Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade |
Il 28 settembre è stata pubblicata su
Repubblica un’intervista a Mario Tronti, che ho letto e conservato per alcune
frasi che mi hanno colpito. Alla domanda dell’intervistatore, Antonio Gnoli,
“Nostalgia delle rivoluzioni?” Tronti risponde “No, semmai del Novecento che fu
anche il secolo delle rivoluzioni…. Dove sono il grande pensiero, la grande
letteratura, la grande politica, la grande arte? Non vedo nulla di ciò che la
prima parte del Novecento ha prodotto.” Più avanti dice “La fase è molto
confusa. Ogni cosa va per conto proprio. Agli inizi del ‘900 si parlava della
grande crisi della modernità. Poi questa è arrivata. E ora che ci siamo dentro
fino al collo non sappiamo in che direzione andare. È lo stallo. Si guarda
senza vedere realmente.”
Bene, a parte che già la seconda
asserzione sembra una risposta alla prima, mi sentirei di commentare e
completare questi interventi di Tronti.
Innanzi tutto direi che la grande arte, la
grande letteratura, il grande pensiero (altro è la grande politica) vivono una
fase molto confusa, come lo stesso Trotti dice. Perché? Forse non esistono più
artisti, letterati, pensatori o, peggio, non esistono più movimenti? Non so
cosa risponderebbe Tronti a questa domanda, e mi rammarico per la mancanza di
spirito dell’intervistatore che non ha saputo cogliere il segno. Io risponderei
che esistono: i movimenti, il pensiero, la letteratura, la poesia e l’arte sono
ancora grandi, e continueranno ad esserlo, altrimenti la razza umana intera
sarebbe un fallimento. Ciò che sottolineerei invece, è che se nella prima parte
del Novecento i pensatori e gli artisti erano pochi, la cittadinanza combatteva
con l’analfabetismo, con le guerre e con le idee che venivano represse da certi
totalitarismi, avere idee faceva paura e faceva notizia, se ne parlava… la voce
passava di bocca in bocca, non era certo il calcio ad occupare il nostro
pensiero perché l’umanità intera ancora non si era asservita al Dio
Televisione. Cosa è cambiato tra la prima e la seconda metà del Novecento? I
mass media, il modo di comunicare che, se prima era condivisione, con la TV
diventa fruizione passiva. Pasolini aveva ben inquadrato il problema nel 1966,
quando scriveva: «La televisione
è l’espressione concreta attraverso cui si manifesta lo Stato piccolo-borghese
italiano. Ossia è la depositaria di ogni volgarità e dell’odio per la realtà».
Ma la televisione è anche comunicazione che si subisce, non un “cum”, ma un “da
- a”, non la si può controbattere, e anche se la mania del passaparola non si è
persa, cosa è successo con la voce che passa di bocca in bocca a metà del
novecento? Semplice, se prima si parlava del raccolto nei campi, della fatica
in fabbrica, della vendemmia e delle idee che si venivano a conoscere (perché
comunque gli argomenti a disposizione erano pochi), con l’avvento della TV si è
iniziato a parlare dei programmi televisivi, degli attori, di Sanremo, di
Canzonissima, dell’ombelico della Carrà e così via, travolti da un crescendo
incredibile che culmina con l’arrivo delle TV private, degli spogliarelli delle
massaie, delle veline e dei programmi più idioti che esistano, fino al Grande
Fratello e allo yogurt della Marcuzzi.
Negli anni ottanta e novanta, quando
andavo in ufficio l’argomento principe delle conversazioni era il programma
visto il giorno prima, e se si trattava di un programma di approfondimento,
immancabilmente diventava l’occasione per sentirsi un esperto del tema: l’ex
telespettatore alla pausa caffè indottrinava gli altri. Intendiamoci, a volte
era anche interessante, ma raramente si parlava di arte o di idee, mai una
volta che si parlasse di un dubbio o di un pensiero profondo, sempre e solo
certezze.
Se l’agente provocatore inseriva temi significativi
nel discorso, questi non veniva seguito, semmai veniva deriso e messo da parte.
