L’ ININTERROTTO DIALOGO
Nota di lettura di Valeria Serofilli a Interporto est (Moretti & Vitali Editori, Bergamo 2014) di Annalisa
Macchia.
Il
volume di Annalisa Macchia Interporto
est pubblicato per i tipi di Moretti & Vitali nel 2014 e qui oggi
presentato nell’ambito del Calendario di incontri letterari dell’Ussero 2015,
si pregia della postfazione di Luigi Fontanella.
Il
dolore più grande può ammutolire oppure dare voce e infondere la necessità del
canto, spingere a cercare l’oblio oppure fare riscoprire a poco a poco una
memoria che sembrava distante nel tempo , come ricoperta da una patina.
Annalisa Macchia in questo suo recente volume ha percorso tutte le tappe di
questo itinerario riuscendo a trasmettere la forza delle emozioni. Ed è
riescita a farlo con una nitidezza che emerge dal coraggio e dalla naturalezza
ritrovata di uno sguardo che, rivisitando i luoghi dei paesaggi della memoria,
riscopre un mondo che le appartiene e a cui, nonostante il trascorrere degli anni,
lei stessa appartiene.
Una
delle caratteristiche di maggior rilievo della produzione letteraria di
Annalisa Macchia è quella, evidenziata anche da Fontanella, di porre fianco a
fianco la dimensione reale e quella onirica. L’effetto di questo accostamento,
sempre naturale, mai di maniera, rafforza l’acutezza dello sguardo e rende
spontanee e credibili sia le descrizioni che le considerazioni di più ampio
respiro. Leggerezza e consistenza, un binomio caro tra gli altri a Italo
Calvino, contraddistinguono infatti i versi di questo piccolo poema in cui l’io
lirico riesce infatti a creare uno spazio, un tempo altro, in cui realtà e
visione onirica si intrecciano. E questo in un dialogo ininterrotto con la
madre Maria Alberta, scomparsa nell’aprile 2011 a seguito di una lunga
malattia, che svolge una funzione di trait d’union con il luogo,
geograficamente identificabile con una frazione della campagna livornese.
Proprio la figura materna è la indiscussa protagonista delle bellissime liriche
Non ritrarla e Credevo che il tuo male fosse male puro:
Credevo che il tuo male fosse male puro
che ogni male portasse solo male.
Nebbia nel mio paesaggio:
la stessa che offusca la tua mente
e il corpo
più fragile più piccolo ogni anno.
Tardi capisco – e solo in questo luogo –
quanto mi hai lasciato
col tuo morire lento.
(…)
Oltre
alla figura materna ecco altri personaggi uscire nitidi dalle pagine del libro:
Arturina, Francesco il dottore, Nonna Maria, Ferruccio, Vittorina, Simone,
Pietro, e Sofia, nella cornice della casa
“dal viale oggi spoglio/ dove scoppiavano allori al passaggio” e dalle pareti
sfarinate per l’umidità, con quel lembo di giardino in cui “giocano i piccoli
di Giuggiola”, ove “ora scorrono / vividi ricordi di battaglie / polverosi
scaffali / della mente>> (p. 37).
Tra gli oggetti-reliquia
menzionati nel volume, una funzione importante è svolta dallo specchio, sorta di doppio in grado di
effettuare un distanziamento da sé per raggiungere la conoscenza; del resto,
uno dei privilegi della scrittura è
proprio quello di poter scrutare al di là del contingente per trovare, come
dice Alice nel Paese delle Meraviglie, la reale individualità attraverso la
superficie dello specchio.
Il tema della raccolta consiste infatti in
una riflessione su fatti della realtà psicologica, in una “ricognizione
affettuosa di luoghi e persone molto cari all’autrice” (Fontanella,
postfazione), mentre il punto di vista di chi scrive è espresso da un pronome
personale esplicito: esiste un io che parla, identificabile in una certa misura,
con la persona del poeta e sottolineato dall’uso del tu rivolto sia alla madre
che a se stesso.
Alcuni
esempi fra tanti:
“Corre
la mia campagna livornese” (pag. 7);“Mai come altrove in questa casa / mi sento
asserragliata” (pag. 33);“Da tempo non passavo / davanti a questa casa”
(pag.21);“Ti muovi leggera fra i pesi del tempo” (pag. 43).
Ancora,
riguardo al tema ed al registro, le parti narrative e rappresentative del
piccolo poema sembrano fondersi ed uniformarsi a quelle riflessive e
sentimentali, mentre sul piano della sintassi
la costruzione del discorso poetico non è semplice e lineare ma,
concordando con quanto scrive Paolo Lagazzi nel suo ispirato commento, “procede
per ipotassi e flash, sovrapposizioni, contrappunti, rapidi accostamenti
memoriali, cammini e soste, fughe e risalite dal presente al passato e
viceversa”.
Uno dei luoghi descritti e narrati in versi, Livorno, è la
più spontanea delle città toscane, apparentabile per certi versi con Napoli.
L'immediatezza, anche del linguaggio, aperto e non di rado sboccato, rispecchia
un atteggiamento sincero e una sete di comunicare, anche in modo carnale e
sanguigno, come le voci delle comari riunite a parlare en plein air.
In questo libro, composto in pochi mesi, Annalisa ha voluto
e saputo conciliare la sua indole, molto più riflessiva, con questa sete di
conoscenza. Qui però il terreno da esplorare è più intimo e delicato. L'autrice
percorre a ritroso gli anni, con sguardo mai patetico o retorico. La profondità
nasce dal materiale più autentico, gli oggetti, l'eco delle voci, il racconto
condiviso con emozione ma senza rendere la propria emozione un fardello
per il lettore. Come osserva adeguatamente Maria Grazia Carraroli :"una
scrittura, mi vien da dire, ben rappresentata dall’immagine di copertina del
libro dove prevalgono i grigi e dove è fotografata la strada stretta di un
borgo antico quanto mai suggestivo. Forse a quella si può accostare la strada
della memoria dell’autrice che dal buio della morte viene sorpresa a tornare
alle origini per ritrovare e ritrovarsi e dove la morbidezza del grigio, colore
che porta in sé la notte confusa e resa preziosa dalla luce, è metafora del suo
viaggio. Un viaggio che si connota come nostalgia senza rimpianto e come dolore
senza pianto. Un viaggio che al suo termine approda a un più chiaro,
rasserenato e consapevole presente". La natura complessa e multiforme di
questo libro, lo rendono adeguato a ricalcare con cura gli angoli e i lati
lisci, i contrasti e i chiaroscuri, i dolori e le attrattive ancora vive, mai
spente. Corpo e mente, i due estremi in apparenza contrapposti, come
evidenziato anche da PaoloLagazzi nel suo ispirato commento, sono i punti
cardine di ogni scritto così come di ogni percorso di conoscenza del sé e della
realtà.
Per concludere, Interporto est conferma la sincerità
e la forza di un'emozione narrata in versi con lucida passione, sapendo che le
parole fanno la differenza quando si tratta di discriminare la zavorra da ciò
che resta ed è eternamente vivo.E con il tocco di classe a lei proprio, Annalisa Macchia ha saputo ancora una volta mettere in
evidenza un mondo in cui in gioco è il delicato equilibrio dell’essenza
custodita nelle pagine di un libro, mettendo in pratica il pensiero di Thomas
Mann secondo cui “la valenza di uno scrittore consiste nel riuscire a
trasformare il pensiero in sentimento”.
Valeria Serofilli
Incontri Letterari al Caffè dell’Ussero,
Pisa, Ottobre 2015
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