venerdì 15 gennaio 2021

PASQUALE BALESTRIERE LEGGE: "DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA" DI NAZARIO PARDINI


Pasquale Balestriere,
collaboratore di Lèucade


LETTURA DELLA SILLOGE DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA di NAZARIO PARDINI

GUIDO MIANO EDITORE – MILANO

Ho appena finito di rileggere  - con  l’attenzione che, per tanti motivi,  si deve a un’opera di poesia -  Dagli scaffali della biblioteca,  la più recente silloge poetica di Nazario Pardini. Ne ho in mano i fili, nell’orecchio la musica, nel petto gli ansiti,  nella mente la passione per tutto ciò che è riferibile alla vita. E negli occhi la policromia, ed anche il respiro,  di una natura che mai nei versi del poeta di Arena Metato è scontata o gratuita, perché invece sempre vibra di fresco e fremente soffio vitale, fondendosi  con tutte le altre presenze di questo panorama poetico in sinestetica armonia.

Tripartita - Ricordi che pungono,  Dagli scaffali della biblioteca, Dieci poesie d’amore - , l’opera si apre concedendo il primo posto a un tema molto caro al poeta, quello degli affetti familiari.  Devo qui osservare, avendolo  puntualmente notato nel corso del tempo,  che  questa tematica, certamente ben presente in tutta la produzione  del Nostro,  ha trovato tuttavia più fitta occorrenza nelle raccolte pubblicate dal 2015 in poi; quasi che in lui si fosse manifestata un’urgenza, sempre più acuta e non procrastinabile, di svelamento e testimonianza di momenti e di sentimenti, di cose e persone, di luoghi e di vicende che hanno segnato, spesso in modo doloroso,  la storia della sua famiglia. La quale, con resa molto icastica,emerge, insieme alla casa che la ospita,  già nel componimento incipitario del libro e della prima sezione”La sorpresa di Natale” dove, quasi in opposizione  all’ambiente fisico che un tempo riuniva in sé il nucleo familiare, si manifesta il seme della sua disgregazione nella necessità per il poeta “di andare presto alla città / che mi voleva giovane”(pp. 17 e 28). E quei vocativi “ O stanze fredde .... o scaletta ...  o finestra ...o familiari stanchi ...o padre, o fratello, o focolare ...   o tutti voi miei cari ...”(ibid.)  che altro fanno se non sancire, anche a posteriori, quell’unità simbiotica tra persone e cose, così indissolubile che a distanza di svariati decenni spinge ancora il poeta a un non illacrimato recupero memoriale delle figure parentali e fraterna, oltre che di luoghi e tempi, anch’essi inesorabilmente accampati nei ricordi? Non è anodina la memoria, se ha un cuore a sostegno. E che cuore, il Pardini!  Dove trova largo spazio la figura paterna, evocata e rievocata, quasi  rubata alla morte per dialogarci all’infinito, stretta al petto per scongiurare il distacco. In questo scomparto della silloge, in cui l’amore della famiglia tiene il campo in modo esclusivo e la casa si trasforma in una sorta di nido pascoliano, trovano spazio anche componimenti dedicati ai nipoti del poeta, fermo restando che, qui e altrove, il fulcro della memoria, quello che ingenera in Pardini i versi più commossi è costituito da una triade di figure scomparse dalla terra e tenacemente vive nel ricordo, quelle del padre, della madre e del fratello Sauro. Sono Ricordi che pungono, proprio come recita il titolo di questo primo blocco di poesie.