Così, piano piano, chi parlava di idee si trovava ad essere sempre più solo,
fino a rinchiudersi in una sorta di setta. Era comunque visto con rispetto, ma
alla conversazione stimolante si preferiva sempre parlare delle cosce di
qualche velina o della lite tra politici in qualche salotto privilegiato.
Le masse hanno cominciato a vedere la TV e
considerarla un oracolo anche perché permetteva, nella conversazione, di ripetere
il modello “da – a”, cioè non si comunicava, ma si imponeva un ragionamento
agli altri, tutto era già digerito e non si permetteva nessun contraddittorio.
La TV è l’unico strumento di comunicazione degno di essere acceso in cucina, in
camera e nel soggiorno, se ne sta sempre accesa a riversare su di noi immagini
truci e non obiettabili, e il telespettatore che ha il potere di dire no,
invece di spegnere si limita a sguazzare sul telecomando passando da un canale
all’altro.
Verso la fine del Novecento abbiamo
assistito ad un altro fenomeno, molto più interessante: l’utilizzo della rete,
il computer, la comunicazione telematica… e non mi dilungherò nello spiegare
come funziona, del resto lo sappiamo tutti, ma sottolineo che per molti non è
altro che l’evoluzione della TV, a volte in peggio, perché diventa uno
strumento che isola dando l’illusione di aggregare.
Bene, tutto questo ha portato a disperdere
la capacità di aggregarsi intorno a un’idea. Ecco il problema. La dispersione,
la non aggregazione, loro sono i veri nemici dell’arte, del pensiero, della
letteratura… per non dire della politica, che dovrebbe pensare al bene comune,
invece… lasciamo perdere.
I mezzi di diffusione o di promozione
delle arti e del pensiero ieri erano pochi, oggi sono tanti, ma spesso
asserviti a un sistema che ha come scopo principale la commercializzazione di
qualcosa e non la promozione o diffusione di un pensiero. E mettiamoci pure che
oggi gli stimoli sono tanti, quasi tutti innaturali, commerciali, materiali…
Se ieri si poteva contare con un
passaparola efficace, oggi abbiamo un passaparola prevalentemente dispersivo,
in gran parte telematico e, invece di condividere una o due idee, si condivide
di tutto sentendosi protagonisti del nulla. Già, perché se il mezzo di comunicazione
che prima era la TV permetteva di essere protagonisti nella chiacchierata del
giorno dopo, la rete illude di essere protagonista da subito, grazie ai
messaggini, a Facebook, ai blog.
Ciò non significa che non c’è pensiero,
arte, letteratura o poesia… c’è, c’è, vi assicuro che c’è… ma è tutto sommerso,
vittima di un sistema più intelligente di noi che ha fagocitato la nostra
capacità di essere un insieme di persone e non una massa informe di individui.
Con questo voglio dire che Tronti ha
ragione, non sembra che abbia colto le ragioni che hanno reso la nostra fase
confusa, come lui stesso l’ha definita.
D’accordo, buona parte del Novecento è
stata una miniera di idee e di creatività, oggi non si vede lo stesso
movimento, ma non è vero che mancano le idee, il pensiero, l’arte… direi invece
che tutto nuota nella dispersione informativa di cui tutti siamo testimoni.
Oggi quello che manca è la capacità di aggregare e la forza per combattere una
battaglia più grande di noi.
Però bisogna provarci, altrimenti che ci
stiamo a fare qui?
Ancora una volta richiamo i temi del
Manifesto Culturale il Bandolo, che si pone come indicatore di una direzione da
prendere per colmare, anche solo in minima parte, quel grande vuoto segnalato
anche da Tronti!
Claudio Fiorentini
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaottime riflessioni, ampiamente condivise, in quanto cresciuto in un ambiente in cui parlare di calcio oppure giocare al calcio era l'unico mezzo comune di socializzazione. La crescita del populismo mediatico ha sconfinato nella vita quotidiana appiattendo il livello, oggi ancora imperante, dal quale si cerca di riemergere, anche attraverso i social networks. Quindi, cito una tua frase molto efficace "tutto questo ha portato a disperdere la capacità di aggregarsi intorno a un’idea" ecco credo che quell'idea che identifico nella "BELLEZZA" cerchi ancora attori per coagulare interessi comuni e testimoniare l'importanza dei contenuti rispetto alla superficialità imperante.
