domenica 12 maggio 2019

M. G. FERRARIS: "MOSTRA DI R. GUTTUSO A VARESE"



Mostra di Renato Guttuso a Varese


Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade

Dal 19 maggio 2019  nei musei di Villa Mirabello a Varese sarà aperta la mostra dedicata a R. Guttuso che presenterà 25 dipinti del Maestro. Tra queste, il celebre dipinto Spes contra spem, 1982, l’opera simbolo di Guttuso, uno degli ultimi capolavori che il Maestro considerava una sorta di testamento.
Le opere, organizzate in nove sezioni, vanno dalla Natura morta (Barattoli 1966, l’autoritratto 1975, per arrivare a Il sonno della ragione genera mostri del 1980, dipinto in occasione della strage di Bologna).  A Varese, nello studio di Velate, dove dipinse anche la famosa Vucciria,  Guttuso ebbe modo di frequentare, tra gli altri, intellettuali come Guido Piovene, Dante Isella, Piero Chiara, Angelo Frattini, Vittorio Tavernari…
Alla realizzazione della mostra ha collaborato anche Fabio Carapezza Guttuso: nel catalogo un suo significativo contributo con testimonianze inedite di una realtà speciale, vissuta col Maestro, in prima persona. La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione con la Fondazione Pellin:  ventuno opere sono patrimonio della Fondazione. Importante anche la collaborazione con l’Associazione Giovanni Testori e con il FAI.
Velate è  il magnifico paese alle pendici del Sacro Monte di Varese, dove il pittore soggiornerà a lungo a partire dagli anni ’50. Velate e villa Dotti sono i luoghi della moglie  Mimise: con lei entra nell’immaginario di Guttuso il paesaggio prealpino lombardo, il Varesotto che gli fu caro.

Velate e la sua torre di vedetta,
la valle nera, incisa ferita,
lo studio, la gran vetrata, remota,
là sotto ardenti e colorati tetti,
gomitoli di viuzze solitarie;
il Rosa lontano limpido nel tramonto
il lago bianco, un fiume ineguale,
sinfonie di colori, irte armonie,
i limoni di Sicilia lontani,
il mare turchino perso nel sogno.
Ricrei il Mediterraneo in terra
lombarda, ch’ami con toni accesi:
rossi tramonti, gialle atmosfere,
neri pini e cipressi, viola il cielo…
Silenzio e lavoro, amicizie certe
letture, conversari e dispute
dai tempi politici segnati…(M.G. F.)