Passando alla seconda sezione del volume, quella eponima,  intitolata Dagli scaffali della biblioteca,  trovo molto significativo e illuminante, anche se non inedito, l’espediente del Nostro di intrecciare, nei modi possibili, un colloquio con alcuni autori dei volumi della sua biblioteca. Per far questo egli, oltre alle funzioni di poeta, assume anche quelle di lettore e bibliotecario, termine  - quest’ultimo -  da intendersi con un’estensione semantica, e cioè non solo come chi dirige la biblioteca o è addetto al suo funzionamento, ma soprattutto come possessore e proprietario, condizione esplicitamente rivendicata in VIII, 1 : “Ma questa non è la mia biblioteca?”.   Di ciò, tuttavia,   in seguito. Intanto va subito  chiarito che i singoli testi di questa sezione sono indicati con numeri romani dal primo al trentesimo. Dopo  due componimenti iniziali (I e II) dal taglio quasi  proemiale, che dicono scene di paesaggio agreste e di vita quotidiana, concluse con la descrizione di Chagall al cavalletto, intento a riprodurre sulla tela immagini femminili, l’obiettivo poetico si sposta su un prato dove sono seduti, accanto al Nostro che  fa da voce narrante, Catullo, Manzoni e Leopardi (III). Il pensiero, per analogia situazionale,  va subito alla dantesca Valletta dei principi  o ai Campi Elisi virgiliani . Ognuno dei tre recita un suo scritto: ma un temporale improvviso mette tutti in fuga. Dopo una considerazione, vagamente leopardiana, sulla totale indifferenza della natura alle sorti umane  (IV), il poeta-bibliotecario comincia a sfogliare  pagine di Baudelaire che, seccato, lo invita a leggersi Platone, lasciato da gran tempo a riposo (V); ma anche il filosofo lo allontana bruscamente (VI), sicché il poeta tenta l’approdo a lidi letterari più vicini e familiari, passando all’Inferno dantesco: ma il burbero fiorentino lo caccia via, minacciandogli una collocazione infernale, tra gli eresiarchi (c’entrerà per caso il fatto che il Nostro sia un pisano, di quella città, cioè, che l’Alighieri aveva bollato come “ vituperio delle genti”?) (VII).  Fatto sta che  a questo punto il bibliotecario ha tutto il diritto di chiedersi, indispettito, “Ma questa non è la mia biblioteca?” (VIII). Non sono quelli i libri ch’egli ha acquistato per desiderio di apprendere? Ma gli autori vogliono dormire e Platone (il solito!) lo caccia ancora, rimproverandogli di averlo lasciato a giacere per vent’anni. Per fortuna appare Catullo (IX) il quale, prima di recitare alcuni versi d’amore per Lesbia (Vivamus, mea Lesbia atque amemus ...), ne prende le difese, riducendo a  semplici contrasti e incomprensioni quella che fu una tragica (almeno per lui)  rottura.  Insorgono gli altri ospiti della biblioteca che offendono Catullo (il quale intanto si è già ritirato nelle pagine del suo libro), anche  con un appellativo tipicamente italico. Tuttavia Manzoni, con sagge parole, riporta la calma.  A questo punto  un vecchio quaderno dal volto triste si propone per la scrittura: le sue pagine sono sole e abbandonate; non vorrà il poeta-bibliotecario  riempirle, raccontando una storia? Allora l’atmosfera si fa mitica, fiabesca; perché prende vita la vicenda “di un re e una regina che non vollero / sedersi sopra il trono, ma pazienti / si dettero al lavoro per i campi” (X, 12-14). I versi s’accendono di tinte decisamente autobiografiche, si vestono di note liete, si spengono infine nella tristezza della fine; e il quaderno è soddisfatto di contenere “una fiaba emozionante / da recitare a chi viene a trovarmi” (ibid., 78-79). E ora, come per magia, dopo tanti rifiuti e quasi a rompere il ghiaccio, ecco proporsi  D’Annunzio (XI), uscendo dalle pagine de “Il piacere”: recita versi dalle “Laudi” e invita il bibliotecario a salutargli quei luoghi della Versilia che gli fornirono alta materia di canto. Ha inizio qui una serie di richieste da parte degli autori che escono a turno dai libri che hanno scritto o in cui sono contenuti. Saba (XII), per esempio, ne fa più d’una:  “mi batté sulla spalla per portarmi /a sfilare dal gruppo la sua voce” (vv. 4-5), cioè chiede spazio; poi: “Fa’ che questa mia canzone vada in giro / fino a Trieste a ritrovare i luoghi / dove abitai con mia moglie Lina” (vv. 22-24);  infine “  Vorrei tanto che tu potessi andare / a visitare la città natale / recitando i miei canti ... (vv. 40-42) e “ Se vai laggiù, ti prego, / porta dei fiori freschi sulla tomba / della mia amata” (vv.47-49). Pavese invece, dopo aver lamentato di essere stato letto poco, dice di sé e del suicidio; poi si limita a chiedere. “... se tu puoi, / va’ sulla tomba del mio grande padre, / portagli dei fiori a nome mio / e digli che da quando mi ha lasciato / non ho più avuto bene” ( XIII, 31-33 ). Anche Vincenzo Cardarelli, dopo aver letto alcuni versi dedicati alla Liguria, rivolge la sua richiesta al bibliotecario: “ Voglio soltanto che girino a casa / questi miei versi; e possano vedere / che Nazareno poi non era male. / Teli affido in consegna. Falli andare” (XIV, 52-55 ).  Mentre tra gli scrittori ospitati in libreria si svolgono confusi conversari, dal volume dell’ “Allegria”  viene fuori “la voce rauca e un po’ sgraziata” ( XV,  9) di Ungaretti che declama la sua notissima poesia sulla madre, poi dice di sé, della sua vita e di alcune sue scelte, dice ancora altri suoi pochi versi e infine chiede al bibliotecario di leggere le sue poesie a Lucca, dove ritorna spesso la sua memoria.  Dopo di lui, in ordine, vengono alla ribalta Francesco Pastonchi (XVI), che propone  brevi stralci dei suoi “Endecasillabi” e prega il poeta-bibliotecario di andare a leggere suoi versi sulla tomba della nonna; ancora Saba (XVII), che si lamenta di essere stato  tolto dal suo posto dove vuole ritornare per stare vicino a Leopardi, con il quale ha stabilito un buon rapporto; e Attilio Bertolucci, lodato da Carlo Bo per la purezza del suo canto; e Giuseppina Cosco, di minor fama, ma d’ispirazione tersa e delicata; e  Giorgio Caproni (XVIII), che parla della madre, recita una stralcio di componimento  risonante di echi cavalcantiani a lei dedicato, del quale - anche lui !-  chiede lettura sulla tomba di lei. Poi (XIX) una voce diffonde armonia di poesia in tutto l’ambiente: è Campana che, invitato ad uscire dal libro, parla di sé  e della sua vicenda umana e poetica.  Che Sibilla Aleramo  (XX)  gli giaccia accanto in biblioteca sembra essere la cosa più naturale per le note vicissitudini  sentimentali e artistiche con il poeta di Marradi  che ancora la fa sospirare. In quest’atmosfera piuttosto mesta irrompe  il satirico Trilussa (XXI)  che, con  giocosa ironia, spera  “ tanto / di riportare un po’ la barca in pari”.  Desta perciò una qualche meraviglia il fatto che, dopo tanta leggerezza sia pure con coda gnomica, si materializzi nella rappresentazione la figura seria e grave di Ugo Foscolo (XXII), poeta dal forte sentire e dalla sofferta esperienza umana, cultore della bellezza,  che fece delle “illusioni”  motivo di vita e di poesia. Poi, quasi come intermezzo, la visita di un amico, con il quale il poeta-bibliotecario discute di arte, poesia e letteratura (XXIII):  incuriositi,  gli ospiti della biblioteca escono dai loro libri, vi si siedono sopra e ascoltano la  conversazione, esprimendo poi per bocca di Leopardi, D’Annunzio e Ungaretti opinioni diverse  sull’Ermetismo e sulla poesia del Novecento  (XXXIV). Ma già si diffondono per la stanza i versi di “Meriggiare pallido e assorto” (XXV), che viene proposta per intero da Montale, il quale aggiunge qualche notizia di sé per poi ritirarsi “mesto e fugace” (v. 44  ) tra gli altri autori. A questo punto il poeta-bibliotecario tenta di inserire suoi versi tra i volumi di Montale e di Ungaretti e spera di essere accolto tra gli altri poeti. Ma arriva la ripulsa di Montale:  “imbarbarito”, chiede al bibliotecario di toglier via i versi dell’intruso, che è poi il bibliotecario stesso nelle vesti di poeta (ma Eugenio lo ignora), sistemandolo altrove, magari vicino a Dante (XXVII). Per fortuna  Saba, gentile e disponibile,  apre all’ospitalità (XXVIII). È infine la voce di Quasimodo (XXIX), del quale sono riportate ben tre poesie,  a dire versi di dolore  per il disastro della guerra e per “ i morti abbandonati nelle piazze” e a difendere la sua poesia. Qui (XXX)  il poeta-bibliotecario decide di interrompere il suo dialogo con gli autori presenti nella sua biblioteca “per rispetto di quelli che restavano / muti nelle loro impostazioni / per timidezza o perché riluttanti / a mettersi in mostra ...” (vv. 2-5) Si ribella a questa scelta Sergio Solmi che, quasi d’imperio, legge una sua poesia e si rituffa “ stizzito nel suo libro” (v. 28). Chiusi i battenti della biblioteca tra le proteste concitate degli autori trascurati, il bibliotecario non fa in tempo a chiudere la porta della stanza che “una voce  in sordina” (v. 34)  - individuabile  facilmente dal lettore non distratto come quella del poeta Pardini,  acco(r)datosi in extremis ai grandi  - comincia “ la sua lettura / di dieci poesie sull’amore” (vv. 40-41).

