giovedì 9 maggio 2019

LUCIANO DOMENIGHINI LEGGE: "LE PALLIDE DITA DELLA LUNA" DI L. GUERRIERI


Lidia Guerrieri,
collaboratrice di Lèucade

LA POESIA PROSIMETRICA DI LIDIA GUERRIERI

( Appunti di commento a “Le pallide dita della luna”)

Il primo verso che si legge in questa raccolta è uno splendido distico endecasillabo-settenario, bellissimo e vago, che definisce e rivela le ragioni, causa ed effetto, della sua poesia. E’ un magnifico verso d’amore che si addirebbe benissimo a un uomo che ha conquistato il suo cuore: invece è rivolto alla figlia , le belle parole sono quelle di una madre.
“La mia poesia è tutta nei tuoi occhi
d’edera e di corimbo,
…………”
Delle sessanta composizioni che compongono “Le pallide dita della luna” quest’ode alla figlia è in forma di “ouverture” ed è la sola che abbia un titolo ( “A Romina”). Le 59 che seguono sono contrassegnate da numeri progressivi.
“Versificare la prosa”, appare la soluzione espressiva, la scelta formale dominante della poesia di Lidia Guerrieri, e questo orientamento formale parrebbe una scelta opportuna, congeniale al taglio meditativo, ricapitolativo e autoanalitico di questi versi.
Raramente i periodi sono brevi. Spesso occupano intere strofe di quattro o di sei versi ma talora coprono arcate di versi anche più lunghe.
Malgrado sia vario e sovente ricondotto al linguaggio corrente e ad esso quasi ridimensionato, nondimeno l’eloquio poetico appare accurato, rifinito, capace in ogni momento di un colpo d’ala, una similitudine inedita ( v. “L’occhio bovino dei lampioni”, p. 47), di un virtuosismo verbale ( “La giuncaia che fiuta il Maestrale”, p. 68), di un’invenzione raffinata ( “ci spigola un sorriso” p. 16), un’assonanza originale ( “graffia la catafratta” p. 16), una sinestesia sorprendente ( p. 26, “Quella neve di mandorli”) che ne elevano il tono e la qualità. A un occhio solerte non sfuggono tali ricercatezze e neppure l’ordine e la quadratura metrica di un congegno poetico che, a ben vedere, appare perfetto e sorvegliatissimo.
Sebbene in queste poesie più volte traspaia una preparazione culturale egregia e una spiccata attitudine speculativa, solo in un caso la Guerrieri “sale in cattedra” esibendo una terminologia squisitamente filosofica ( “Essere”, “Nulla”, “Caos”, “Logos”, “Eros”), al N° 48 (“Io sono la Creatura,”), ritratto dell’essere umano, ragguardevole per la straordinaria capacità di sintesi concettuale.
Più che “rechèrche” e recupero del passato quest’opera poetica si potrebbe definire “cattedrale della memoria”, intesa però in senso ucronico, una sorta di riallineamento del tempo dove passato e presente (e anche futuro) si affiancano e si fondono in un’unica dimensione.
Fonte prevalente d’ispirazione e’ dunque “ciò che sta nella mente”, indipendentemente dalla sua genesi cronologica, tradotto in poesia sull’onda dell’iperpercettività di un momento del presente ( v. N° 32, “Entra dalla finestra e sul cuscino”), tramite trasmigrazioni lungo i sensi della memoria od oraziane meditazioni sulla fugacità della vita (v. N° 33, “Piomba la notte con un tonfo sordo”).
Che questo poetare possegga una forte valenza intimistica appare evidente osservando lo spiccato talento autointrospettivo di alcune composizioni ( v. a p. 56 la singolarissima “ode al respiro” o, a p. 50 “Poter esser fumo, oppur vivace,” altrettanto singolare e originale declinazione poetica del cupio dissolvi). E’ comunque una poesia dicotomica, bifronte, che alterna una lucida lettura della realtà a momenti di intensa commozione.
E’ interessante notare altresì l’uso sempre pertinente ed espressivo della punteggiatura, dei punto e virgola, ad esempio, che danno ordine e respiro a lunghi e articolati ragionamenti poetici; oppure degli esclamativi e degli interrogativi là dove l’eloquio si fa “impersonale dialogante” ( v. p. 49 “Che t’importa di quanto fondo è il cielo!”, p. 60, “Spogliamoci degli anni, ora che è sera”, p.37 “Fatemi festa, chè io sono l’angelo”, oppure a p. 45
“L’avete vista la ragazza bionda,” luminoso e tenero ricordo della madre in gioventù, a mio avviso, per la nitidezza cromatica del ritratto e la garbata levità dell’elegia, l’apice poetico di tutta la raccolta).
Qualche analogia nella poesia della Guerrieri si riscontra con quella di un poeta contemporaneo e suo conterraneo, Nazario Pardini: certa attitudine a versificare la prosa prediligendo l’endecasillabo e il settenario di ascendenza leopardiana e inoltre certa propensione a ripiegare su un tono mite, quasi dimesso, fatte salve poi improvvise accensioni di eloquenza oratoria o intensi abbandoni lirici carichi di pathos. La scrittura di Lidia tuttavia, appare più cogente, più disciplinata e osservante delle istanze metrico-formali, làddove il dettato di Nazario si concede, con la nonchalance del poeta consumato, qualche libertà di forma e di modulo.
In questa silloge, sua “opera prima” ( alla quale è augurabile ne seguano altre), Lidia Guerrieri si racconta e si confessa, portando alla luce i segreti nascosti del suo cuore, le sue memorie care; lo fa mettendo a partito una preparazione teorica di prim’ordine e un talento poetico non comune: senza reticenze, senza inibizioni, “tutelandosi”, per così dire, soltanto attraverso una forma metrico-letteraria impeccabile e, tuttalpiù, con qualche ornamentale sovraccarico di enfasi.
In “Le pallide dita della luna” si susseguono composizioni poetiche di pregiata fattura e assai varie per registro e contenuto. Su tutte aleggia un tono di mite, confidente saggezza, scaturito da un’elaborazione dei sentimenti vigile e profonda. Molti sono i pregi che un lettore attento vi potrà trovare. Ma forse il suo pregio maggiore sta nel dimostrare come nella poesia di qualità, sia che si esprimano stati d’animo sia che esprimano concetti, qualunque ne sia il clima emozionale e lo stile adottato, debbano vigere un rigore, un ordine, una misura.
Detto tutto ciò, è giusto dire infine che quest’opera, al di là del lodevole impegno compositivo e dei conseguenti pregevoli risultati formali raggiunti, assolve pienamente a un compito che ogni libro di poesia lirica dovrebbe avere: essere testimonianza e messaggio, urna di sentimenti, rifugio e consolazione dell’anima.

Luciano Domenighini, aprile-maggio 2019


1 commento:

  1. Ringrazio il Professor Pardini per avermi ancora una volta ospitata sull'isola e il caro amico, poeta e critico Luciano Domenighini per questa splendida lettura delle mie poesie.

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