sabato 4 maggio 2019

LAURA BARONE SU LA QUESTIONE DELLA POESIA

Laura Barone,
collaboratrice di Lèucade

Faccio sempre molta fatica ad addentrarmi in discorsi che riguardano le discussioni poetiche. Parlare di Poesia significa entrare in un campo della critica letteraria piuttosto complesso, in una terra di nessuno in cui, per forza di cose le categorizzazioni prendono il posto del pensiero libero. La Poesia, passatemi l'ossimoro, è "Disciplina Anarchica" che inizia a soffrire d'asfissia ogni qualvolta si tenta di incanalarla in categorie o correnti. E questo è un sintomo che riguarda tutti gli "adepti" siano essi fautori della poesia "canonica" scandita dalla metrica sia coloro che hanno preferito liberarsi dalle "briglie" degli endecasillabi, si noti bene, ho detto "liberarsi" poichè troppo spesso si scopre che soggetti che hanno anche ottenuto un discreto successo editoriale e pretendono di dirci cosa debba essere la poesia, non sono neppure in grado di scrivere in scioltezza un endecasillabo.
Il pensiero umano ha necessariamente il bisogno di categorizzare e incanalare la Poesia in flussi omologati e omologanti creando spazi che alla fine risultano sempre asfittici per chi scrive e illudendosi che essa, nella sua parola chirurgicamente sezionata in "significante e significato" di desaussuriana memoria, sia sempre pazientemente disposta a sottoporsi ad una lente d'ingrandimento che spesso ne distorce le forme partendo da idee soggettive che, arbitrariamente, o attraverso la condivisione di un concetto che ha funzionato da catalizzatore, si sono trasformate in idee comuni e quindi assurte a supporti oggettivi per una critica sull'espressione profonda di un percorso poetico.
Chi scrive, ha un compito, quello di compiere un viaggio unico e solitario attraverso un mondo interiore alla ricerca di quel punto misterioso di congiunzione della triade: "Sé" "L'altro" e '"l'Universale". Chiunque si avvicini a questa ricerca non può che farlo in una dimensione di solitudine e il viaggio può proseguire su un binario che conduce a interagire col Tempo e quindi con la realtà oppure restare su di un percorso filosofico e atemporale, se più gli si confà. La misteriosa stazione di destinazione è comunque un punto unico d'arrivo che tutti coloro che scrivono sperano di raggiungere. 
Considerare sbagliato l'uno o l'altro percorso, sarebbe comunque un errore. Chi può rispondere a domande del tipo: 
La poesia deve essere atemporale? 
Il lirismo é desueto? A cosa serve oggi la metrica? 
L'aggettivazione usata per arricchire una parola é migliore o peggiore di una parola scarnificata? 
È realmente possibile azzerare l'IO"? 
Le categorie del pensiero metafisico Aristotelico sono ancora valide per la costruzione di una critica oggettiva? Per queste domande ognuno avrà la sua risposta e sarà sempre una risposta soggettiva.

Dovremmo piuttosto domandarci perché la critica, peraltro spesso fatta anche da ottimi poeti e critici, non possa riflettere tuttavia sulla possibilità di rinuncia, alla teoria letteraria, e cioè a tutti quei concetti e dettati generalizzanti che rafforzano la necessaria integrazione tra il metodo formale e la prospettiva storico-sociale.
Le discussioni critico letterarie, quando fatte da persone ragionevoli e preparate, sono sempre affascinanti e il dibattito che si crea intorno lo è altrettanto. Ci si accorge di quanto sia stato realmente utile poiché, dopo una disputa prevale un senso di arricchimento e il dibattito ha accresciuto ed affinato il proprio pensiero e la propria capacità critica.
La poesia ci insegna che dobbiamo sempre porre la massima  attenzione nell'usare e diffondere il "Logos", poiché nella parola è sempre veicolato un pensiero e questo pensiero può e deve diventare un ponte di comunicazione con libero accesso per le diverse idee e posizioni. Quando accade che, al posto del ponte si innalza un muro, la Poesia, ha mancato il suo obiettivo.
Scrivendo questo mio modesto intervento, mi é tornata in mente la diatriba tra i Futuristi Marinetti, Carrà e Boccioni e il critico de "la Voce" Ardengo Soffici che nel 1911, si concluse con la famosa rissa al Giubbe Rosse di Firenze dove volarono schiaffi, pugni, calci e tavolini per poi concludersi in stazione dove gli artisti compresero che, alla fine, erano tutti dalla stessa parte.
Non chiedetemi cos'è la poesia perché non lo so, so solo che anche dopo i più aspri scontri se si riesce a confrontarsi lealmente lei é lì.
Riflettiamo fermiamoci, stringiamo una mano, a chi ci è di fronte e poi proseguiamo il cammino con o senza IO; nel tempo o fuori dal tempo; accompagnati dall'aggettivazione o insieme alla parola "scarnificata"; sottobraccio al lirismo o flirtando con la poesia prosastica; ma teniamo sempre presente che accanto a noi, deve sempre camminare la Bellezza, il rispetto, la voglia di confronto e l'onesta intellettuale.. (Laura Barone)


1 commento:

  1. Condivido in pieno questa tua riflessione, cara Laura, e mi piace molto la tua definizione della poesia come "disciplina anarchica", io aggiungerei come ciò che si rivela di imprevisto al confine del caos, o come parola che sgorga dal silenzio interiore e che, quando riesce, si fa musica.

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