Prima di passare oltre è opportuno notare come il poeta pisano , inserendo, in una sorta di ampio citazionismo, stralci o interi blocchi di versi di autori famosi  in un contesto lirico di sua creazione,  abbia operato  dei veri e propri innesti poetici,  fecondi di sviluppi, di considerazioni e di spunti significativi, da qualsiasi punto di vista li si consideri. Poesia nella poesia o, se si vuole, una sorta di metapoesia, che si realizza in ideale dialogo tra il nostro agricola di penna e gli scrittori da lui convocati a questo appuntamento memoriale.

E siamo ormai nella terza sezione, contraddistinta dal titolo Dieci poesie d’amore, nella quale la narrazione poetica ritorna in prima persona, riappare ( e come potrebbe essere altrimenti?) lei, Delia, che occupa sette poesie su dieci. C’è poco da fare: l’io poetante ha eletto - da tempo -  questa figura femminile a simbolo di bellezza e di giovinezza, a segnacolo d’amore.  Poi, repentina e perfino lacerante,  l’invocazione al padre   ma infine il cuore si acquieta nello spettacolo della natura e della bellezza.  Alla fine della lettura del terzo e ultimo segmento del libro applaude un certo numero di poeti, ma c’è anche chi muove critiche; sicché anche l’ultimo autore si ritira, soddisfatto del posto che gli altri hanno a lui riservato, vicino a Catullo.

Qui s’arresta una penna finora prevalentemente esegetica, data cioè all’illustrazione, piuttosto distesa,  del contenuto dell’opera, per lasciare  spazio a qualche notazione più specificamente critica.

Cominciamo da Delia, la figura più importante della poesia pardiniana. Vale la pena di indugiarci un po’per dire preliminarmente che, se pure è vero che il nome richiama immediatamente  l’immagine della donna amata da Tibullo, è altresì lampante che le due figure femminili poco hanno in comune, oltre il distacco volontario dall’amato; ed anche la militanza d’amore pardiniana è  diversa dalla militia amoris tibulliana, anche se, probabilmente, per entrambi dura una vita.  Innanzitutto, a mio parere, nella poesia di Pardini,  Delia è pseudonimo che indica una persona realmente esistita; e che da qualche parte vive ancora, anche se,  ormai  madre di figli e magari nonna,  sfiorita e appesantita,  non ha più nulla di quella fanciulla che incendiò il cuore del poeta; il quale, quando la rivede, afferma “ Era malmessa, / non aveva più niente del mio sogno” (“Il sorriso del mare”,  vv. 13-14). È chiaro, dunque,che il poeta, a “questa” Delia, diciamo così, fisica, non ha da dire più nulla; molto invece ha da comunicare all’altra Delia, che ormai vive solo nella sua poesia e dentro le sue memorie, come, per fare un esempio, si può vedere ne “Il ricordo di Delia”, eco felice e suggestiva de “La tessitrice” pascoliana. Eppure quel suo ostinarsi a inseguire Delia rivela solo il conato, ansioso e forse anche apotropaico,  di tenere ancora in pugno i miti  della bellezza e  della giovinezza, dell’amore e della purezza, di cui questa ninfa ha il privilegio di essere simbolo e stigma. Del resto il lettore attento e fedele della poesia di Pardini non certo ignora che questo personaggio femminile  appare, in modo cospicuo,  già nella prima silloge pardiniana (Foglie di campo, aghi di pino, scaglie di mare , L’Autore Libri Firenze, 1993, FI) e  percorre in forma palese o velata quasi tutte le altre opere, e sono ormai tante, del poeta di Arena Metato, adergendosi a personaggio femminile preminente, se non quasi unico,  di tutta la sua produzione in versi. Delia è compagna fedele perché creatura della memoria.  E, con qualche presunzione, penso di poter  far luce su un dubbio, a mio avviso solo apparente, espresso dal poeta quando nella silloge Di mare e di vita  scrive , riferendosi a Delia  “ ... non so se il grande, / ma certo il primo amore.”  ( “Il primo amore”, vv. 40-41), affermando che primo e grande  è stato senz’ombra di dubbio questo  specialissimo sentimento per questa specialissima ragazza. Perciò il ricordo di Delia va letto come memoria e rievocazione della gioventù, come incanto e grazia; e un po’ anche come nostalgia e rimpianto. Delia è l’Eden, mai definitivamente perduto, e insieme l’Eunoè, che ri-crea con il ricordo; e gratifica, placa e illude il cuore.

Qualche parola va spesa anche per la tecnica di scrittura, nella quale sono ravvisabili  due piani narratologici ben definiti ( è noto infatti che la poesia di Pardini  si piega spesso a una declinazione narrativa, e a volte in modo accentuato):  sicché, mentre in Ricordi che pungono la figura dell’autore/scrittore e quella del poeta/narratore si sovrappongono e coincidono, sviluppando la tematica più frequentata dal Nostro, cioè quella memoriale, affettiva e rievocativa, nella sezione Dagli scaffali della biblioteca è invece evidente una doppia presenza, quella  di un narratore esterno o extradiegetico  che si differenzia, a volte vistosamente, da un narratore interno o intradiegetico, rappresentato dal  poeta/bibliotecario, soprattutto -ma non solo- quando riempie, come si è visto, il quaderno che si era offerto alla sua scrittura; e ciò consente al narratore esterno  ed anche all’autore di non essere coinvolti da posizioni, giudizi, preferenze o semplici pareri  espressi dal poeta/bibliotecario.  In questo senso, anche il numero delle occorrenze degli autori della biblioteca  (tre per Saba, due per Leopardi, D’Annunzio, Ungaretti, Manzoni, Platone, Catullo;  una per tutti gli altri, e cioè Dante, Baudelaire, Pavese, Cardarelli, Pastonchi, Bertolucci, Caproni, Campana, Sibilla Aleramo, Trilussa, Foscolo, Quasimodo, Solmi) che, in un modo o nell’altro, vengono alla ribalta, e lo stesso spazio che a loro è concesso, non necessariamente rivelano o definiscono con precisione le preferenze dell’autore né stabiliscono in alcun modo  classifiche.  Intendo chiarire che, sebbene Saba goda di ben  tre occorrenze e a Quasimodo sia concesso, nel lacerto poetico che lo contiene, di recitare tre poesie, cioè più di tutti gli altri, ciò non indica per nulla  preferenza o predilezione di quelle figure, a scapito del resto della schiera,  da parte dell’autore fisico, ossia di Nazario Pardini.

