venerdì 1 gennaio 2021

SANDRO ANGELUCCI LEGGE: "I GIORNI DELLA NEVE" DI LOREDANA D'ALFONSO

IL LIEVITO DEL DOLORE 


Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade

Da bambini (tutti lo siamo stati, anche se molti non se lo ricordano) si aspettavano i mesi invernali con trepidazione, con la speranza che dal cielo scendesse a larghe falde quella che consideravamo una manna per i nostri sogni, per i nostri desideri di gioco, di rotolarci sui prati imbiancati e soffici, candidi come le nostre anime ancora pure ed intonse.

       Ma i giorni della neve - ce lo insegnerà poi la vita - portano anche freddo e gelo, disagi e inconvenienti: allora iniziamo a sentire le mani bruciare ed il freddo penetrare nelle ossa. Sensazioni spiacevoli che, forse, vogliono prepararci, farci comprendere che tutto ha un costo, non esclusa la felicità.

       Ed è proprio I giorni della neve il titolo che Loredana D’Alfonso sceglie per il suo debutto in poesia, affidando la pubblicazione della sua prima raccolta in versi alle Edizioni Tracce nella collana           diretta da Francesco Paolo Tanzi. E non lo fa semplicemente per riprendere l’intestazione del testo che apre la silloge, ben più profondamente e miratamente opta per questa decisione perché la stessa le offre la possibilità di affrontare un’esperienza molto ardua che - ritengo di dover dire - soltanto con l’aiuto di un mezzo espressivo, quale è quello del linguaggio poetico, poteva essere trasmessa in modo tanto viscerale agli altri.

       Il riferimento biografico si rende, a questo punto, indispensabile: siamo al cospetto di un libro che nasce dalla perdita prematura e improvvisa del marito dell’Autrice, Carlo, al quale è interamente dedicato.

       L’incipit della lirica eponima recita così: “Erano i giorni della neve / Voraci. Crudeli. / Voragine si aprì nella mia strada.”. Inizia il dramma.

             Questa è la dura realtà ma nessuno può capire il perché: sta scritto - si potrebbe dire - se non si  venisse tacciati di determinismo. Ebbene, io lo voglio correre questo rischio, voglio, in un mondo di coloro che credono soltanto a ciò che vedono, provare a vedere l’invisibile, tentare - quanto meno - un percorso diverso da quello stabilito, capovolgendo i termini: non accettare passivamente significa spingersi oltre l’assodato. Gli antichi, i popolani, i cosiddetti insipienti dicevano: “si chiude una porta, si apre un portone”. Perché non applicare a tutto, anche al trapasso, questa saggia  convinzione? Se è vero - come è vero - che tutto è vita? Chi è allora il fatalista? Si, è proprio lui: colui che crede soltanto a quello che vede.

       Una digressione che spero non appaia forzata e che, proprio in ragione di ciò, intendo motivare. Lo faccio prendendo spunto dalla poesia immediatamente seguente: Niente da dichiarare . La bellezza e la cifra della composizione stanno in quell’asserzione determinata, risoluta, sicura. Come davanti ad un perquisitore o ad un doganiere la D’Alfonso dice di non aver nulla da denunciare o da esibire. Depurata all’osso si muove in assoluta libertà: quando si è perso tutto non si ha più nulla da perdere e si torna a dare importanza a ciò che realmente ce l’ha: l’essenziale.

       Ci si chiederà: ma dov’è il collegamento, cosa ha a che fare il sostanziale con la fatalità? O - se si vuole - il non porre resistenza con il credere, con la fede?

       Tutto dipende dal significato che si vuole attribuire al caso: se lo si considera un avvenimento puramente accidentale oppure di più complesso. Personalmente sono propenso a reputarlo sia fortuito che prestabilito, con una precisazione però: quando dico preordinato  intendo nulla di aprioristico, e quando penso alla complessità non me la figuro come complicatezza. In altre parole, non è affatto vero che sia cieco: ci vede, ed ha una vista molto più acuta della nostra, il caso, perché non guarda con gli occhi ma con organi di senso che noi - semmai li abbiamo posseduti - non ne ricordiamo l’esistenza. Sono tante le forme d’intelligenza ma ce n’è una che le raccoglie tutte, e le supera proprio in virtù del fatto che è preesistente, prelogica e insita in tutto il vivente.

       Ogniqualvolta la Nostra affronta il mare aperto del mistero, lo fa - coscientemente o no - con la predisposizione a scarnificarsi, a ridursi all’osso, appunto, senza portarsi dietro altro che la verità di se stessa.

       Solo e soltanto così potrà ricomparire la carne dell’esistere. E non sto parlando di elaborazione del lutto ma di affidamento - questo si - totale affidamento all’arcano disegno della vita.

