lunedì 1 giugno 2015

S ANGELUCCI: "UN ALTRO INVERNO" DI S. GIOVANNETTI


Sandro Angelucci collaboratore di Lèucade



Sonia Giovannetti collaboratrice di Lèucade

  
       Sonia Giovannetti: Un altro inverno
    Editore Kairòs. Gennaio 2015. Pp. 68


PRESENTAZIONE UN ALTRO INVERNO
DI SONIA GIOVANNETTI

  
       È un’onda del mare la parola di Sonia Giovannetti (e so, ad essa comparandola, di riferirmi al tópos a lei più caro ed alla sua poesia).
       Ritengo, tuttavia, che il moto ondoso al quale, qui, mi richiamo necessiti di un’interpretazione che – come tale – non può che essere soggettiva. Il mio punto di vista non si discosta dall’idea prevalente che ognuno di noi conserva nel proprio immaginario: il ripetersi, la ciclicità – vorrei dire rituale – di continue partenze e continui ritorni. Ciò nonostante il pensiero – e  vivaddio, aggiungo,  per la salvaguardia della nostra unicità – il pensiero, dicevo, ha preso la sua strada, spinto dal “grande vento che viene dal mare”, dal soffio vitale che annuncia sempre l’arrivo di nuove stagioni.
       Tenterò di farvene partecipi prendendo in prestito l’incipit della lirica eponima: “Vedi come il tempo ci muta / e come sprofonda per esso l’illusione / d’aver per complice l’eternità.” e, apparentemente contrapposto, l’esergo che Sonia ha voluto in testa alla raccolta: “Ogni poesia è un viaggio nel tempo, anche se un poeta non parte mai veramente. Egli, in realtà, rimane sempre presso di sé.”.
       Perché queste e non altre citazioni per parlare di un’opera equamente animata dalla levità quanto dall’approfondimento ontologico, dall’esigenza di dire il bello quanto il vero? “. . . Un percorso di versi – sostiene Pardini – fuori da ogni epigonismo, da ogni armamentario retorico, dove la vita, spesso, pur apparendo come uno spazio prestato dalla morte, si ravviva di colori che coprono tutta l’iride dell’arcobaleno. . .”.
       Ecco, allora, che disquisire di Un altro inverno significa entrare in punta di piedi in un lascito, consapevoli della delicatezza del dono, del suo rapido sfiorire ma anche dell’intenso profumo del fiore. Non è forse la stessa cosa che la poetessa ci suggerisce scrivendo: “Tra sacro e profano abbiamo riattivato la pendola degli anni / rimasta a lungo immobile nella stanza vuota. / Fu il dubbio a metterci in viaggio, a squarciare / le soglie del tempo, colorando albe e stagioni.”; non è forse con la delicatezza cui s’accennava ch’ella s’inoltra “giorno dopo giorno, nel mistero dell’esistere”?
       L’onda: un’onda che, fragorosa, rompe sugli scogli o, scivolando, si distende morbida sulla battigia; un’onda che porta a riva gusci vuoti di conchiglie e plancton; che viene e va dal principio alla fine, dalla fine al principio.
       Siamo nel cuore pulsante di questa poetica: al movimento diastolico e sistolico che ne determina l’origine; ed è interessante notare come il tutto viene trasferito, sul piano formale, in una accentuazione variabile del verso che rende il ritmo fluttuante, ondivago appunto, completamente abbandonato alla risacca, che risucchia l’anima alla ricerca della propria essenza.
       C’è una lirica, tra quelle qui raccolte, che mi sembra esemplare ed esemplificativa in proposito: mi riferisco a Il sentiero (p.26); testo in cui, contenuto e sonorità si abbracciano così visceralmente da non potersi più districare. Quando – in poesia – si verificano simili condizioni, bisogna drizzare le antenne perché esattamente quello è l’attimo fuggente, che si è lasciato sfiorare, ed ha impresso le tracce del suo passaggio sulla carta. Per ovvie ragioni, non proporrò la lirica nella sua interezza ma l’incipit e la splendida chiusa meritano l’ascolto: “E’ questo sentiero già percorso il mio viaggio, / lo so per certo, ora che la meta m’appare come abbaglio”; e la terzina finale: “Il sentiero che ho davanti / promette di essere questo infinito ritorno / lì dove tutto è cominciato.”.
       Sono versi che trasmettono una percezione del metafisico inusuale, dotati di una forza attrattiva coinvolgente e irresistibile. Rischiando di ripetermi – ma ne vale decisamente la pena – ho incrollabile certezza nella capacità, che possiede il canto citato, di fare da colonna portante all’intera costruzione poetica del libro.
       Occorre scavare per trovare le fondamenta, rinvenire nelle parole l’energia del pensiero poetante; e, qui, una forza titanica si sprigiona, supera il muro del suono, generata – com’è – da una vera e propria epifania.
       Il sentiero è già stato percorso ma rappresenta il nuovo viaggio, la meta è già stata raggiunta ma continua ad essere abbagliante, si va verso il futuro perché si è sulla strada di un infinito ritorno. Eccolo l’ossimoro degli ossimori; la verità più grande della verità, e il sogno, il sogno più grande del sogno.
       D’altra parte, da cosa dovrebbero prendere abbrivo i primi passi se non dall’incertezza, dal non sapere che ci riserverà il domani? Cullati, però – come l’autrice scrive in Carezza d’autunno – “ dalla memoria di un tramonto che un dì / risvegliò in me le stesse sopite emozioni.”.
       E non si pensi ad un dettato astratto, ancorato soltanto alla speculazione psichica: certo, ogni aspetto del vivere è trattato e traslato sul piano dell’interiorità, ma questo non inibisce né esclude l’impegno, che da individuale acquista valenze sociali ed universali.
       “. . . anche su quel mare – là all’Idroscalo – nel lento ripetersi dell’onda, / galleggia la nostalgia per ciò che non è stato. / E sempre va, sottobraccio al vento, la poesia che non muore. . .”.
       Il riferimento alla chiusa di Caro Poeta (la lirica, di p.49, dedicata a Pier Paolo Pasolini) mi riporta immediatamente al concetto con il quale ho aperto l’intervento: giunge e riparte, si spegne e rinasce dalla spuma, nel suo infinito ritorno, l’onda-parola di Sonia Giovannetti.
       Accomiatandosi dai propri lettori, così si esprime in Non trattenermi: “Se un giorno non scriverò più, / vorrà dire che la notte è arrivata.”.
       Succederà: sta nell’ordine naturale delle cose, ma siamo sicuri che esista davvero “l’ultima onda del mare” per un poeta; per chi – come lei – ne sente il respiro, e tanto ne ama l’amore?


 Sandro Angelucci






1 commento:

  1. Con infinita gratitudine ho avuto l’onore di ascoltare l’alto pensiero e le straordinarie parole, nel giorno della presentazione del mio ultimo libro di poesie, che Sandro Angelucci ha voluto dedicare a questa silloge”.
    “E’ un’onda del mare” anche la sua lettura dei miei versi, anch’essa cadenzata - mi pare - da quel “ritmo fluttuante” che dà origine a questo mio inverno e al mio viaggio nel tempo della poesia che così acutamente avverto come motivo del mio scrivere. E’ davvero un dono grandissimo che il poeta Angelucci mi porge e che io trattengo, insieme alla sua amicizia, nello scrigno delle cose che più contano. Grazie, carissimo, Sandro.
    Sonia Giovannetti

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