venerdì 15 giugno 2012

Daniela Quieti su "Intervista a S. Angelucci" di Nazario Pardini


Forse la caratteristica centrale della poesia è proprio la sua indisponibilità a essere delimitata, etichettata, inchiodata. Non ama le definizioni alle quali sempre si sottrae come un vento inafferrabile. Spazi bianchi lacerati da parole di gioia, dolore, fantasmi, rabbia, amore, impegno sociale, il tutto e il nulla protesi alla rivelazione di un enigma che resta avvolto in un enigma. La voce del caro amico Sandro Angelucci in questa intervista sembra testimoniare, a mio avviso, soprattutto una forte vocazione di ricerca lirica che s’interroga sulle tante eredità poetiche dentro una contemporaneità impoetica, nell’anelito di restituirle un oltre metafisico sovrastante i piccoli destini.

Sandro Angelucci, infatti, nelle sue opere, indaga il reale con la saldezza della grande tradizione religiosa per giungere all’uomo e, nella limpida catarsi emotiva dell’umana sofferenza o della preghiera, percepirne il mistero e l’essenza divina.


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