Conosceva bene anche la Milano degli anni Trenta. Divisa tra fascismo e antifascismo, era tutta un pullulare di iniziative: Antonio Banfi e Anceschi, Treccani davano vita a Corrente, cui Guttuso partecipa con consapevolezza morale. Ricorderà in uno scritto più tardo: «Corrente fu soprattutto un luogo di incontro e di scontri tra alcuni giovani che avevano idee originali e anche il coraggio delle loro idee. Niente era pacifico in Corrente…».
 In una nota redazionale del numero del dicembre 1939, la rivista chiarisce la natura della propria arte e la sua tensione verso un nuovo “realismo”: «[il realismo], questo sì, era un problema che soprattutto preoccupava noi giovani, perché condizione delle nostre certezze spirituali era un libero esame di quella realtà che si andava creando intorno a noi, “realtà” che noi dovevamo conquistare con le nostre forze per sentirla veramente nostra, senza incertezze».
Nell’83 metterà mano al grande affresco della fuga in Egitto alla terza cappella del Sacro Monte di Varese. Ne nacquero polemiche. Troppo si sottolinea quel S. Giuseppe con la giubba da palestinese, metafora del dramma dell’uomo che è costretto ad abbandonare la sua terra, che traduce il Vangelo nell’attualità politica, dimenticando che la sintassi che anima il lavoro è del tutto lombarda, risalendo storicamente agli affreschi indimenticabili di S. Maria foris portas di Castelseprio.
La tematica sociale nondimeno  si attenua negli anni Sessanta, diventa più misurata, la malinconia che è una delle caratteristiche del carattere di Guttuso si manifesta nella pittura delle nature morte, nella ricerca della violenza simbolica degli oggetti, che assumono connotazioni autobiografiche: immagini della sua terra, colori brillanti, scene della sua gente, della giovinezza.
 La memoria si materializza nei particolari, nei dettagli, come nella Vuccirìa: pesci, carni, verdure, peperoni, sedani, olive, uova, arance e limoni, fichidindia…. Dettagli che costruiscono il quadro in una armonia colorata e circolare che pur manca di centro: quasi un’interpretazione della vita confusa che stiamo vivendo.
La natura morta, gli oggetti, il paesaggio ci riconducono  ai lavori di Velate, iniziati negli anni Cinquanta, come  quell’olio  Alberi a Velate, del ’58, che per colori, tutti nordici,  e pennellate sembra un omaggio a Cézanne e  Cesto di castagne di dieci anni dopo, che riprende il tema  della quotidianità -dei prodotti autunnali varesini-, la quotidianità del suo realismo, e che induce alla riflessione non solo sulla scelta oggettuale, bensì sulla struttura, circolare, pregnante, centrale e strabordante, nondimeno compatta della tela, che è una delle caratteristiche della sua espressione pittorica. Una pittura densa, corposa, caratterizza queste immagini in cui gli oggetti inanimati sembrano assumere una carnalità e una tattilità che appare come la negazione stessa del concetto di “natura morta”, piene come sono di una materiale vitalità.
A Velate trovava la calma, la concentrazione  e la tranquillità necessaria per progettare le nuove tele. Molte volte viene dipinto il paesaggio che poteva vedere dal balcone finestra della sua casa, con tele che sembrano ripetersi nel soggetto e che invece variano il dettaglio, l’ispirazione, il colore, la luce, la tecnica.  Bisogna fare attenzione alle date: si va da Alberi a Velate, del 1958 a  Tetti  a Velate, olio su tela del 1961; da una  Veduta di Velate con il monte Rosa,1961, Tramonto di Velate 1960, Monte Rosa da Velate, 1963 a Balcone a Velate,1967.… Dettagli che sono proiezioni della sua personalità. Le luci, i cieli lombardi incantati, i tramonti, i castagni, i boschi, gli elementi tematici costanti, poi le varianti : cesto di castagne, bosco a Velate con ortensia, 1984, che ha accenti lirici, Natura morta e bosco a Velate,1985….in cui, su una sedia che sembra quella di Van Gogh, sistema  anche  gli attrezzi del suo lavoro di pittore, testimoni della sua non indifferente presenza.
Quel paesaggio di Velate, tutto verticale, che culmina nel Rosa al tramonto, blu e viola di contro al cielo rosso, incendiato ed inquietante si ripete, come un urlo che parte dai tetti, scuri e sghembi, per sconfinare nel misterioso infinito.  Violenti tagli spaziali, fratture di piani, esasperazione di espressione, ricerca audace di nuovi nessi sintattici. Quadri caldi, vitali, sconvolti, generosi. Confesserà Guttuso nel 1985: <Dal ‘79-80 ad oggi ho avuto meno preoccupazioni narrative nella mia pittura e più preoccupazioni interiori. I significati della mia pittura sono diventati in un certo senso più segreti e quindi esposti in forma allegorica >.
I tetti sono una costante nei quadri di Guttuso, quasi un riferimento tematico simbolico di casa, paese, appartenenza: quelli di Bagheria, più volte ritratti nella giovinezza e nel ricordo nostalgico, quelli di Roma, quelli di Ischia…:  i tetti di Velate, in struttura verticale riconducono a uno spazio interiore, chiuso. È ancora Guttuso che dichiara:< credo che il progresso del mio lavoro sia cominciato nel momento in cui mi sono staccato dalla volontà di fare violenza “sulle cose”e ho cercato di esprimere la violenza “delle cose”. Questa è l’ultima fase della mia vita, e quindi questa violenza insita, interna alle cose, secondo me ora viene fuori di più. E mi ci abbandono con tutto me stesso>.
G. Testori, affascinato dall’autore e dal paesaggio, definisce  questi quadri “ mirabili cantiche del poema “varesino” di Guttuso, … atti di cultura…d’affezione e d’amore legame¸ come canto; inno, anzi: che raramente fu, come questo rosario “Varesino”, così alto, glorificante e, insieme, così placato….”
Velate, Varese  e Guttuso, un binomio inscindibile, ormai storico.




1 commento:

  1. Interessante e vivace disamina di una delle voci più significative del novecento pittorico italiano, nelle sue fasi conclusive, sempre più immerse in un realismo allegorico dove affiora quel conflitto tra mondo reale e mondo ideale cui le successive correnti del Realismo internazionale rinunceranno in favore di una testimonianza angosciante dell'uscita di scena dell'uomo. La poetica di Renato Guttuso è di un umanesimo non ancora sconfitto, non rinunciatario, ma assai combattivo e proprio per questo struggente.
    Franco Campegiani

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