M. Luisa Daniele
Toffanin. La casa in mezzo al prato.
Valentina Editrice. 2018
Già la copertina ci mette a contatto
con quello che è il mondo della Poetessa. Un volo verso la luce, il cielo,
verso tutto ciò che è bello, ricreativo, spiritualmente sano, loquace e
armonico; sono i ruscelli che cantano, sono gli alberi che ci accompagnano coi
loro respiri verticali. E qui, la
Poetessa gioisce ed ama, respira e scrive, pensa e medita, confondendosi coi palpiti
di Pan che le danno la parola. E la parola scorre liscia e veloce, pensosa e
travolgente, sortendo da un’anima tutta presa dalla contemplazione. Anche la
foto della copertina di Marco Toffanin ci introduce negli abbrivi emotivi che
danno empito agli slanci onirici: una baita fra la neve e gli abeti. Un
prodromico avvio alla lettura dei testi poetici che parlano della Poetessa,
della sua natura da sogno, incontaminata, resistente, disposta e disponibile a
farsi contenitore capiente dei messaggi
poematici. Sì, perché Maria Luisa vive di natura, come ne vive tutta la sua
poesia, che non fa che armonizzare i sentimenti che Ella prova dinanzi alle bellezze del Creato. Quattro le sezioni del
testo ed ognuna preceduta da una introduzione-apriporta della abbondanza verbale e sonora delle poesie.
Abbondanza perché la Nostra ha bisogno
di spazi, di ampiezze per narrare; per stendere sul foglio tutte le sue
emozioni di fronte ad un mondo pulito e generoso; ed Ella si serve di questo
mondo, dei suoi più segreti ambiti per
dare concretezza ad un pathos che dentro detta. “C’è una casa immensa in mezzo
al prato, lungo il torrente Pettorina, ai piedi di una fitta abetaia, all’ombra
del Sasso Bianco, stretta alla strada statale di un ponte di legno, opera del
Checco cortese montanaro di Sottoguida. Una casa sorta là per gioco, quasi
favola uscita dalla bacchetta magica di una ninfa boschiva. Un gruppo di
colleghi-amici, giovani sognatori, invia a vari comuni montani la richiesta
d’acquisto di un lotto di terra per costruirvi un loro condominio. E Rocca
Pietore, nell’agordino, è l’unico a rispondere, circa 45 anni fa….”. Questo uno
stralcio dell’Introduzione che ci illumina sulla iniziativa di questi amanti
del bello: “osservatorio anche del paesaggio nel mutare delle stagioni, in
particolare nel disgelo primaverile, in un ascolto qui più intimo, in una
visione più limpida una verità nuova”. Non è vero che il Paradiso non esiste in
terra, occorre solo la buona volontà e la grande sensibilità per crearlo:
(…)
E tu parete sud
prodigio della Marmolada
di titani sei palestra vibrante di
gesta.
A canne di roccia sei organo immenso
per musica primordiale dal verso
percepita.
La dilaterò infinita in questa arcaica
basilica-petrosa storia di terra (immagini e suoni agordini).
E il verso si fa armonico, arrivante,
prodigioso nel suo appropriarsi di assonanze e cifre rimiche per accostarsi il
più possibile ai ritmi naturistci.
Sì, ci possono essere roghi (rinati dal
rogo in gentili forme), tempeste, diluvi, ma la Natura torna sempre ad
appropriarsi dei suoi spazi per dare loro vernici e respiri di divina fattura,
come afferma lo scrittore: <<Se gli anni fanno macerie, la natura vi semina fiori; se
scoperchiamo una tomba, la natura vi pone il nido di una colomba:
incessantemente occupata a rigenerare, la natura, circonda la morte delle
più dolci illusioni della vita>>. “Chateaubriand dans le “Genie du
Christianisme”.
Tante sono le fasi sequenziali del
“Poema”: la descrittiva, introspettiva, narrativa; e tutte volgono lo sguardo
verso la reificazione di amore, passione, condivisione; verso un tatto che sa
trasformare una realtà in sogno; in un sogno che non è altro che il cuore del
canto.
Nazario
Pardini
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