RispondiEliminaConcludo, riprendendo la tua chiusa "bisogna provarci, altrimenti che ci stiamo a fare qui?"
un caro saluto d'ammirazione
Francesco
Ottime riflessioni!
RispondiEliminaBravissimo Claudio.
Evviva il Bandolo!
Roberto Mestrone
Bravo Claudio, il tuo monito molto efficace è indicativo di un malessere che non vedrà la fine nell'immediatezza, ma il peggioramento del male. Va indagato e subito, senza più tempo da perdere, un sistema che chiamerei di vasi comunicanti che indirizzando la cura verso l'abiura di contenuti velenosi e imperanti dia quanto meno uno scossone di riemersione dalla melma in cui siamo caduti. L'importante è capire la necessità di farlo e poi realizzarlo nell'immediato. Non vi sarebbe più tempo da perdere: invece pettiniamo "tutti" i capelli alle bambole, trasferiamo ogni incertezza, dubbio, o miserevole andazzo alle nuove generazioni che si troveranno affogati e disperati, per l'inerzia, la dabbenaggine, la pigrizia, l'incapacità di questi eroi da fumetto. Siamo giunti al paradosso dei vinti...bisogna riprendere in mano la vita che sta andando in frantumi e rianimarla, darle ossigeno, curare il male endemico che la sta distruggendo. Condivido il biasimo di Claudio verso l'inerzia e sollecito altri nominativi ad accogliere l'occasione del Bandolo per farci conoscere, dire come la vediamo, reagire!!! Reagire a questa morte civile, che ci fa piegare la testa ormai ad ogni cosa...
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà
Cara Ninnj, il carissimo amico Franco Campegiani ha scritto anche lui uno splendido articolo al riguardo, ti invito a leggerlo. Vorrei solo aggiungere qui un commento che ho appena inserito proprio sotto il suo, perché mi sembra molto in linea con quanto da te scritto: Ebbene sì, essere se stessi in assoluta indipendenza e libertà, inseriti nel nostro spazio e nel nostro tempo. Questo bellissimo dibattito nasce proprio da alcune parole di Tronti che, come tanti, troppi pensatori, trova stimolante parlare dei tempi andati trovandoli migliori. Il punto è che il Passato è già storicizzato, e il Contemporaneo ancora no. Noi siamo il Contemporaneo! E non mi va di pensare che passeremo alla storia come quelli che non hanno combinato un granché perché incapaci di adattarsi alla rapidissima evoluzione di ciò che li circonda. Noi abbiamo solo il nostro tempo da vivere, altri hanno vissuto il passato. Per questo occorre rivendicare il nostro ruolo nella società. Le nostre parole, i nostri atti, le nostre idee sono un seme di storia. Per questo è importante agire, pensare, fare qualcosa essendone coscienti. Se il passato viene visto come qualcosa di migliore del presente, noi che siamo il presente siamo dei grandi cialtroni. Sta a noi vivere questa situazione come un fallimento, o come l'opportunità di seminare nuove idee.E forse, quando Tronti si chiede dove sono i grandi pensatori, i grandi artisti, la grande letteratura, in realtà ci sfida, e ben venga. I grandi pensatori, i grandi artisti, eccetera, esistevano allora ed esistono ancora, esisteranno sempre... ma valli a trovare! Ecco perché occorre districare la matassa, occorre trovare, appunto, il bandolo! Grazie!
RispondiEliminaClaudio Fiorentini
Carissimo Claudio, voglio tirare con te le somme del dibattito nato dalla tua, come al solito brillante, provocazione. Il discorso si è ampliato a dismisura, anche con il mio contributo, e questo è un segno della validità e dell'interesse dei temi affrontati. Ambizioso è l'obiettivo de "Il Bandolo", perché non è impresa da poco affrontare le paludi in cui la cultura e la civiltà si sono impantanate. Sicuramente dobbiamo armarci di molta umiltà per far comprendere che il desiderio del nuovo non è desiderio di recidere le radici. Questo perché il desiderio delle radici è proprio quello di rinnovarsi al fine di dare nuove gemme e nuovi frutti, all'infinito.
RispondiEliminaFranco Campegiani