Un’osservazione s’impone sul linguaggio e, in generale, sugli strumenti espressivi. Qui e nelle ultime pubblicazioni, l’autore  sfonda  le barriere del cosiddetto poetico, per darsi  in più occasioni a una vena prosastica, al fine di scendere fino al cuore della verità , quantunque scabra e magari dolorosa per via di recuperi memoriali: per renderla poi, redenta,  nobilitata e sublimata di passione creativa,  in forma e forza di poesia;  uno straripamento oltre  i normali canoni e i consueti registri poetici, dovuto alla lunga e sapida milizia nel campo della poesia e al tentativo di ampliarne territori, forme e strumenti comunicativi. Il fatto, in sintesi,  è che il Nostro non solo non si perita di evitare l’incontro  con  la prosa,  attingendo largo al parlato, ma, redimendo l’una e l’altro, li riduce in  poesia, con il soccorso di un sentire ampio,  profondo, commosso, complesso e con la nota perizia tecnica; in tal modo rendendo quasi tattili i sentimenti e le situazioni rappresentate. A ciò lo aiuta il fluire di un ritmo prevalentemente endecasillabo, interrotto spesso da  settenari e quinari, raramente da alessandrini: versi   perfusi di toscane sonorità e di una naturale purezza linguistica, di  suggestioni ed echi attinti da un’opulenta cultura personale.

C’è davvero tanto in questa silloge. E certo sono da menzionare le incursioni autobiografiche, a testimonianza  dell’età felice e mitica della fanciullezza e poi dell’adolescenza con i fratelli Sauro e Saverio, con la presenza saggia  e fattiva dei genitori, nel nido caldo e protettivo della famiglia, di cui in parte s’è detto; e c’è anche l’implicita datazione dell’opera  al tempo del coronavirus    “... alla barba di un virus traditore”,  verso finale del componimento  “A mio fratello Saverio e Graziella” ( p. 29), come a voler definire i “dintorni” cronologici dell’opera che, pur  venuta alla luce in un tempo malcerto e periglioso, non lesina certo fascino e grazia.

Per concludere, Pardini ha da tempo indirizzato il suo spirito poetico verso un filone diegetico, che investe e coinvolge, adducendoli alla propria necessità creativa, i già citati e ben noti temi ricorrenti nei suoi versi. La presente silloge, però,  ci offre un ulteriore tassello a corredo di una conoscenza più adeguata del nostro poeta. Se infatti il proporsi alla lettura degli scrittori (defunti) della biblioteca niente altro rappresenta se non  aspirazioni o aneliti di vita, sia pure memoriale,  è evidente che il Nostro, cercando di ottenere un posto in biblioteca, aspiri, nel tempo,  a questa condizione: egli in effetti opera una specie di transfert  o di immedesimazione negli scrittori passati, nel senso che, dietro la loro richiesta di essere letti,  si cela, più o meno velata, la speranza dell’autore nel “non omnis moriar” oraziano, nella sopravvivenza memoriale possibile attraverso la poesia. Ed è, questa, una legittima aspirazione di chi scrive non solo per sé; di chi , soprattutto, al servizio della poesia ha dedicata tutta una vita, come ha fatto Nazario Pardini.

Isola d’Ischia, 14 gennaio 2021

                                                                                                      Pasquale Balestriere

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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14 commenti:

  1. Mi complimento con Pasquale Balestriere per la superba, appassionata esegesi dell'Opera di Nazario Pardini "Dagli scaffali della biblioteca", particolarmente cara al mio cuore. Leggendo la sua recensione, ardente, ricca di lirismo autentico, si ha chiara la sensazione che la Silloge abbia scosso i virgulti dell'anima del Nostro, proiettandolo nella dimensione particolare dell'ultima creazione di Nazario. La disamina è lunga e approfondita. Si sofferma sulle tre sezioni dell'Opera e a livello tecnico è indubbiamente impeccabile. Inoltre viaggia su vari registri, dalla cifra stilistica del Poeta, all'originalità della parte centrale, con citazioni accurate e pregnanti, alle 'dieci poesie d'amore', nelle quali non identifica Delia con una figura della fantasia, ma come una donna realmente esistita, invecchiata ... anche i sogni invecchiano... e ricordata dall'Autore come il simbolo della gioventù. Vorrei saper scrivere pagine come questa. Lo asserisco senz'ombra di piaggeria. Ringrazio Pasquale e Nazario, che ispira tanti illustri amici a identificarsi nel suo incantevole mondo e li abbraccio entrambi.

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  2. RICEVO E PUBBLICO

    Caro Pasquale, al contrario di quanto tu temevi, ho letto tutta intera - e lo sai che non lo faccio per molti - la tua piacevolissima recensione che più che tale è un piccolo saggio in quanto contiene anche un sintetico excursus sulla totalità della poesia pardiniana. Perché piacevolissima? Perché, da bravo professore, sei entrato con leggerezza in tutti i dettagli di questa silloge spiegandola in maniera semplice tale da essere capita anche dai “non addetti ai lavori” ossia da tutti coloro che non hanno eccessiva dimestichezza con le figure retoriche e forme metriche. È proprio l'abuso, in questi scritti critici, di tecnicismi a rendere difficoltosa la lettura o perlomeno noiosa. E mi ripeto ancora una volta: la poesia sta morendo proprio perché nelle scuole non esistono più insegnanti capaci di mettere in risalto la profondità o la bellezza di un verso ma si limitano soltanto a ripetere le viete osservazioni che la uccidono come “l'upupa non è un uccello notturno”.
    La tua analisi rigorosa, invece, penetra nella scrittura del nostro Grande Vecchio svelandone i più piccoli segreti anche quelli maggiormente misteriosi come il personaggio di Delia - che tu affermi essere veramente esistito - e che è una delle figure chiave più intriganti di tutta la poetica di Nazario.
    Mi fermo in quanto non voglio essere proprio io la tediosa commentatrice degli altrui scritti. A te vivissimi complimenti

