martedì 5 gennaio 2021

LILIANA PORRO ANDRIUOLI LEGGE: "DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA" DI NAZARIO PARDINI

NAZARIO PARDINI: DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA

(Guido Miano Edizioni, Milano, 2020, € 12,00)

(DA POMEZIA NOTIZIE DI DOMENICO DEFELICE)


Dagli Scaffali della Biblioteca è il titolo della nuova raccolta di versi di Nazario Pardini, il quale compie con questa silloge una duplice operazione letteraria: quella del recupero del proprio vissuto, da lui tradotto in poesia, e quella della creazione di un’ideale biblioteca nella quale inserire i poeti da lui più amati.

Il libro di Pardini infatti inizia con l’evocazione della propria famiglia, composta alle origini oltre che da lui e dai genitori, da un fratello. E la mente che corre indietro nel tempo, li rivede con affettuoso sguardo: “Cari miei cari, ho scritto tutto e a tutti, / vi ho portati con me in riva al mare, / là dove spesso pescavamo sogni”. Una famiglia non certo ricca quella descritta da Pardini, ma molto unita e serena nel suo assiduo ed onesto lavoro: “La mia casa non ha preziosi in cassaforte / ha solo l’uscio aperto nell’attesa / di qualcuno che passi e si soffermi, / per dire due parole” (La mia casa). In questa casa Nazario Pardini è nato ed è cresciuto, nutrito dal calore degli affetti domestici; e in essa ha studiato, divenendo un uomo colto e capace di inventarsi un futuro nel quale la poesia ha un largo spazio.

Essenziale nella vita di Pardini è stato sempre il rapporto con i membri della sua famiglia, tra i quali, oltre ai genitori, compaiono in primo luogo il fratello Saverio con la moglie Graziella, la nipote Carla e il nipote Sandro, con le due figlie Diletta e Camilla, che per lui costituiscono “il tesoro più grande”. Con costoro Pardini è vissuto, ha gioito e sofferto; ha maturato la sua personalità e ha perfezionato la sua sostanza umana. Con costoro ha condiviso i “ricordi che pungono” e che costituiscono la sua vera ricchezza. E a costoro egli si rivolge nei suoi versi con affettuose parole: “Oh padre, oh madre, / oh fratello, oh focolare / dove scaldai le quattro mie nozioni / prima di andare presto alla città / che mi voleva giovane. Oh tutti voi miei cari / dove siete finiti?” (A mio fratello Saverio e Graziella – Per il cinquantesimo anniversario del matrimonio).

Sono queste le poesie della parte introduttiva del nuovo libro di Pardini, cui fa seguito quella nella quale egli va alla ricerca dei suoi poeti preferiti che dagli scaffali della sua biblioteca si affacciano e lo chiamano. È con essi che egli è maturato ed è di essi che si è nutrito il suo spirito.

Ecco allora da quegli scaffali affacciarsi Leopardi con le sue liriche immortali, a cominciare da A Silvia; ecco il Manzoni con la sublime malinconia dell’Addio ai monti; ecco i classici, a cominciare da Catullo, che emerge con i suoi Carmina, eterna scuola di poesia e di vita; ecco Platone, il grande filosofo che per primo teorizzò il mondo delle Idee; ecco D’Annunzio, con la seduzione della sua parola dagli echi innumerevoli; ecco Saba, che ci viene incontro con la schiettezza umanissima della sua parola e con la sua sommessa malinconia; ecco Pavese, con il suo “vizio assurdo” di corteggiare la morte e così via.

Si affacciano poi da quegli scaffali altri poeti, come Ungaretti, dalla voce un po’ roca, le cui poesie di guerra costituiscono il grido di un’umanità ferita, mentre quelle di pace scavano a fondo nella vicenda dei giorni per ricavarne il senso; o s’affacciano poeti come Montale, con le sue visioni di Liguria e il suo “male di vivere”. Ma anche s’incontrano tra questi autori Attilio Bertolucci, il poeta del quotidiano e specialmente Giorgio Caproni, il poeta che come nessun altro ha cantato Genova nella sua più intima essenza.

Dopo aver evocato Dino Campana, con i suoi Canti orfici e la sua vicenda amorosa con Sibilla Aleramo, Pardini fa ritorno ai grandi poeti dell’Ottocento e principalmente al Foscolo e ai suoi Sepolcri, per terminare, dopo una rissa in Biblioteca, causata dallo scontro tra poeti appartenenti a diverse correnti letterarie e dopo l’incontro con Salvatore Quasimodo, poeta dalla voce ferma e perentoria, con un delicato poeta novecentesco: Sergio Solmi.

L’espediente della Biblioteca è servito a Pardini per compiere un excursus tra i poeti da lui più amati, che ha assiduamente letti e che maggiormente hanno contribuito alla sua formazione letteraria. Per parlarne egli ha adoperato un verso dall’andamento narrativo, che esclude movimenti più schiettamente lirici, quali erano stati quelli delle poesie della prima parte del libro, intitolata Ricordi che pungono. Nell’ultima sezione della silloge egli però fa ritorno ai movimenti più sommessi e ispirati, che sono propri della poesia lirica, la quale si riaffaccia nelle Dieci poesie d’amore che chiudono la raccolta. Vi è in esse infatti quella pienezza e quella freschezza del canto che sono proprie di chi va alla riscoperta dei suoi anni giovani, nei quali il mondo gli si dischiudeva con tutte le sue attrattive. Ed è in esse che egli meglio tocca la compiutezza dei suoi mezzi espressivi, come può rilevarsi da questi versi: “il tempo tace, / il tutto si fa chiaro, ed io rinnovo / quell’aria fresca che ci vide audaci; / quell’aria fresca che ritorna chiara / per chi ricorda ancora / le orme di una corsa senza fine” (Non è più tempo).

Un libro di notevole interesse questo nuovo di Nazario Pardini, per la felice sintesi che in esso si compie tra diversi registri di scrittura poetica.


Liliana Porro Andriuoli

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