M. Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
Maria
Grazia col solito intuito emotivo, con la solita verve narratrice intrisa di
poetica delle radici, racconta, analizza, intuisce, assapora e vive le arti e
le memorie coinvolgendo il lettore trascinato da tanta emozione partecipativa.
Chiara, Sereni, Rognoni sono gli artefici primi delle sue considerazioni:
“Luino, la cittadina sul lago Maggiore, la patria natale di Piero Chiara e
Vittorio Sereni, apre gli archivi dei due autori nel restaurato Palazzo
Verbania, sul lago, in concomitanza con
la mostra del pittore Franco
Rognoni, nella città che elesse a sua dimora e come sede del suo studio di
pittura preferito. Tutti e tre – il poeta, il narratore, il pittore- pure riposano a Luino: accomunati anche in
vita dalla poesia ispiratrice, che
costantemente li visita, tra versi, descrizioni
e dipinti…”.
La narrazione della Ferraris si fa poesia, dacché Lei vive
le storie che dentro le sono impresse; quelle vite, quegli amori, quei fatti e
quelle circostanze che si affidano imperiose alla sua mente e al suo cuore a
ché vengano tradotte in nuove avventure simboliche di vita e di poesia; di pittura
e di arte, di arte e di memorie. “… Diana
e Proserpina sono il simbolo che rende in concreto il mondo espressivo poetico,
emerso alla luce da una necessità progettuale e reale di vita. Esse sono in un
certo modo la sublimazione di un
quotidiano avvenuto e messo in sospensione dalla memoria, dalla “instancabile
memoria poetica” che Sereni sceglierà
come elemento di sostanziale laboratorio creativo.
Diana
e Proserpina sono entrambi figure che chiaramente rimandano ad una simbologia
femminile di grande forza e spessore e
di grande coraggio e prontezza d’animo, più a livello attivo che
contemplativo. Diana come Proserpina sono donne sole, tolte a un diverso
destino, per proseguire da sole verso un loro futuro riconosciuto e cercato
nonostante i limiti esterni.
Diana
è cacciatrice e solitaria; Proserpina è rapita ed abbandonata, ma anche contesa
tra due amori che la portano alla sofferenza e alla sopportazione, un dolore
che si rinnova in modo intermittente arginando
una sofferenza acuta e
potenzialmente esplosiva…”
La
sera invade il calice leggero
che tu
accosti alle labbra.
Diranno
un giorno: – che amore
fu
quello… –, ma intanto
come
il cucù desolato dell’ora
percossa
da stanza a stanza
dei
giovani cade la danza,
s’allunga
l’ombra sul prato.
E
sempre io resto
di qua
dalla nube smemorata
che
chiude la tua dolce austerità.
E se
il mito deve aiutare il poeta a simboleggiare l’amore o la morte che ben venga:
la mitopoietica è sempre alla base del
canto vero, più di certo della mitologia. E tutto si fa vita, esperienza,
vicissitudine che Maria Grazia Ferraris racconta come fosse un romanzo di flaubertiana memoria.
LUINO- La Terrazza di
Piero Chiara, Vittorio Sereni e Franco Rognoni, di M. Grazia Ferraris
Luino, la cittadina sul lago
Maggiore, la patria natale di Piero Chiara e Vittorio Sereni, apre gli archivi
dei due autori nel restaurato Palazzo Verbania, sul lago, in concomitanza con la mostra del pittore Franco Rognoni, nella città che elesse a sua dimora e come sede del suo studio di
pittura preferito. Tutti e tre – il poeta, il narratore, il pittore- pure riposano a Luino: accomunati anche in
vita dalla poesia ispiratrice, che
costantemente li visita, tra versi, descrizioni
e dipinti.
Scrive il critico d’arte
Chiara Gatti, che ha curato il catalogo della Mostra-Rognoni che porta
l’originale sintetico titolo di “Terrazze” : “Oltre all’amicizia, all’anno di
nascita (il 1913) e a una residenza luinese, Franco Rognoni, Vittorio Sereni e
Piero Chiara avevano in comune un’altra cosa: una terrazza sul lago. Sereni le
aveva dedicato una poesia, nella famosa raccolta di Frontiera. Chiara
l’aveva descritta più volte fra le pagine di uno dei suoi romanzi struggenti, Una
spina nel cuore. Rognoni la ritrasse spesso delineando con tratto tagliente
alcuni personaggi affacciati alla sua fragile ringhiera.
Idealmente, da quello
stesso spigolo aguzzo di balconata si erano sporti tutti e tre, in momenti e
circostanze diverse. E, tutti e tre, ne avevano ricavano ispirazione, linfa
vitale, suggerimento fecondo per i propri racconti fatti di immagini e di parole.”
Improvvisa ci coglie la sera.
Piú non sai
dove il lago finisca;
un murmure soltanto
sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza.
Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di
torpediniera
che ci scruta poi gira se ne
va.
