lunedì 22 giugno 2015

M. RIZZI SU "CASELLA N° 58" DI LUIGI BARTALINI





Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade


LUIGI BARTALINI: CASELLA NUMERO 58. CASTELVECCHI EDITORE

Il  nuovo romanzo dello scrittore napoletano Luigi Bartalini “Casella Numero 58” – Castelvecchi Edizioni – ha un impianto strutturato su più piani di lettura.
Lo si può e lo si deve definire un testo sociologico, in quanto mette in rilievo i fenomeni politici, economici, culturali, che caratterizzano l’epoca in cui viviamo,
ma possiede l’impeto narrativo dell’autentica Opera letteraria. I due piani, ovviamente, non scorrono paralleli, ma il critico letterario deve stare attento a evitare  di mettere in rilievo un aspetto a scapito dell’altro.
Inizierei il mio commento dalla scelta del titolo. Il narratore si rivela geniale, capace di catturare le idee come le gocce d’ambra catturano gli insetti.
Si ispira, infatti, nel titolo e nello svolgimento dell’Opera, al Gioco dell’Oca che potrebbe essere paragonato a un archetipo del percorso della vita. E intitola le sezioni
narrative con i nomi delle caselle del gioco. Troviamo quindi La casella numero 19, ovvero l’Osteria del tempo perduto, che nel gioco obbliga a star fermi un turno e nel libro simboleggia l’indolenza, la pigrizia; troviamo poi La Casella numero 31, detta del Pozzo dell’errore grave, che sta a indicare che giunti a metà del percorso si può commettere l’errore grave di fissarsi, di irrigidirsi nella posizione acquisita. La Casella numero 42, del Labirinto della scelta del cammino, s’identifica con un’energia, un dinamismo, che portati all’eccesso, si rivelano pericolosi; vi è poi La Casella numero 52 dell’Arca Scrigno della vita futura, momento particolare, che può rivelarsi propizio per il balzo finale verso il traguardo e, nel caso del testo, ricorda molto da vicino la torre dell’Athanor, il forno filosofico in cui si compie l’ultima cottura dell’’Uovo’da cui nascerà la pietra filosofale. E infine si arriva alla Casella Numero 58, della Morte, della Tomba, il simbolo del destino avverso, che nell’accezione del nostro Autore, rappresenta l’unica soluzione per fermare l’andamento delle cose, per consentire, attraverso la sciagura, la possibilità di ricominciare… di risorgere dalle ceneri del degrado economico e culturale.
L’interpretazione delle Caselle mi è sembrata di fondamentale importanza per entrare nella storia degli undici protagonisti del romanzo di Luigi Bartalini. Il loro destino, infatti, è legato alle modalità delle caselle e l’èscamotage risulta di grande impatto emotivo. Altrettanto vincente è la scelta di adottare la tecnica del flash – foward, ossia del lanciare il lettore ‘oltre’. Va detto che questo espediente letterario è uno dei più difficili e richiede la capacità di tenere il lettore sulle spine, facendogli dimenticare che è consapevole del ‘poi’.
Gli undici protagonisti, che per strani motivi mi hanno riportato al tanto caro Luigi Pirandello, non perché ‘in cerca d’Autore’, visto che il nostro ‘Scrittore ceduto all’imprenditoria’, come si definisce Bartalini, è l’ottimo direttore artistico del loro destino, ma piuttosto, del testo “Uno nessuno e centomila”, per le capacità dell’Autore di caratterizzare tutti i personaggi, non solo i protagonisti, cucendoli nel tessuto sociale in cui viviamo.
E qui si salta, pur restando sul piano squisitamente letterario, sul piano di lettura sociologico. I protagonisti e loro famiglie hanno in comune più tratti: sono infelici,
poco inseriti nelle realtà familiari, frustrati a livello lavorativo e, quasi sempre, soli e arrabbiati. Le loro sono esistenze di esodati dal lavoro, che come Renato, dopo una vita trascorsa a rincorrere obiettivi, si trova a sessant’anni, “in ‘una terra di mezzo, non al punto d’arrivo immaginato solo due anni prima, quando guardava alla pensione come a un traguardo” – tratto dal testo -; di commesse del fastfood, come Germana; di donne come Myriam, insegnante di matematica dotata di scarsa autostima; di Raffaele, giovane dottore in Giurisprudenza, che ha scelto il lavoro in una multinazionale, in qualità di responsabile delle relazioni sindacali per evitare il tirocinio e l’esame di Stato; o anche di simboli del compromesso, di una vita ricca di denaro e vuota di ideali, come quella di Vincenzo, membro di commissione nelle gare d’appalto…