    Carla Baroni

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  3. Non ho avuto il piacere di leggere questo libro del Professor Pardini, ma le parole del Professor Balestriere mi hanno permesso di affacciarmi su questo mondo di memorie e di immagini, di rimpianti e di sensazioni, e di viverlo seppur indirettamente. La chiarezza e la scioltezza con cui Balestriere ci ha presentato i vari momenti in cui l'opera si articola , ci fa leggere questo saggio così lungo senza il minimo calo di interesse, anzi con una partecipazione via via crescente. Ritrovo nel suo commento la figura di Delia che ho conosciuto attraverso altri libri e che mi ha commossa tanto da rivolgermi a lei in un pizzico di semplici miei versi, Delia che la poesia eleva dalla dimensione del reale a quella incorruttibile del sogno, e vi ho ritrovato il ben noto Poeta dal cuore ricolmo degli affetti familiari . Mi sono chiesta con un sorriso quante volte Balestriere debba aver letto questo libro per potersi muovere con tanta disinvoltura fra le sue pagine e poterci dare un'analisi così capillare ed accurata; ma non è questo quel che più mi ha colpita. Al di là della sua fine capacità di analisi, ho avvertito forte qualcosa che fluisce in tutto questo così accurato scrivere, che scivola sottile ma forte come fili di seta e che è evidente a chi legge non con la sola mente, ma anche col cuore : mi colpisce il legame di affetto che indubbiamente Balestriere prova per Pardini. Questo , oltre la stima per il poeta , oltre l'apprezzamento per la sua metrica, per il suo lessico, per il suo profondo sentire, per la sua capacità di costruire immagini che fanno vieppiù preziosa e limpida la forma , è quello che io leggo : un affetto che raccoglie con cura tutti i vari fili e vigila a che nessuno gli sfugga, e li lega a comporre il tessuto dotto, ammirato e commosso di queste pagine scritte con il tenero orgoglio di un sentimento fraterno.

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  4. Concordo col pensiero del professor Balestriere, soprattutto quando afferma che "il ricordo di Delia va letto come memoria e rievocazione della gioventù, come incanto e grazia; e un po’ anche come nostalgia e rimpianto. Delia è l’Eden, mai definitivamente perduto, e insieme l’Eunoè, che ri-crea con il ricordo; e gratifica, placa e illude il cuore." Un saggio molto curato in ogni dettaglio, come merita la Poesia del Nostro

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  5. Concordo col pensiero del professor Balestriere, soprattutto quando afferma che "il ricordo di Delia va letto come memoria e rievocazione della gioventù, come incanto e grazia; e un po’ anche come nostalgia e rimpianto. Delia è l’Eden, mai definitivamente perduto, e insieme l’Eunoè, che ri-crea con il ricordo; e gratifica, placa e illude il cuore." Un saggio molto curato in ogni dettaglio, come merita la Poesia del Nostro

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  6. Che meraviglia! Ho qui con me la Silloge e godo di ogni riferimento ad essa e al Nostro Nazario Pardini.Pasquale articola un feedback prezioso e dettagliato che è più che uno studio. Solo un grande Poeta avrebbe potuto leggere il Pardini così: tutto il Pardini in andata e ritorno, pronto per un'altra avventura nella sua bilioteca reale e immaginaria.

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  7. RICEVO E PUBBLICO

    PASQUALE BALESTRIERE, con la consapevolezza e la preparazione da anni sperimentata e messa costantemente alla prova torna su "DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA" DI NAZARIO PARDINI, che ha interessato e coinvolto tutti i lettori più attenti di Leucade.
    Ripercorre oltre alle tematiche tipicamente pardiniane- la famiglia, gli affetti, la casa, il paesaggio toscano- ( la figura del padre “rubata alla morte, stretta al petto per scongiurare il distacco” ) l’itinerario storico del Nostro “quasi che in lui si fosse manifestata un’urgenza, sempre più acuta e non procrastinabile, di svelamento e testimonianza di momenti e di sentimenti, di cose e persone, di luoghi e di vicende che hanno segnato, spesso in modo doloroso, la storia della sua famiglia…”, ma anche “quello culturale, individuando nell’invenzione del lettore- bibliotecario che sa inventare una degna conclusione al vecchio quaderno abbandonato con una storia mitica, fiabesca di tinte “decisamente autobiografiche” e compiere degnamente “un ideale dialogo con gli scrittori da lui convocati a questo appuntamento memoriale.”
    Una lettura particolarmente significativa è quella del personaggio femminile, la Delia di tutta la poesia d’amore pardiniana, “ simbolo di bellezza e di giovinezza, a segnacolo d’amore. Delia, che ormai vive solo nella sua poesia e dentro le sue memorie,…bellezza e giovinezza, amore e purezza, di cui questa ninfa ha il privilegio di essere simbolo e stigma…. compagna fedele perché creatura della memoria.” E concludere: “Delia è l’Eden, mai definitivamente perduto, e insieme l’Eunoè, che ri-crea con il ricordo; e gratifica, placa e illude il cuore.”
    Interessante la rievocazione dei personaggi significativi, i vari poeti, in cui, nota il Commentatore, Pardini opera “una sorta di metapoesia, che si realizza in ideale dialogo tra il nostro agricola di penna e gli scrittori da lui convocati a questo appuntamento memoriale”, ma ancor di più illuminano le osservazioni circa i due piani narratologici ben definiti ( la declinazione narrativa, memoriale e quella del narratore esterno o extradiegetico che “si differenzia, a volte vistosamente, da un narratore interno o intradiegetico, rappresentato dal poeta/bibliotecario,” ) scelta colta, documentata di poesia altrui, che sa poi rendere, “redenta, nobilitata e sublimata di passione creativa, in forma e forza di poesia; uno straripamento “oltre i normali canoni e i consueti registri poetici, dovuto alla lunga e sapida milizia nel campo della poesia e al tentativo di ampliarne territori..”. Particolarmente incisiva, affettuosa oltre che veritiera la conclusione: “il Nostro, cercando di ottenere un posto in biblioteca, …in effetti opera una specie di transfert o di immedesimazione negli scrittori passati, nel senso che, dietro la loro richiesta di essere letti, si cela, più o meno velata, la speranza dell’autore nel “non omnis moriar” oraziano, …possibile attraverso la poesia. Ed è, questa, una legittima aspirazione di chi scrive non solo per sé; di chi , soprattutto, al servizio della poesia ha dedicata tutta una vita, come ha fatto Nazario Pardini.”
    Una nota degna ed incisiva.