(V. Sereni, Frontiera)
L’amicizia e il lago. Luino,
il lungolago dei grandi platani, i colori sinfonia di celesti, i tramonti di
fuoco, i notturni scuri hanno fatto
nascere una eredità di affetti , una vita tutta originale, tra malinconia e
passioni, calme e scontenti esistenziali. Chiarisce la Gatti: “ La metafora
della lacuna/laguna richiama la perdita che colpisce chiunque ritorni, dopo
tanto tempo, ai luoghi delle proprie origini. Rognoni è sempre ritornato a
Luino con gli occhi meravigliati di chi scopre – per citare ancora Eliot- ciò che, in precedenza, forse
non aveva notato.
E ha riscoperto il lago, i
suoi venti e le sue correnti; la gente nei locali e la gente fuori nella
foschia. E poi le donne. Spigolose, tornite, severe, nobili, cupe, solitarie,
permalose, nude, morbide, infreddolite. Ogni donna ha la sua storia, i suoi misteri,
il suo fascino. Ma, di nuovo, Rognoni non ha mai ridotto la pittura al
soggetto. La donna, al di là del suo enigma, è forma nello spazio, è una linea
nel famoso vuoto cosmico. Alberto Giacometti gli aveva consegnato il segreto
delle sue figure sottili. La femme è un
corpo aereo che palpita nel colore. Tecnicamente superbo, Rognoni ha
mirabilmente inventato infatti un’idea di colore dentro il quale germina
l’immagine….”
“Sulla terrazza, si
sporgono ora presenze eteree. Guardano in là, oltre il davanzale, un panorama
che non c’è. La riva opposta, l’altra sponda del lago, per Rognoni non
esisteva. La evocò giocando sulle sfumature dell’atmosfera che si dirada, i
riflessi dell’acqua che si abbuia. I suoi eroi borghesi si mostrano sospesi a
strapiombo su quella laguna d’acqua dolce che è lo specchio della loro
“melencolia”, per dirla con Dürer.”
Le amicizie hanno valenze
diverse, la vita si incarica di stringerle o di allentarle. Quella di Sereni
con Chiara fu certo un’amicizia fondata sulla lunga consuetudine, sulla
conoscenza reciproca avvenuta nell’infanzia a Luino e sulla solidarietà, ma
senza abbandoni intimi, eppure fu conoscenza amicale, autenticamente
consapevole. Ancora a Luino, luogo
topico di questi artisti, si deve anche l’amicizia con Franco Rognoni. Con lui
e altri amici Sereni dette origine in seguito
alla rivista La Rotonda.
“Luino non è che memoria infantile, e per il
resto territorio insondabile…” La Rotonda, un’avventura sentimentale ed
editoriale. Ha preso il nome dal
terrapieno alberato a forma di semicerchio che apre il viale alla Stazione
Internazionale di Luino.
Nel 1979 Sereni organizzava
infatti insieme a Claudio Barigozzi, Piero Chiara, Pierangelo Frigerio, Pier
Giacomo Pisoni, il pittore Franco Rognoni e altri, il primo numero
dell'almanacco "La Rotonda", che centra la sua attenzione su Luino e
le zone circostanti; ne usciranno sei fascicoli, editi da Francesco Nastro fino
al 1983 (la morte di Sereni)). Scopo dell'Almanacco quello di compilare una
“specie di regesto nel quale gli aspetti mutevoli della città, architettonici,
naturali, sociali e anche economici, fossero testimoniati di anno in anno
accanto alla riesumazione delle memorie antiche”.
“Nella sua pittura Franco Rognoni
non ha mai dovuto ricorrere a oggettività geografico-paesaggistiche evidenti e
ben delineate, -ribadisce la Gatti- ha lasciato che nelle sue tele emergesse e
trovasse spazio lo “spirito” dei suoi personaggi, senza porsi l’obiettivo di
fotografarli. La magia che sprigiona dai suoi quadri è intensa e coinvolgente
…Franco Rognoni è partito e tornato più volte all’origine del suo esplorare. La
pittura gli è stata accanto come un diario di viaggio sulle strade della
memoria, una compagna di quotidiane scoperte, trascrizione lirica di ogni
episodio rubato alla vita e restituito alla poesia.” Una poesia sereniana.
Ti distendi e respiri nei
colori.
Nel golfo irrequieto,
nei cumuli di carbone irti al
sole
sfavilla e s’abbandona
l’estremità del borgo.
Colgo il tuo cuore
se nell’alto silenzio mi
commuove
un bisbiglio di gente per le
strade.
Morto in tramonti nebbiosi
d’altri cieli
sopravvivo alle tue sere
celesti,
ai radi battelli del tardi
di luminarie fioriti.
Quando pieghi al sonno
e dai suoni di zoccoli e canzoni
e m’attardo smarrito ai tuoi
bivi
m’accendi nel buio d’una
piazza
una luce di calma, una
vetrina.
