati, o qualcosa che forse un giorno saremo, simbolizza una anticipazione della nostra natura, o l'abbandono (filogenetico) della nostra natura. Nelle mie poesie il pappagallo ritorna di frequente come monito e minaccia: l'homo sapiens può evolvere e diventare qualcos'altro che non avrà più bisogno di una lingua umana. Forse questo è il nostro destino, inteso come destino della specie.
    Ma nella composizione il pappagallo viene trattato come un personaggio simbolico, una icona che interagisce indirettamente con gli altri personaggi e serve a rafforzare l'interazione tra gli umani e il regno animale, la loro incomunicabilità

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  4. Carissimo Giorgio sa perché ho pensato all'icona del pappagallo come ripetizione anch'essa? Perché mi sono ricordata l'uso che ne fa Giuseppe Tomasi Di Lampedusa ne "Il gattopardo" nell'incipit quando ce li presenta nella carta da parati. Nell'explicit il principe di Salina dice: «Perché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».Tutto torna: ciò che è stato-saremo. Con tanta fantasia. Patrizia

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