giovedì 1 ottobre 2015

ANTONIO SPAGNUOLO: "INEDITI"



Antonio Spagnuolo
Poesia piena, matura, verbalmente corposa, che con i suoi versi di eufonica armonia, ci dice  delle tristezze del vivere volte in una saudade di vicinanze fisiche e spirituali: sottrazioni di volti, di suoni, di immagini; sottrazione di un amore di cui il poeta torna a sfiorare “lembi del tuo riflesso”; privazione di gran parte di un esistere che mai cadrà nell’ingordigia del tempo; nelle fauci dell’oblio, dacché esser-ci significa restare aggrappati a quei volti, sospiri, palpiti e azioni che vedevamo eterni e non soggetti al logorio della clessidra:

Per ricordare il tempo dell’amore
scavo oltre il fumo ed ho paura
di perdere anche l’incisione
della tua figura.

Stringere i denti contro la voracità dell’ora, lottare corpo a corpo contro la meridiana, pur coscienti della sua rapacità predatoria, significa continuare a vivere e ad amare. Antonio Spagnuolo, da grande poeta quale è, sa far nascere soli splendenti da stagioni ricamate di tante primavere; da momenti che, lievitati nell’animo,  si concretizzano in perle poetiche; e lo fa senza mai cadere nel becero sentimentalismo ma equilibrando il tutto con la plasticità della parola. Per lui la poesia è cultura, è maturazione, è sentimento è musicalità, equilibrio, storia: quel ritmo che basta a dare piacevolezza al canto. Il fatto che qui si contempli a tutto tondo l’essere e il malessere della vita; che qui si traduca la gioia che fu in un memoriale dai contorni vicissitudinali senza cadute di stile né epigonismi, è la più chiara dimostrazione della forza intellettiva ed emotiva di un uomo che ha fatto della sua professione di medico un occasione di contatto con l’umanità; nel senso di humanitas; di comprensione e di abbraccio con l’anima universale di cui facciamo parte. Cantare, quindi, ad alta voce, sì, cantare per rafforzare la memoria; per tenere a galla, con il canto, il meglio della vita: “La vita è un naufragio, ma nelle scialuppe di salvataggio non dobbiamo dimenticare di cantare” (Voltaire).

 Nazario Pardini



INEDITIAntonio Spagnuolo -


 – “Pietra”
Quasi un delirio insensato lo sfiorare
lembi del tuo riflesso, che torna invano
per torturare il risveglio.
Mi son perso fra pietra e pietra nell’armonia
delle tue parole sussurrate, nella malinconia
dei frammenti. Un dubbio per le trasparenze
dell’immenso vortice, mesto affanno
contro la pelle che credevo immortale.
Ritorna la pioggia a bagnare i capelli
ma il tormento ricompone polpastrelli.
*
- “Inganno”
Volubili come  nuvole le piume su cui riposare,
oltre gli angoli di un cielo sconosciuto
e gli artigli che annaspano increduli.
Non ha orme la tua assenza, consumata alle veglie,
che non riescono a ripiegare sospensioni,
torturato al riflesso dell’erba che ti accolse
in amplesso segreto.
Ormai misuro il passo con vertigini
perché vacillo al ricordo e non ho più reti
da riavvolgere nelle apparizioni.
La promessa di rivederti ancora
è bugia, tremore di un inganno.
*
 – “Fumo”
Andavi nelle stanze tra i riflessi del sole
a portare le ultime magnolie
e rallegravi pareti.
Il richiamo non ha più il tuo nome
nel logorio del libro che rinnego
pagina dopo pagina, una volta nel dubbio.
Per ricordare il tempo  dell’amore
scavo oltre il fumo ed ho paura
di perdere anche l’incisione
della tua figura.
*
 – “Cruna”
Ricordo  il gioco delle tue dita marmo
frugare nei segreti del mio sogno,
per ricomporre armonie e sospendere il respiro
ogniqualvolta, spente le dolcezze,
il fantasma taceva.
Il tuo profilo ha strappi di cuoio
in attesa che si consumi la cera,
ed ogni giorno riprende antichi trucchi
per stordire l’angoscia.
Fuori qualcosa ha il timore della cruna
nelle sillabe incastonate ad un filo
che non riuscirà mai più a ricucire.
*
- “Accenti”
Il tuo piede sfiora il tremore della sabbia
rincorrendo lo zefiro stravagante al brivido,
per ingannarmi nel mormorio che si inceppa
nella traiettoria del fuoco.
Fuoco era la fretta degli spazi, leggera
nella meravigliosa tua gioventù,
quando il tuo passo toccava il balzo
dei miei timori e mi rapiva nel bacio.
Ora si oscura ogni ricordo, i tuoi calzari,
le tue gambe ambrate, il tuo viso nascosto,
sciogliendo gli accenti, preziosi al recupero
della mia follia di vecchio.
*
ANTONIO SPAGNUOLO



2 commenti:

  1. La poesia che mi pare concentri il dire poetico emotivo e sentimentale di A. Spagnuolo mi sembra Accenti, senza nulla togliere alle altre, il cui titolo emblematico- Pietra, Inganno, Fumo, Cruna- dicono tutto l’itinerario di disinganno e malinconica sofferenza.
    Poesie d’amore: sembrano facili, consuete, alla portata dell’esperienza di ciascuno. Non è così. Occorre una perizia collaudata per sfuggire al sentimentalismo e alla tristezza che gronda lacrime, al tempo implacabile che tutto corrompe. con trucchi antichi; e affrontare a viso aperto il vuoto nell’inganno, nel crescendo di assenza, bugia, vertigine, angoscia:
    “mi sono perso tra pietra e pietra nell’armonia
    delle tue parole sussurrate, nella malinconia
    dei frammenti..”
    Gioventù e fuoco d’amore lontani, e tra i palliativi anche la consuetudine miracolosa della lettura, della scrittura, che spesso sfugge al controllo, alla piena dei sentimenti, non consola:
    “nel logorio del libro che rinnego
    pagina dopo pagina,…”
    “Follia di vecchio” dice il poeta desolato. No struggimento e dolore irrimediabile:
    “scavo oltre il fumo…ed ho paura
    di perdere anche l’incisione
    della tua figura.”

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  2. La poesia di Antonio Spagnuolo si configura sempre più in un assolo a rembours, una sorta di amarcord del dolore che ha l'effetto struggente e malinconico dell'assenza: una perdita in crescendo, nella quale il vuoto va stringendo un nodo scorsoio che lo soffoca. Vi è un linguismo (che oserei definire) caldo/umido nella sua sconsolata solitudine, una malinconia irrimediabile in cui trova forma e corpo una caparbia e suppletiva forma di vita parallela: il prima è divenuto il "suo" tempo cronologico, la sua ingannevole desolatio vitae: " mi sono perso tra pietra e pietra nell'armonia delle tue parole sussurrate, nella malinconia dei frammenti" e credo che non vi possano essere vuoti peggiori che ne rivelino la vertigine del declino, la sua inalienabile, implacabile sofferenza, quasi palpabile, divenuta carne e sangue del suo emozionale quotidiano accento. Innegabile e forte il dolore dell'incisione sulla carne viva. E' un fuoco che divampa, il corrompersi di una pena che scava, scava, scava senza tregua... desidero fare una precisazione ai lettori: la poesia d'amore non è un genere tra i più facili, anche se i sentimenti sono comuni a tutti, vi è nelle parole, nei sintagmi, nella commozione della perdita dell'amato bene e la differenziazione della propria sensibilità che si denudano.

    Ninnj Di Stefano Busà

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