Fuggirò quando il vento
investirà le tue rive;
sa la gente del porto quant’è
vana
la difesa dei limpidi
giorni….(Inverno a Luino)
Un secondo tema che avvicina i
due artisti è quello della femminilità... “le donne. Spigolose,
tornite, severe, nobili, cupe, solitarie, permalose, nude, morbide, infreddolite. Ogni donna ha la
sua storia, i suoi misteri, il suo fascino. Ma, di nuovo, Rognoni non ha mai
ridotto la pittura al soggetto. La donna, al di là del suo enigma, è forma
nello spazio, è una linea nel famoso vuoto cosmico. Alberto Giacometti gli
aveva consegnato il segreto delle sue figure sottili. La femme è un corpo aereo
che palpita nel colore” ci spiega il critico d’arte.
Il riservatissimo Sereni
descrive tale emozione negli anni giovanili ricorrendo a due figure del mito:
Diana e Proserpina. Sono figure di giovani donne appena accennate, fortemente
idealizzate, scelte per affinità elettive o per la loro inquietante prematura fine che pur contribuiscono in modo
determinante alla definizione del suo orizzonte formativo e poetico, ma che si
potrebbero infine riassumere nell’unica figura della moglie, che entrerà definitivamente
nel progetto della sua vita adulta di marito e padre.
Torna il tuo cielo d’un
tempo
sulle altane lombarde,
in nuvole d’afa s’addensa
e nei tuoi occhi esula ogni
azzurro,
si raccoglie e riposa…
Torni anche tu, Diana,
tra i tavoli schierati
all’aperto
e la gente intenta alle
bevande
sotto la luna distante?
Ronza un’orchestra in sordina;
all’aria che qui ne sobbalza
ravviso il tuo ondulato
passare,
s’addolce nella sera il fiero
nome
se qualcuno lo mormora
sulla tua traccia… (Diana,
1938)
Diana e Proserpina sono il
simbolo che rende in concreto il mondo espressivo poetico, emerso alla luce da
una necessità progettuale e reale di vita. Esse sono in un certo modo la sublimazione di un quotidiano avvenuto e
messo in sospensione dalla memoria, dalla “instancabile memoria poetica” che
Sereni sceglierà come elemento di
sostanziale laboratorio creativo.
Diana e Proserpina sono
entrambi figure che chiaramente rimandano ad una simbologia femminile di grande
forza e spessore e di grande coraggio e
prontezza d’animo, più a livello attivo che contemplativo. Diana come
Proserpina sono donne sole, tolte a un diverso destino, per proseguire da sole
verso un loro futuro riconosciuto e cercato nonostante i limiti esterni.
Diana è cacciatrice e solitaria;
Proserpina è rapita ed abbandonata, ma anche contesa tra due amori che la
portano alla sofferenza e alla sopportazione, un dolore che si rinnova in modo
intermittente arginando una sofferenza acuta e potenzialmente esplosiva.
La sera invade il calice
leggero
che tu accosti alle labbra.
Diranno un giorno: – che amore
fu quello… –, ma intanto
come il cucù desolato dell’ora
percossa da stanza a stanza
dei giovani cade la danza,
s’allunga l’ombra sul prato.
E sempre io resto
di qua dalla nube smemorata
che chiude la tua dolce
austerità.
Anche nelle raffigurazioni di Rognoni c’è questa
dimensione giovanile della ricerca della donna ideale, mitica: eccolo
utilizzare i suoi favolosi azzurri alla ricerca della purezza, del sogno,
immagini investite dalla luce, vibrante e misteriosa.
Il suo viaggio però proseguirà in due
direzioni: quello più carnale, sensuale, erotico ed ambiguo, nervoso, la donna oggetto di
desiderio, proprio della maturità, e quello dell’inserimento della donna ideale
in un paesaggio cittadino pieno di contraddizioni, di realtà ostile ed di
colori che si fanno aggressivi e
violenti. La figura femminile perde via via
la morbidezza di linee, la luminosità caratteristica della prima, sua
simile, colta nella lontananza dello spazio chiuso.
I tratti del disegno tendono
alla deformazione secondo moduli espressionistici, che la assimilano all’uomo,
di cui essa simboleggia la sete frustrata di eros, ma anche la donna col suo volto tormentato, che sembra contraddire
il suo splendido isolamento, sembra conoscere il vuoto interiore, al centro di
tutte queste linee che si intersecano, intrecciano, sovrappongono,
accompagnando la solitudine, tormento e musa del pittore.
La lunga galleria di ritratti
di Rognoni non può che riportarci “alle
descrizioni icastiche di molti personaggi chiariani”.
“ Rognoni ritrae i personaggi
per quello che sono, cogliendo quel particolare che ne esalta il carattere, li
penetra nell’intimo, li documenta per quello che sono sottraendoli a giudizi
beffardi cui Chiara era solito, invece, propendere. Una maggiore consonanza si
riverbera, con la tavolozza poetica di Sereni. con la propria “tavolozza
cromatica fatta di ironia, di satira, di nostalgie... di raffinate malinconie”.
M. Grazia Ferraris
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