    Maria Grazia Ferraris

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  8. Mi scuso del ritardo nel presentare un mio breve commento sulla lunga nota critica ed esegetica di Pasquale Balestriere.Parafrasando E.L.Masters ci vuole poesia per amare la Poesia. Intendo dire che è sempre pericoloso quando un critico si avvicina ad un'opera d'arte. Sia pure in buona fede,sia pure per rincorrere la verità, spesso il critico diventa carnefice sezionando l'opera,mettendone in evidenza tutto:ossa,tendini e muscoli ma lasciando perdere la cosa più importante, la scintilla che ha tenuto in vita e ha animato quel corpo. Non succede per Balestriere che con somma perizia ma soprattutto dimestichezza con la poesia pardiniana si avvicina ad essa scrutandola fin nelle più intime fibra evidenziandone con meticolosa e rispettosa verità gli input i passaggi i cedimenti le rinascite in uno snodarsi di tempi emotivi e fasi cronologiche che spesso sono anche ricorsi storici. Si coglie la commozione, quasi il pathos di Balestriere che è poi lo stesso pathos di Pardini, con in più la preoccupazione di rendere a tutti evidenti i colori di tale pathos. Una sorta di slancio empatico che gli fa percorrere a nostro beneficio i viali e le stradine di un vissuto, quello del Nostro Nazario, che si intreccia con le vite di altrettanti motori d'amore e di affetti, innanzitutto Delia,vera e lontana, concreta ed evanescente, infine ineffabile come tuto ciò che ci imprigiona l'anima per sempre e quanto più cerchiamo di fare nostro, tanto più sfugge alla presa rimanendo nella mente come una nuvola di memoria impalpabile. Non manca Pasquale neppure di umorismo forse, sicuramente di piacevolezza allorché ci presenta una carrellata di Autori,quelli che entrano e escono dalla biblioteca di Nazario come tanti elfi dai boschi. Sicuramente con costoro il nostro Poeta ha intessuto frammenti di vita, colloqui e intese impossibili e talora faticose e struggenti, perché è sempre difficile contenere in sé tutti gli apporti culturali e gli Autori che si sono amati e anche odiati senza sentirsi in colpa quando li si dovessero abbandonare. Per lo stesso motivo non si possono fare graduatorie e lo sottolinea bene Balestriere. Il quale, tuttavia, assegna proprio ad essi il compito di accogliere tra i Poeti immortali Nazario. Ciò avviene apparentemente con una sorta di investitura, ma al posto del sacro bastone c'è un quaderno con voce umana che invita a versificare sulle sue pagine. Balestrere ha colto più che un desiderio una necessità, cioè che Nazario Pardini approdi sul Parnaso, come è giusto che sia per chi ha affinato il suo ingegno al lume dell'esercizio,dello studio,della composizione poetica.Infine gli riconosce una dote che magari sarà anche in contrasto con chi ama la brevitas, ma ha una sua motivazione, cioè quella sorta di contaminatio tra linguaggio poetico e linguaggio prosastico che è un espediente probabilmente allorché il verso non ce la fa a contenere la piena dei sentimenti o l'estro creativo del Nostro. Concludo dicendo che non ho ancora letto la silloge Dagli scaffali della biblioteca di Nazario Pardini ma come lo avessi già fatto, seguendo il ritmo esegetico onesto e accorato al tempo stesso dell'eccellente Pasquale Balestrere. Adriana Pedicini

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  9. Mi scuso del ritardo nel presentare un mio breve commento sulla lunga nota critica ed esegetica di Pasquale Balestriere.Parafrasando E.L.Masters ci vuole poesia per amare la Poesia. Intendo dire che è sempre pericoloso quando un critico si avvicina ad un'opera d'arte. Sia pure in buona fede,sia pure per rincorrere la verità, spesso il critico diventa carnefice sezionando l'opera,mettendone in evidenza tutto:ossa,tendini e muscoli ma lasciando perdere la cosa più importante, la scintilla che ha tenuto in vita e ha animato quel corpo. Non succede per Balestriere che con somma perizia ma soprattutto dimestichezza con la poesia pardiniana si avvicina ad essa scrutandola fin nelle più intime fibra evidenziandone con meticolosa e rispettosa verità gli input i passaggi i cedimenti le rinascite in uno snodarsi di tempi emotivi e fasi cronologiche che spesso sono anche ricorsi storici. Si coglie la commozione, quasi il pathos di Balestriere che è poi lo stesso pathos di Pardini, con in più la preoccupazione di rendere a tutti evidenti i colori di tale pathos. Una sorta di slancio empatico che gli fa percorrere a nostro beneficio i viali e le stradine di un vissuto, quello del Nostro Nazario, che si intreccia con le vite di altrettanti motori d'amore e di affetti, innanzitutto Delia,vera e lontana, concreta ed evanescente, infine ineffabile come tuto ciò che ci imprigiona l'anima per sempre e quanto più cerchiamo di fare nostro, tanto più sfugge alla presa rimanendo nella mente come una nuvola di memoria impalpabile. Non manca Pasquale neppure di umorismo forse, sicuramente di piacevolezza allorché ci presenta una carrellata di Autori,quelli che entrano e escono dalla biblioteca di Nazario come tanti elfi dai boschi. Sicuramente con costoro il nostro Poeta ha intessuto frammenti di vita, colloqui e intese impossibili e talora faticose e struggenti, perché è sempre difficile contenere in sé tutti gli apporti culturali e gli Autori che si sono amati e anche odiati senza sentirsi in colpa quando li si dovessero abbandonare. Per lo stesso motivo non si possono fare graduatorie e lo sottolinea bene Balestriere. Il quale, tuttavia, assegna proprio ad essi il compito di accogliere tra i Poeti immortali Nazario. Ciò avviene apparentemente con una sorta di investitura, ma al posto del sacro bastone c'è un quaderno con voce umana che invita a versificare sulle sue pagine. Balestrere ha colto più che un desiderio una necessità, cioè che Nazario Pardini approdi sul Parnaso, come è giusto che sia per chi ha affinato il suo ingegno al lume dell'esercizio,dello studio,della composizione poetica.Infine gli riconosce una dote che magari sarà anche in contrasto con chi ama la brevitas, ma ha una sua motivazione, cioè quella sorta di contaminatio tra linguaggio poetico e linguaggio prosastico che è un espediente probabilmente allorché il verso non ce la fa a contenere la piena dei sentimenti o l'estro creativo del Nostro. Concludo dicendo che non ho ancora letto la silloge Dagli scaffali della biblioteca di Nazario Pardini ma come lo avessi già fatto, seguendo il ritmo esegetico onesto e accorato al tempo stesso dell'eccellente Pasquale Balestrere. Adriana Pedicini

