DENTRO E
FUORI IL PAESAGGIO di Antonio Coppola, supplemento a: I fiori del male n.51 (copia omaggio)
(a cura
di Ninnj Di Stefano Busà)
Un libro inaspettato, quanto gradito, quello di
Antonio Coppola: Dentro e fuori il
paesaggio, una plaquette smilza che assumma un concentrato di poesia
altissima, una poesia come non ne leggevo da molto. L’autore sbalordisce il
lettore esordendo in versi davvero straordinari: “Noi tradimmo i silenzi/ che divennero assalti dentro/ la notte che
succhia/ il figliare dei suoi abitanti (pag27) o ancora “Quando rovinosi i passi/ cadranno dalla
scena/ mi è straziante bussare/ dentro quel silenzio / su cui visse metà di me”
(pag. 17)).
Il poeta riscopre se stesso, attraverso le miriadi
di memorie quasi filmate, impresse nella mente: un hic et nunc, che come cantaride ricreata dalla bellezza da offrire al cielo, viene
sollecitata dalla rapidità del sogno in transito, che la riformula e l’annota
in tale nitidezza da sbalordire.
Non che prima Antonio Coppola non sia stato un
grande poeta, ma con quest’ennesima prova lirica, crediamo di poter affermare
che ha superato se stesso, ha fatto il giro di boa e si è portato ad un livello
davvero superiore.
Antonio Coppola è parco nello scrivere poesia, ma
quando lo fa, la compone ai più alti livelli. Come ad es: la sua creatura: I fiori del male, iniziata in sordina,
quasi per scommessa, oggi è arrivata ad essere una delle riviste più
qualificate del diorama letterario contemporaneo. Vi collaborano autorevoli
scrittori e critici di spicco. Un vero successo, di cui andare fieri,
soprattutto in questi tempi scarsi di cultura e di iniziative che tendano a
proteggerla.
La tendenza e la predisposizione sono sempre le
stesse, il poeta permane nella sua nicchia d’ascolto, appartato ma non isolato
e, riservato, (come è nella sua natura) non ama la folla, il trambusto del
palcoscenico, la ribalta mediatica, se ne sta in disparte a comporre liriche
che hanno come sostrato una parola consapevole del suo lutto, del suo
malessere: “Presto svanirò in questo mare
/ di triboli e curve di cielo/ in una Scilla che si fa bella/ addormentata sul
sentiero fiorito”
I versi di questo prezioso libriccino fanno pensare
all’eco di un Montale, nelle sue ultime composizioni, ad una riappropriabile trasfigurazione
del reale, che increspa e assottiglia la lamina del tempo, senza per questo
fermarne: suggestioni, sentimenti, emozioni, in un attraversamento di strazi e
di straordinarie maturità intellettive che, proprio per la percezione di cui si
fanno interpreti, riescono a misurare un potenziale alto di poesia che coglie e,
profondamente trascorre, tra le fitte affannate e dolorose dell’esistente.
Tutta la poesia di Coppola è vivificata e resa
godibile da una blandita profondità, quasi tragica e palpabile della memoria.
Qui, se ne evince un concentrato che utilizza a 360° tutti gli strumenti
dell’orchestrazione.
Passioni sedate, (forse) che restano perturbanti e
fedeli a se stesse. come in questi versi: “Sentire
il grido degli uragani spolpare/ l’anima, invece, oggi, il corpo trema/ fino al
profondo epicardio.” (pag.42)
La bellezza e il fascino di questa poesia stanno nel
saper individuare il punto esatto, da cui superare le barriere dell’immaginifico,
per farsi pianto consolatore, meno afflitto e più autentico dell’anima.
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