venerdì 1 gennaio 2021

JACOPO CHIOSTRI LEGGE "SUL CONFINE" DI GIUSY FRISINA




  






                               PREFAZIONE                  

 

Giusy Frisina,
collaboratrice di Lèucade

In questa silloge, struggente, di Giusy Frisina, si realizza un check up esistenziale dai molti significati. Tra questi il più evidente appare a chi scrive questa nota, la capacità di far coincidere la stessa materia dei sogni con lo stato d’inerzia della non vita che abbiamo trascorso, il tutto lacerato dall’impossibilità di tacere, con la parola che fatica a liberarsi da uno sdegnoso silenzio. La poetessa occupa uno segmento vuoto, lasciato tale dalla disintegrazione della realtà, potente ancor prima che nei suoi effetti, nella produzione fantasmatica imposta, giocoforza, anche ad orecchie abitualmente sorde.

Non tragga però in inganno la tanta realtà che si respira in questi versi, vero è che alla base della fantasia ci sono le leggi, severe, della logica, e che un testo simile va ad occupare un posto in quella memoria collettiva che accompagnerà il nostro domani quasi alla stregua di una testimonianza giornalistica, ma il canto è epico e la forza lenitiva non è disgiunta dal vulnus narcisistico della poetessa, il cui pensiero creativo-evocativo si rivolge non ai posteri o ai contemporanei ma a un altra sé stessa cui è affidato un messaggio salvifico e a cui spetta il compito di tradurlo in una ebbra sintesi emozionale di conoscenza del mondo.

La contemplazione della Frisina esorcizza le paure esplorando una dimensione diversa, per molti aspetti inconosciuta, della vita, va oltre i segni del visibile, per affrontare il difficile dialogo con la natura e con la materia. E’ poesia contingente, ci accompagna nel vuoto, interpreta i nostri bisogni, i nostri istinti, ma reclama una nuova dimensione dell’essere; fatica a mantenersi razionale anche quando vuole dare unitarietà al potere soprannaturale della poesia e si fa interprete, autoritaria ed autorevole, di una volontà divina.

Scrisse Pablo Neruda, a proposito delle sue ‘Poesie d’amore’: ‘In virtù di un miracolo che non comprendo, questo tormentato libro ha indicato a molti uomini la strada della felicità. Quale migliore approdo può un poeta proporre alla sua opera’. L’amore, certo. E forse è questo che ci sta dicendo la Frisina. Ce lo dice laddove dilata la realtà, la lacera per riaffermare l’amore per la vita con l’urgenza tipica delle grandi passioni e con la ricerca di un equilibrio tra il sogno e lo stato cosciente.

Imbalsamando un’epoca, l’autrice, sembra voler dar retta a Eugenio Montale che a un’operazione simile affidava, nel suo pensare, la saldezza del perpretarsi dell’espressione poetica. Sono questi della Frisina, a differenza di cosa abbiamo incontrato in pregressi lavori, versi potenti, ma immediatamente familiari, affatto ermetici, che restituiscono al lettore un enunciato scabro, saldo che cresce spinto dall’intensità che esce dalla caverna per ristutturarne la coscienza. Ma non c’è fatica di stile, la germinazione, lo si avverte, è spontanea, e anche qui si può richiamare Montale che, nella sua enunciazione sull’immortalità della poesia cita soltanto quella ‘che sorge spontanea’.

La Frisina ci accompagna nei tempi diversi della ‘pandemia’ filtrandone l’angoscia, destrutturalizzandola fino a esorcizzarla, trasforma le grida di allarme in altrettante possibili, nuove prospettive e opportunità. I tempi sono scanditi dalle sue antenne recettive, in una cronologia speculare delle reazioni emotive e non importa se non si segue l’ordine proposto dalla psicologa Elisabeth Kübler-Ross che ha descritto un modello a cinque fasi: il diniego, la rabbia, la negoziazione, la depressione, l’accettazione. Quanto a noi, possiamo, di fronte a questo, essere insufficienti, certo non sordi.

In ultimo lasciamo Giusy Frisina nella sua isola addormentata ‘che c’è nel cuore di ciascuno’ perché, ricordando Gabriel Garcia Marquez, anche lei in fondo, ne siamo certi, vorrebbe dormire ‘non per stanchezza ma per nostalgia dei sogni’.

                                                                                                 Jacopo Chiostri

                                                                                                                                                     LUNAL PERIGEO (dalla finestra)

 

La Luna è una finestra sulla notte
Ora che finestra davvero
È diventata la vita
Vuoto specchio del mondo
Occhio di sole e nuvola
Sorella un po' matrigna
Che sorride
Nel silenzio abissale del tempo
Quasi ragazza impudica ed ignara.
Ma  meno consapevole il tuo sguardo
Che vola oltre i numeri del giorno
E vede dopo il pianto
Come di bimbi mai stanchi alle finestre
Almeno in questa notte
Una giostra di fate
E un nuovo ciclo di vita 

 

 

NESSUNO

 

Nessuno c’è

Nella landa deserta

Nel mondo che non credevi vero

Fuori dal tempo malato che vedi

Trascinarsi nei resti

Di una tempesta imprevista

Nessuno nuota solo

Solo nella striscia di luce

Nessuno era già pronto

Quando il mondo non era pronto

Sapeva tutto quando non sapeva nulla

Guardava una madonna nera

Arrivare dal mare

Su una barca di legno

E un gabbiano solitario

Volare incontro al tramonto

Viveva come in una visione

Con la gioia nel non senso

Mentre gli altri stavano facendo selfie

E sembrava che tutto quel baccano

Potesse durare in eterno

 

2 commenti:

  1. Una perla questa lettura dell'ultima Silloge di Giusy di Jacopo Chiostri. Vola sull'originalità, sull'estro, sulla volontà di affrescare la poetica sublime della mia amica antica, con parole diverse e con straordinari riferimenti a Pablo Neruda e al suo capolavoro "Venti poesie d'amore e una canzone disperata', del quale cita: ‘In virtù di un miracolo che non comprendo, questo tormentato libro ha indicato a molti uomini la strada della felicità' Miracolo che Jacopo identifica con l'amore... E non potrebbe essere altrimenti, visto che l'accostamento è con l'Opera di Giusy, che nella vita e negli scritti trasuda amore. Altro eccellente riferimento è quello a Eugenio Montale, che'affidava, nel suo pensare, la saldezza del perpretarsi dell’espressione poetica'. La chiusa dell'esegesi è la disamina degli argomenti trattati in essa, con lucidità, e con un riferimento al sogno che commuove. Ho ricevuto ieri l'Opera di Giusy e sono intimidita dopo una simile lettura. Complimenti al caro Jacopo e alla mia Poetessa, auguri lievi e dolci a entrambi e un forte abbraccio per ora virtuale... aspettando "Una giostra di fate/ E un nuovo ciclo di vita ...

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  2. Grazie cara amica antica anche a nome di Jacopo, sai che sei sempre nel nostro cuore. Un immenso augurio di buon anno a te e al il nostro Condottiero, come tu amabilmente lo chiami. Giusy

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