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  10. L’esegesi del testo poetico dell’amico Nazario Pardini, Dagli scaffali della biblioteca, fatta da Pasquale Balestrieri, si contraddistingue per la sua completezza e profondità di analisi, oltre che per una vicinanza artistica e soprattutto umana nei confronti dell’autore. Una vicinanza umana e un’adesione al suo modo di concepire la poesia, che ho il piacere di condividere, oltre all’onore di essere ricordato in maniera anonima all’interno del testo, durante un nostro incontro avvenuto proprio all’interno della biblioteca. Il testo di Balestriere offre un’analisi ricca di approfondimenti, completamente condivisibili, a valle della lettura del libro che Nazario mi ha gentilmente donato con affetto e cordialità. Effettivamente, una silloge poetica diversa dalle altre, pur mantenendo molti aspetti tipici della produzione poetica di Nazario. Nella prima delle tre sezioni di cui è costituita, Ricordi che pungono, c’è il recupero memoriale dei luoghi e le figure familiari più care, il padre, la madre, il fratello, della cui perdita la memoria non sopisce il dolore, e la poesia ne fa eterni riferimenti esistenziali. Figure familiari, riferimenti sempre presenti come nella poesia del Pascoli, di cui Nazario è un fervente estimatore. Ma la novità sta soprattutto nella seconda sezione, che dà il titolo alla raccolta, Dagli scaffali della biblioteca, in cui si esprime la genialità creativa del poeta Pardini. Chi scrive conosce bene il piacere di stazionare davanti alla propria biblioteca, mentre si fanno sempre più vivi e più intimi i riferimenti ai nostri autori preferiti. Nazario va oltre, inizia un dialogo con gli autori, un dialogo a volte dialettico, altre volte addirittura di scontro, in un rapporto che da letterario diviene profondamente umano. Un dialogo che evoca la condizione imperitura del rapporto artistico, mista a l’orgoglio, di far parte di questo cenacolo. Ma c’è di più, qui emerge il rapporto dialettico, tra lo scrittore e i suoi personaggi, i personaggi che riaffermano i propri diritti nei confronti di colui che li ha creati. Soprattutto chi scrive di narrativa come me, prova questa sorta di condizionamento dei personaggi del suo romanzo, tentativo a cui resistere, per evitare che loro ti conducano verso percorsi inesplorati, rispetto alla trama che si sta costruendo. È ciò che Balestriere definisce meta testo, in cui è l’autore che è presente, non solo con il pensiero, ma anche con l’azione nella sua stessa opera. E infine l’ultima sezione, Dieci poesie d’amore, in cui Nazario torna a un tema che gli è particolarmente caro, il ricordo di Delia, la donna del grande poeta latino, che meglio di altri ha celebrato l’amore in tutti i suoi risvolti. Si potrebbe pensare che Delia sia, nella poesia di Nazario, un simbolo della donna, mutuato dalla poesia elegiaca, ma non è così. Balestriere ci dà un’interpretazione particolarmente efficacie e pregnante. Delia è una donna reale che Nazario ha effettivamente amato, che solo attraverso il ricordo assurge a simbolo della gioventù, dell’amore, del suo universo femminile. Delia diventa così l’intellettualizzazione del proprio vissuto amoroso. Altra osservazione particolarmente profonda, Balestriere la fa sul piano del significante. Il linguaggio muta da una sezione all’altra, anche dal punto di vista metrico, pur con una presenza frequente dell’endecasillabo intervallato da versi più brevi, una versificazione che ben si accorda allo stato d’animo che vive ogni volta il poeta. Particolarmente significativo è lo stile prettamente narrativo usato nella seconda parte, nel dialogo molto animato con gli autori presenti nella biblioteca. Insomma Pardini e Balestriere ci hanno dato esempi di eccellenza nei rispetti ruoli qui giocati, di poeta e critico, ruoli che appartengono ad ambedue, dimostrandoci, se ce ne fosse stato bisogno, che il critico, se anche poeta, può cogliere più di altri, le profondità che la poesia sa celare in maniera segreta e recondita.

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  11. Complimenti all'amico, all'eccellente poeta Pasquale Balestriere per la sua disamina dell'ultimo volume di Nazario Pardini. Un'analisi accuratissima che rivela estrema sensibilità poetica, impreziosita dalla profonda conoscenza che egli ha della parola poetica pardiana. Balestriese si sofferma su tutte le sezioni che compongono il libro, entrando con grande attenzione e minuzia di particolari nella seconda dal titolo "Dagli scaffali della biblioteca" di cui si appassiona a tal punto da riprogrammare e ripresentare, a suo modo, i grandi personaggi che scorrono nei versi, annotando poi acutamente l'operazione che compie l'autore del libro ed ossia quella di attuare "poesia nella poesia", in una sorta di Metapoesia che si realizza in un dialogo ideale. Lo sguardo lucido di Balestriere si posa sulla terza sezione del libro dedicando la sua particolare attenzione alla figura di Delia simbolo di donna dolce e amatissima, di giovinezza, figura mitica per Pardini appartenente ad un eden mai del tutto perduto, come lui scrive. La disamina dell'amico Pasquale sul linguaggio pardiano appare formidabile quando egli riconosce quelli che sono i piani narratologici che attraversano il volume: quello dell'autore/scrittore e poeta/narratore che si sovrappongono nella prima sezione memoriale e quello del narratore esterno o extradiegetico. E ancora le sue sono illuminanti affermazioni sullo scritto di Nazario conteso tra vena lirica e prosastica, ma soprattutto mi è piaciuta la sua deduzione di vedere in questa opera l'ambizione nascosta del grande poeta di entrare a far parte della stretta cerchia dei poeti eletti e immortali, di inserirsi, come afferma Balestriere, nel " Non omnis moriar" di oraziana memoria, effettuando, un personale e suggestivo transfert o immedesimazione negli scrittori passati e ormai celebri. Ed è questa, conclude, una sua legittima aspirazione considerando la bellezza della sua parola e tutta una vita dedicata alla poesia, affermazione che io pienamente condivido, sottolineando, il mio pensare su Pardini che ritengo già nell'olimpo dei poeti.
    Carmelo Consoli