       Ci sono testi nella raccolta che denotano una fede onesta, nel senso che non vanno dogmaticamente percepiti; pur non mancando chiari riferimenti al credo cattolico, mi sento di poter dire che la D’Alfonso non si accontenti di cercare la “soluzione” in qualcosa di rivelato ma, al contrario, s’impegni nella ricerca interiore per mettere in pratica ciò che la religione stessa le suggerisce. Nessun essere umano - è lapalissiano - si procura dolore o infelicità eppure, lungo la sua esperienza di vita, si trova ad un certo punto a dover fare i conti con amare, angosciose e, non di rado, drammatiche difficoltà. Cosa succede allora? O ci si perde o si scopre quella forza che tutti abbiamo ma non tutti riusciamo a liberare.

       Considero emblematica, in proposito, una delle più rimarchevoli poesie qui contenute. Mi sto riferendo a Deve rompersi. Per quanto la stessa risulti esegeticamente significativa, desidero riportarla per esteso cosicché il lettore che si sarà soffermato sul mio intervento introduttivo, abbia modo di leggerla e di riflettervi ad iniziare da adesso. Eccola:

 

DEVE ROMPERSI     

 

Deve rompersi

Questa maschera bianca,

di gesso.

Sotto preme un sorriso

Che conosce

Una gioia conquistata

A mani nude

Sanguinanti

In risalita.

Deve rompersi

Questa crosta di pane

Sotto preme il mio lievito

E dalle crepe

Insieme a sangue e siero

Trasuderà Amore.

 

       Sembra di vederle la maschera e la crosta di pane spaccarsi, aprirsi, e dalle crepe uscire Amore: un movimento tellurico dal quale lapilli, lava, fiumi di lacrime versate e roventi vengono fuori a testimoniare che sono succo, essenza della vita che scaturisce da sotto, dove preme il lievito del dolore. Ecco, vi lascio alla fruizione di questi dolenti versi con l’augurio possiate carpirne tutto l’empito emotivo e la straripante umanità che dagli stessi trapela.


Sandro Angelucci

5 commenti:

  1. Straordinario il tributo di Sandro Angelucci all'esordio in poesia della nostra Loredana D'Alfonso. Confesso di non essere stata presente all'evento che li ha visti entrambi protagonisti per motivi legati al Covid e di non aver quindi avuto l'occasione di leggere il libro della carissima Lory. Le sue liriche le conosco, così come conosco l'origine di questa svolta in Poesia, che Sandro, con coraggiosa intelligenza spiega... non credo esistano misteri dietro le verità dell'esistenza e la dedica è di per sè più che esplicita. Vivo molto vicina a Loredana e non poter sfogliare la Silloge mi ha procurato autentica sofferenza, ma volevo evitarle la spedizione per salvaguardare la sua sicurezza. Di fatto era ora che un'Opera, nata dal dolore, che ha rivelato un'altra corposa, profonda anima creativa della mia amica, venisse celebrata e nessuno più di Sandro poteva dare l'esempio. La sua esegesi coglie tutti i punti di quest'Opera, nella quale la Poetessa, 'Depurata all'osso' si muove in assoluta libertà' e riesce a scarnificare fino all'osso il lirismo per renderlo poderoso, denso di pathos, sanguigno e caldo come la vita. Un plauso immenso al nostro Sandro, che affresca le Opere con compostezza, rispetto e con la capacità di librarsi in volo. Ripeto che il Poeta che racconta un altro Poeta ha valore superbo, inimitabile. Lory, con questa Silloge è sbocciata e la sua è divenuta lunga fioritura. Ogni lirica supera la precedente... non finisce di stupirci. Sembra nata per esprimersi da prosatrice e da poetessa. Mi inchino, quindi, al suo sommo recensore e alla sua poliedrica Arte, che i più devono conoscere. Li ringrazio e li stringo al cuore entrambi e auguro loro 'i giorni di una nuova primavera'...

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  2. Ringrazio di cuore Sandro Angelucci per il suo prezioso dono che mi onora:
    La prefazione alla mia silloge di poesie "I giorni della neve " delle Edizioni Tracce, pubblicata nel gennaio 2020.

    Sandro ha saputo leggere le mie liriche in profondità, con la sensibilità che è una delle sue caratteristiche più belle e con grande empatia.

    Un caro abbraccio che estendo anche al nostro Condottiero che permette questi incontri sulla sua Isola incantata.

    Loredana D'Alfonso

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    1. Ti ringrazio Loredana. Un dono prezioso? Prezioso è il tuo esordio in poesia. E prezioso chi ci ha dato spazio sulla sua Isola

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  3. Cara Maria, il mio libro ti arriverà al più presto...

    Sandro, dici il vero, ha scritto una prefazione poderosa che commuove per la sua profondità e attenzione ad ogni sfumatura delle mie liriche.

    Un esordio assoluto per me, nata prosatrice...abbiamo parlato a lungo di questo percorso, un nuovo linguaggio espressivo che regala emozioni immense.

    Grazie delle tue splendide parole,cara Amica d'anima, ti abbraccio e ti stringo al cuore

    Loredana D'Alfonso

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