BastogiLibri.
Roma. 2014. Pg. 98. €. 8.00
Il sole è già calato
all’orizzonte
le stelle sono tutte svigorite
e plumbea inizia ad innalzarsi
l’aurora:
ecco è questo l’istante in cui
vorrei morire
Un
canto che cerca le stelle svigorite e la plumbea aurora, gli sprazzi di una
natura che meglio ritraggano la solitudine dell’animo di Emma Mazzuca; un canto
di Saffo in cerca del mare che lima gli scogli, che cerca bufere e tempeste
vicine al suo sentire e lì morire.
Un viaggio verso mari mossi e irrequieti,
verso orizzonti offuscati da brume che si levano dopo giorni di sole a brillare
su scaglie salmastre. Su orizzonti smisurati dove il faro del nostro essere non
riesce a prolungare una scia tanto profonda, quanto vorrebbe. Proprio Alfredo
Panzini definì i poeti “simili al faro del mare”. A quel fascio luminoso che
sfuma la sua forza nella notte profonda e misteriosa. Quale similitudine più
vicina alle melanconie, ai dubbi, e alle incertezze del nostro vivere. Alle nostalgie
del nostro passaggio terreno:
… com’è dolorosa e acre la
nostalgia
per ciò che resta delle favole
del mio amore
com’è difficile parlare di lei
non ho fuoco per queste membra
se non quello delle parole
(Com’è dolorosa e acre la nostalgia).
Un’urgenza
introspettiva ci prende, e ci turba. Un turbamento che ha a che vedere con la
vita, la morte, la psiche, l’amore. E la Nostra fa della introspezione un
certosino lavoro di cesellatura dove la parola assume un profondo ruolo di
scavo e di sapida puntualizzazione metaforica:
Parola cammina lentamente sul
mio cuore
cammina lentamente come erica
sul pantano
come rondine su ghiaccio invecchiato di una notte… (Parola),
un
lavoro di scandaglio che la porta a riflessioni da cui scaturiscono, con
agilità poetica, sentimenti di solitudine e di travaglio interiore, anche se a
prendere in mano il bandolo della matassa è sempre una luce che in consonanza
col vento tanto si fa simbolo di ri-creazione e di fuga da una realtà spesso
puntigliosamente descritta e in cui la Nostra si sente impelagata per forza
attrattiva.
Amo il mio giorno di vento e
di luce
e volti e sguardi – la leggera
danza
del mio sempre mi rapisce
- volo di rondine nel cielo
del crepuscolo (Rondine).
Ed
è così che l'Autrice, rievocando momenti sperduti nel suo animo, li riporta all’oggi per
trovare in essi un’alcova affrancatrice. Dacché la vita è quella scampata al
potere dell’oblio. Non quella che viviamo attimo per attimo destinata, in gran parte, a
scomparire. Ma quella giunta al porto dopo la tempesta, che, con tutte le sue
ferite e le sue falle, con tutti i segni lasciati dai marosi, con tutti i cocci
che la fasciano, con tutti i meriggi che l’hanno infuocata, costituisce una paradigmatica parènesi per una nuova
navigazione; un prezioso serbatoio per odisseici canti che nascono da vicende
vissute e riaffiorate dense di pathos; dense di profumi, che riportano ad
antiche primavere, a cammini folti di speranze e proposte di cieli infiniti. Terriccio
fertile di una narrazione in cui ritroviamo il percorso della nostra identità
fatta di ombre e di luci, di male e di bene, di illusioni e delusioni, di amore
e dolore; insomma di quel polemos eracliteo tra gli opposti, di quella
simbiotica fusione dei contrari, che, poi, è il sale e il pepe dell’esistere.
La sua verità:
… gli echi delle fonti del
vivere
le raffiche di vento
il sorriso nel cuore
dell’eternità
dove finiscono se te ne
dimentichi?
tu il dio delle rimembranze
(Rimembranze).