Luigi Bartalini, ci consente di seguirli passo passo, scandendo le ore della loro sveglia, dei loro pensieri prima di alzarsi dal letto e nelle ore successive. Diventano
undici ‘persone’ vive, palpitanti, nelle quali, in alcuni momenti, inevitabilmente ci identifichiamo. E l’ars narrandi dell’Autore tocca il vertice nella pietas che mostra nel corso della scrittura. L’occhio con il quale osserva le sue creature non è esterno, egli si cala nella storia di ognuno, nelle condizioni economiche precarie, nelle delusioni, con spirito di autentica partecipazione. L’imprenditore scompare. Resta l’uomo. Di rara e profonda umanità, teso a cogliere gli aspetti più dolci e segreti dei suoi personaggi.
La storia si svolge in quello che viene comunemente definito un non – luogo, ovvero un centro commerciale.  Nel testo questa realtà considerata spazio di transito, non identitaria, diviene il cuore del romanzo, il Luogo ‘colonizzato’ in cui convergono le vite degli undici personaggi. Non si conoscono, non si conosceranno, ma consumano la giornata insieme… e qui entra nel Gioco dell’Oca, il Sociologo Baumann e la sua teoria della vita ‘liquida’, che vede consumare i sentimenti al pari degli oggetti materiali, che concepisce solo il‘qui e ora’, perché non trova nella società il senso della prospettiva.
Luigi Bartalini in quest’Opera di altissimo valore letterario e culturale, svolge un’azione didattica. Induce a riflettere sul quotidiano, sui problemi presenti in quasi tutte le famiglie, ricorrendo a un Gioco antico e sconosciuto ai giovani e a un registro
letterario ricco di pathos, che costringe a non distrarsi, a seguire le vicende delle undici ‘persone’ e dei loro familiari con attenta ammirazione. Il romanzo è di un’attualità sconvolgente e potrebbe essere considerato nichilista, se non si tenesse conto del costante riferimento al Gioco dell’Oca e dell’ipotesi interpretativa di esso data da Robert – Jacques Thibaud. Nello schema ‘planetario’ del gioco in fondo all’oscurità più assoluta risplende la luce del sole. E nel romanzo di Luigi Bartalini
premere il tasto reset è indispensabile per azzerare e poter ricominciare.
Dopo aver concluso “Casella numero 58” mi è venuto spontaneo pensare al precedente romanzo dell’Autore, “Sono nato nel mese dei morti”, che ho considerato
e considero un’Opera di incandescente bellezza. E mi sono chiesta quanto deve essere abile uno Scrittore per riuscire a non ancorarsi a una determinata cifra contenutistica e stilistica. Luigi Bartalini è passato da un romanzo a due e, nel finale, a tre voci, ambientato nella Napoli della Seconda Guerra Mondiale, a un testo di straordinaria modernità e originalità. Lo stile è fluido, caldo, teso a focalizzare i particolari dei caratteri e delle situazioni. Ha momenti di intimismo commovente, alternati ad altri forti, sanguigni.
La struttura dell’intera Opera è senza dubbio filmica. Le immagini scorrono su un’ideale schermo e ogni particolare risulta funzionale a una riproduzione televisiva o
cinematografica.
Nel concludere penso con gioia alla frase che scrisse J. D. Salinger  “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che finisci di leggere nella speranza che l’Autore sia un tuo amico per la pelle, per poterlo chiamare al telefono tutte le volte che vuoi…” Io ho l’onore di essere amica di Luigi Bartalini.
                                                                                                 Maria Rizzi
   






1 commento:

  1. Ho letto con vivo interesse la recensione puntuale di Maria Rizzi. Il titolo del romanzo mi ha intrigata fin da subito. Maria ci porta ad un impianto filmico della storia ed io mi beo di questo. Mi chiedo: Chissà cosa sarebbe in teatro? Di mio, ambisco da tempo ad uno spettacolo teatrale che si ispiri al gioco del monopoli, lo pensavo utopia ma ecco che Maria ci parla di questo romanzo che dev'essere davvero particolare, la cui fabula e intreccio immagino difficoltose da rendere. L'idea della morte, come in Gadda, è ordine di tutte le cose. Mi colpisce ancora il modo in cui Maria Rizzi, si sofferma sulla mancanza di prospettiva. Quel punto di vista a me tanto caro che, oggi, sembra soffermarsi soltanto sulla certezza degli oggetti mentre tutto ciò che conta sfugge. Mi viene voglia di leggere "Casella Numero 58".

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