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  12. Un'acuta esegesi, questa di Pasquale Balestriere, sull'opera poetica più recente di Nazario Pardini, che non ho avuto ancora il piacere di leggere, ma le cui direttrici portanti vengo a conoscere dalle preziose indagini di molti interpreti, e soprattutto da questa attenta disamina, doviziosa di voli e dettagli di rara perizia critica. Ciò che colpisce particolarmente il sottoscritto, nell'ampio sguardo del noto studioso ischitano, è il richiamo ad una condizione edenica "mai definitivamente perduta", a quell'Eden che è "insieme l'Eunoè, che ri-crea con il ricordo, e gratifica, placa e illude il cuore". L'Eunoè è il fiume di cui parla Dante, che nella mitologia greca ha corso comune con quello del Lete, il fiume dell'oblio. Fuor di metafora, occorre dimenticare il passato, per poterlo far rivivere ancora. La Memoria, dunque, come Rinascita. Ed è l'idea di Platone, che, nel mito di Er, considera la dimenticanza come premessa indispensabile per ogni rinascita. Questo è il vero significato del Memoriale in Nazario Pardini. Non un rifugiarsi nel passato, ma un rinnovarsi nell'oggi dei valori autenticamente umani. E sta qui, probabilmente, quel tentativo del poeta toscano, di cui parla Balestriere, di "sfondare le barriere del cosiddetto poetico, per darsi in più occasioni a una vena prosastica", immersa nell'attualità. "Per renderla poi, redenta, nobilitata e sublimata di passione creativa, in forma e forza di poesia... nel tentativo di ampliarne territori, forma e strumenti comunicativi". Complimenti vivissimi e ad maiora.
    Franco Campegiani

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  13. Ho letto con piacere l’accurata nota critica di Pasquale Balestriere al nuovo libro di Nazario Pardini “Dagli scaffali della biblioteca”. Il saggio, con vari e dettagliati riferimenti alla vasta Opera pardiniana, contribuisce a illuminarne i tratti distintivi, quei motivi, temi e suggestioni cari al Poeta. Essi, presenti in gran parte della produzione del Nostro, sono qui messi in evidenza con amorosa passione lirica e letteraria. Solo “chi ama conosce”: è evidente come il critico guardi con occhio e cuore di poeta alla narrazione in cui il Pardini reifica i ricordi del vissuto ed apre le porte della sua straordinaria biblioteca. I ricordi pungenti si animano nell’azione simbiotica dei tratti spazio-temporali, affettivi, paesaggistici, filosofici che delineano il “faticoso” viaggio nei “dintorni” della vita. Pasquale Balestriere sottolinea come, in versi “commossi”, il Nostro rievochi i pesi che costituiscono “il fulcro della memoria”. Il Pardini non vuole lasciare quei pesi che pungono ma spera di portarli con sé in una sorta d’immortalità dovuta all’amore della vita, ai segni arati nei campi dell’anima in cui tutto si ricongiunge. Esprimo i mei complimenti a Pasquale Balestriere per avermi aiutata ad entrare nella Biblioteca del Pardini sull’onda della grande cultura accademica del “bibliotecario”. In questa sezione ci si trova di fronte ad un approccio diretto tra il Pardini e gli autorevoli ospiti-padroni della sua conoscenza pregressa, letture amate, libri poco frequentati, consultati, interi brani riportati in una progressione emotivamente incalzante, in un linguaggio a volte irrompente in versi straripanti, oltre la metrica canonica, e piacevolmente teatrali.
    Il Pardini obbedisce all’entusiasmo della versificazione, ci coinvolge nella narrazione, ci fa assistere ad uno spettacolo policromo. Avendo letto il libro del Pardini, confesso che il riferimento alla mole degli Autori chiamati in causa, mi aveva fatto “tremare i polsi”, al pensiero di misurarmi con l’estensione di una semplice nota. Imparare da un grande come Pasquale Balestriere è un onore, un regalo offerto da Lèucade: non è questo forse l’approdo cui tendiamo? Apprendere, conoscere. Non è dalla cultura letteraria di cui Nazario Pardini è alfiere nella sua poderosa biblioteca, che si impara a scrivere?
    Nei “dintorni dell’amore” c’è sempre Delia della cui esistenza reale il Balestriere è convinto assertore. Senza dubbio il tema ha attraversato tutta l’Opera del Nostro. Non è un modello letterario, ma uno dei ricordi che pungono, un ritorno continuo alla giovinezza che Delia impersona con la sua grazia e il suo richiamo sempre vivo, la rappresentazione del primo approccio con la divinità femminile, la Musa dell’Amore. Il pensare oggi a Delia appassita e sciupata dal tempo trascorso, si inquadra non tanto nella “caduta delle illusioni” quanto nel realismo di cui il Pardini è maestro. E ciò contro il parere di quegli sparuti e disinformati detrattori della poesia in genere che vedono, nella poetica del Nostro, un tratto di recupero del passato, una soggettivazione che dovrebbe essere abolita.
    Bene, gentile pasquale Balestriere, questi sono gli argomenti che la lettura del saggio ha scatenato in me, emozioni belle e una sincera voglia di mettermi al lavoro.
    Ringrazio Nazario Pardini e Pasquale Balestriere per questo spazio di riflessione.
    Marisa Cossu

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  14. Pasquale Balestriere20 gennaio 2021 alle ore 06:30

    Meravigliato e commosso da tanti e così qualificati commenti, ringrazio cordialmente Maria Rizzi, Carla Baroni, Lidia Guerrieri, Claudia Piccinno, Patrizia Stefanelli, Maria Grazia Ferraris, Adriana Pedicini, Franco Donatini, Carmelo Consoli, Franco Campegiani e Marisa Cossu. Grazie innanzitutto per la pazienza di leggere un così lungo scritto su un libro che alcuni di voi neppure possedevano, grazie anche di aver discusso sull'argomento adducendo osservazioni, motivazioni, spunti interpretativi ed elementi di giudizio che hanno gettato ulteriormente luce sul libro e sul poeta. Siete stati preziosi.
    E grazie pure per le gratificanti parole che avete avuto per Nazario e per me.
    Un cordiale saluto a tutti
    Pasquale Balestriere

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