giovedì 28 gennaio 2021

FLORIANO ROMBOLI: "VALORE MORALE DEL RICORDO...", IN TOMMASO TOMMASI


    Valore morale del ricordo e ansia di libertà nell’ultima raccolta poetica di Tommaso Tommasi

 

Floriano Romboli (a sinistra),
collaboratore di Lèucade

Il motivo del ricordo risulta fondamentale nella problematica intellettuale e nella strategia strutturale-ordinativa di Ripamaro. Poemetti e poesie, il volume di versi di Tommaso Tommasi pubblicato proprio alla fine dello scorso anno dalla Casa Editrice Miano.

Il tema s’impone all’attenzione del lettore fin dall’inizio del primo poemetto, il più ampio, intitolato L’estate 1977 : “Pensieri riscopro che credevo/ dimenticati sulla strada della vita./ Ho vissuto lontano dalla mia infanzia,/ ma ora la ritrovo./ Dopo vent’anni torno nella mia vecchia casa,/ dopo vent’anni rivedo il tesoro di mio nonno,/ le vecchie cose amate che la polvere ricopre/ ma io riconosco e ricordo” (vv.2-9, corsivi miei).

La frequenza del prefisso iterativo attesta l’urgente necessità della riappropriazione di un prezioso lascito etico-culturale che costituisce il fondamento irrinunciabile di un’identità individuale e collettiva che il commosso recupero lirico-memoriale tutela e avvalora: “Rivedo il grande focolare riscaldare le sere d’inverno/ e allietare quelle d’estate/ quando le discussioni vivevano dello spirito felice/ che la natura accompagna all’uomo (…) Domenica senza storia/ anche se le campane suonano/ e svegliano la mia memoria./ Un giorno come ieri,/ un giorno come domani,/ eppure era diverso quando Quirino/ mi riempiva di favole e lo stavo ad ascoltare/ dedicandogli il tempo della vita./ Momenti di immobile energia/ che però non ho dimenticato” (ivi, vv.27-30 e 130-139, cors. mio).

L’efficacia “energetica” intrinseca alla tradizione e all’ethos connaturale al piccolo, periferico paese d’origine (Ripatransone, nella provincia ascolana, richiamato nel titolo) è poi potenziata dal vivo disagio provato dall’autore dinanzi al sistema di vita imposto con soffocante durezza dalla civiltà urbano-industriale, innaturale, meccanizzante e omologativa: “Non ricordo altre vite./ Questa che vivo parla di violenza./ Da essa è solo possibile fuggire./ Il mondo è condannato all’abisso/ con l’indifferenza di una persecuzione/ che non ha fondamento umano./ Vivere diventa più difficile/ vivendo in tombe aperte/ dove l’asfalto brucia il futuro/ e i mostri gettano il loro sangue/ partecipando alla follia di corse pazze”(ivi, vv.213-223).

Tuttavia una posizione ideologica siffatta, suggestivamente nostalgica e pasolinianamente pensosa, non appaga la sensibilità del poeta, convinto d’altronde che “ il mondo è più grande di Ripa”(ivi, v.161) e che il rifugio borghigiano-campestre, l’idea dell’“isola felice” possono assumere altresì valenze regressive e in particolare avere implicazioni limitative della libertà del singolo e dell’aspirazione insopprimibile a nuove esperienze, a nuovi e differenti percorsi, nella consapevolezza che “ogni giorno l’estate ricomincia/ con le stesse voci nuove,/ nel tempo passato e irrecuperabile” (ivi, vv. 287-289).

La vita infine consiste pure nel “perdere contenuti antichi/ alla ricerca di nuovi destini” (ivi, vv. 374-375, corsivi miei) e  “libertà è volare nell’aria come un gabbiano/ che si posa sull’onda e non la tocca,/ felice di andare col vento/ senza una meta fissata da altri,/ girare intorno al fuoco dei gitani/ che si posano dove il vento li posa,/ nella più totale anarchia di chi sente/ di essere il solo padrone di sé” (ivi, vv. 106-113).

L’intima tensione fra senso orgoglioso delle radici antiche e acuto bisogno della più ampia libertà personale costituisce il nucleo genetico, lo spunto primario e traente della ricerca artistico-letteraria di Tommasi, nell’àmbito di un quadro ideale e di un disegno conoscitivo dominati da “insanabili antinomie”, come bene ha rilevato Rossella Cerniglia nel profilo dello scrittore tracciato nel volume quarto (2020) della Storia della letteratura italiana. Dal secondo Novecento ai giorni nostri stampata dal medesimo editore Miano.

Il discorso lirico tommasiano si anima infatti della costante dialettica dei contrarî (vita/morte; luce/buio; sogno/realtà; natura/civiltà umana; innovazione/abitudine; antichità/modernità); e la stessa visione del mare – ora “azzurro” e tonificante, ora “scuro” e minaccioso – risente di tale costituzionale ambivalenza, di una attenzione spiccata alla contraddittorietà dell’ordine delle cose naturali e specialmente umane: “La- crime nere di cristallo saltellano nel mare vecchio della/ noia. Baracche riflettono nell’acqua il silenzio./ Nel mare dell’abitudine ricerco una nuova via tra gli scogli/ oscuri della notte (…) Solo con la natura, eppure intorno a me vive il mondo vive il mondo./ Davanti al mare che tuona nel suo rullio infinito, cerco il/ mondo della mia fantasia che mi aiuta a vivere” ( v. il poemetto Inno al mare, vv. 13-16 e 30-32 ).

La seconda parte del libro accoglie una nutrita serie di poesie brevi, “gocce” di saggezza creativa, ove sperimentazione formale-linguistica e concentrazione riflessiva si uniscono stimolate da passione partecipativa e dal gusto di una meditata, mordente ironia: “Il cappotto nasconde la gravità/sublime di fronte all’altalenante/ fantoccio che dice ‘sì’”;    “Grazie all’impronta del giocatore/ che va per giocare ma resta giocato/ sublimo il palcoscenico per tutelare/ la frequenza”;    “Gli alberi lontani e silenziosi/ sembrano abbassarsi al suolo fino ai/ fiori della vita”;   “Con gli occhi arrossati rispondo al/ vento che muove i cavalli verso/ strade calde”.

Sul palcoscenico della vita, definita in un incompiuto componimento finale, con ricercatezza ossimorica, “piacevole tormento”, le avventure sembrano finite, “eppure ogni giorno è/ un’avventura”; e  se  “il giornale è/ lo specchio di una vita/ senza coraggio, dove/ nessuno sa recitare la propria parte e cade/ all’indietro”, Tommasi intende aggredire con rigore “i conformismi e le ipocrisie sociali, le mode e le tendenze snob, l’avere e l’apparire”, secondo che avverte nella prefazione, con la consueta lucidità, l’amico Enzo Concardi.

Comunque anche in questo contesto lo sguardo del poeta è rivolto alle prospettive del futuro (“L’albero senza fronde non oscura il sole se due/ uomini guardano lontano”), giacché a suo parere ogni soluzione conservatrice rappresenta un ostacolo sostanziale per la fantasia e la libertà: “Ritornare non può allargare la/ mente a nuove scoperte e a nuovi/ comportamenti”(corsivi miei).                                                                                            

Floriano  Romboli

 

 

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