È
qui, in questi versi polisemici e plurali, nel loro andare ondivago e vario che
Emma Mazzuca esprime tutto il suo patema esistenziale, ora con misure ampie e
distese, ora con rattenute brevi e apodittiche, giocando tutta la loro
duttilità espressiva nell’abbraccio intenso degli slanci emotivi e del loro
problematico impasto. È là che volge lo sguardo l’Autrice, verso i dilemmi dell’esistere,
dacché, attraverso un dettagliato e autoptico esame del loro inanellarsi, vuole
giungere ad una conoscenza più approfondita di se stressa. Della sua pienezza
ontologica. Cosa piuttosto improbabile considerando i dubbi e le irrequietezze
che ci assillano in questa nostra perpetua indagine. Dubbi che nascono e si
moltiplicano per l’insoluzione dei tanti perché; per l’umano e inumano gioco della
nostra vicenda col correre del tempo:
E sento la fretta spingere
l’uomo
a vivere in gara col tempo
e vedo dal’alto formiche che
corron veloci
alla ricerca di ore perdute
(Cercando).
D’altronde
è questa vicenda che assilla e tiene in ansia la Mazzuca; Lei è cosciente della
precarietà e della inaffidabilità del tempo; lei è cosciente di quanto sia fugace
lo spazio del nostro soggiorno; e di quanto sia incomprensibile la fretta
dell’uomo moderno a scapito della meditazione e del bene per la vita; ed è per
questo che, brancolando in quelle tenebre troppo dense per i suoi slanci verso
il chiarore, riesce a infondere al canto tutta le complessità plenitudinis
vitae:
memoriale:
Rendimi possente memoria
l’intima consapevolezza del
momento
sentir l’ampiezza della
duplice entità (Rendimi possente memoria);
panismo identificativo:
… esco al silenzio penetrando
l’essenza delle cose
e non so se è beltà il grano o
verità la sete
in questo istante quando il
furore abbagliante
delle mèssi non violenta i
miei sensi… (Tramonto),
dove
il grano, le mèssi, gli uccelli, i
roveri si fanno vere oggettivazioni di frammenti d’anima;
Eros
e Thanatos, saudade, nostalgie, fughe e ritorni, speranza:
È una marea di solitudine
l’onda del dubbio fa vacillare
la barca
una sorgente di luce
s’infiamma
ad occhio di gioia dalla
fronte di roccia
e speranza rinasce ad
albergare la vita (Speranza);
fino
alle delusioni di un’anima tutta rivolta all’identificazione della sua
vicissitudine spirituale:
… compagna illusa o fanciulla
senza inganno
nell’isolamento di una stanza
tu sei “Solitudine”
senza parvenza di lacrime né segno
di timore
con fluide chiome cresciute
nel letto dei fiumi
famelica di verità ti
dischiudi ai cammini (Solitudine).
Questi
gli accostamenti inconsueti di Quando il cielo
si inclina. Una ricerca attenta e
loquace di un verbo che possa affiancare con tutto il suo campo semantico-allusivo
tanta potenzialità creativa con cui giungere ad una conoscenza più approfondita
del mistero che avvolge il mondo della Poetessa,
e della sua poesia:
Solitaria la poesia
percorre il mondo
deponendo il suo canto sugli
spasimi della terra… (La poesia),
il
suo esser-ci e il rapporto con la grandezza
del tutto in un confronto fra finito e infinito.
E
anche se l’amore ed un senso di erotica nostalgia dal sapore di canzoniere
sabiano si distende come leitmotiv nel percorso dell’opera:
I nostri corpi erano un solo
pianeta
un solo sangue
eravamo gemelli di ferite (I
nostri corpi),
è
una scalata verso l’azzurro che Emma Mazzuca fa del suo canto, e lo fa, partendo
dalle sensazioni e dagli abbrivi emotivi della sua quotidianità; lo fa elevandosi
come un
volo di rondine nel cielo del crepuscolo; o azzardando passi su altezze dove la mestizia profuma come frutto acerbo.
Nazario
Pardini
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