giovedì 6 novembre 2014

N. PARDINI: LETTURA DI "QUANDO IL CIELO SI INCLINA" DI E. MAZZUCA




Emma Mazzuca: Quando il cielo si inclina
BastogiLibri. Roma. 2014. Pg. 98. €. 8.00


Il sole è già calato all’orizzonte
le stelle sono tutte svigorite
e plumbea inizia ad innalzarsi l’aurora:
ecco è questo l’istante in cui vorrei morire

Un canto che cerca le stelle svigorite e la plumbea aurora, gli sprazzi di una natura che meglio ritraggano la solitudine dell’animo di Emma Mazzuca; un canto di Saffo in cerca del mare che lima gli scogli, che cerca bufere e tempeste vicine al suo sentire e lì morire.
       Un viaggio verso mari mossi e irrequieti, verso orizzonti offuscati da brume che si levano dopo giorni di sole a brillare su scaglie salmastre. Su orizzonti smisurati dove il faro del nostro essere non riesce a prolungare una scia tanto profonda, quanto vorrebbe. Proprio Alfredo Panzini definì i poeti “simili al faro del mare”. A quel fascio luminoso che sfuma la sua forza nella notte profonda e misteriosa. Quale similitudine più vicina alle melanconie, ai dubbi, e alle incertezze del nostro vivere. Alle nostalgie del nostro passaggio terreno:

… com’è dolorosa e acre la nostalgia
per ciò che resta delle favole del mio amore
com’è difficile parlare di lei
non ho fuoco per queste membra
se non quello delle parole (Com’è dolorosa e acre la nostalgia).

Un’urgenza introspettiva ci prende, e ci turba. Un turbamento che ha a che vedere con la vita, la morte, la psiche, l’amore. E la Nostra fa della introspezione un certosino lavoro di cesellatura dove la parola assume un profondo ruolo di scavo e di sapida puntualizzazione metaforica:

Parola cammina lentamente sul mio cuore
cammina lentamente come erica sul pantano
come rondine su  ghiaccio invecchiato di una notte… (Parola),

un lavoro di scandaglio che la porta a riflessioni da cui scaturiscono, con agilità poetica, sentimenti di solitudine e di travaglio interiore, anche se a prendere in mano il bandolo della matassa è sempre una luce che in consonanza col vento tanto si fa simbolo di ri-creazione e di fuga da una realtà spesso puntigliosamente descritta e in cui la Nostra si sente impelagata per forza attrattiva.

Amo il mio giorno di vento e di luce
e volti e sguardi – la leggera danza
del mio sempre mi rapisce
- volo di rondine nel cielo del crepuscolo (Rondine).

Ed è così che l'Autrice, rievocando momenti sperduti nel suo animo, li riporta all’oggi per trovare in essi un’alcova affrancatrice. Dacché la vita è quella scampata al potere dell’oblio. Non quella che viviamo attimo per attimo destinata, in gran parte, a scomparire. Ma quella giunta al porto dopo la tempesta, che, con tutte le sue ferite e le sue falle, con tutti i segni lasciati dai marosi, con tutti i cocci che la fasciano, con tutti i meriggi che l’hanno infuocata, costituisce una paradigmatica parènesi per una nuova navigazione; un prezioso serbatoio per odisseici canti che nascono da vicende vissute e riaffiorate dense di pathos; dense di profumi, che riportano ad antiche primavere, a cammini folti di speranze e proposte di cieli infiniti. Terriccio fertile di una narrazione in cui ritroviamo il percorso della nostra identità fatta di ombre e di luci, di male e di bene, di illusioni e delusioni, di amore e dolore; insomma di quel polemos eracliteo tra gli opposti, di quella simbiotica fusione dei contrari, che, poi, è il sale e il pepe dell’esistere. La sua verità:

… gli echi delle fonti del vivere
le raffiche di vento
il sorriso nel cuore dell’eternità
dove finiscono se te ne dimentichi?

tu il dio delle rimembranze (Rimembranze).

È qui, in questi versi polisemici e plurali, nel loro andare ondivago e vario che Emma Mazzuca esprime tutto il suo patema esistenziale, ora con misure ampie e distese, ora con rattenute brevi e apodittiche, giocando tutta la loro duttilità espressiva nell’abbraccio intenso degli slanci emotivi e del loro problematico impasto. È là che volge lo sguardo l’Autrice, verso i dilemmi dell’esistere, dacché, attraverso un dettagliato e autoptico esame del loro inanellarsi, vuole giungere ad una conoscenza più approfondita di se stressa. Della sua pienezza ontologica. Cosa piuttosto improbabile considerando i dubbi e le irrequietezze che ci assillano in questa nostra perpetua indagine. Dubbi che nascono e si moltiplicano per l’insoluzione dei tanti perché; per l’umano e inumano gioco della nostra vicenda col correre del tempo:

E sento la fretta spingere l’uomo
a vivere in gara col tempo
e vedo dal’alto formiche che corron veloci
alla ricerca di ore perdute (Cercando).

D’altronde è questa vicenda che assilla e tiene in ansia la Mazzuca; Lei è cosciente della precarietà e della inaffidabilità del tempo; lei è cosciente di quanto sia fugace lo spazio del nostro soggiorno; e di quanto sia incomprensibile la fretta dell’uomo moderno a scapito della meditazione e del bene per la vita; ed è per questo che, brancolando in quelle tenebre troppo dense per i suoi slanci verso il chiarore, riesce a infondere al canto tutta le complessità plenitudinis vitae:

memoriale:

Rendimi possente memoria
l’intima consapevolezza del momento
sentir l’ampiezza della duplice entità (Rendimi possente memoria);

 panismo identificativo:

… esco al silenzio penetrando l’essenza delle cose
e non so se è beltà il grano o verità la sete

in questo istante quando il furore abbagliante
delle mèssi non violenta i miei sensi… (Tramonto),

dove il grano, le mèssi,  gli uccelli, i roveri si fanno vere oggettivazioni di frammenti d’anima;

Eros e Thanatos, saudade,  nostalgie,  fughe e ritorni, speranza:

È una marea di solitudine
l’onda del dubbio fa vacillare la  barca
una sorgente di luce s’infiamma
ad occhio di gioia dalla fronte di roccia
e speranza rinasce ad albergare la vita (Speranza);

fino alle delusioni di un’anima tutta rivolta all’identificazione della sua vicissitudine spirituale:

… compagna illusa o fanciulla senza inganno
nell’isolamento di una stanza tu sei “Solitudine”

senza parvenza di lacrime né segno di timore
con fluide chiome cresciute nel letto dei fiumi
famelica di verità ti dischiudi ai cammini (Solitudine).

Questi gli accostamenti inconsueti di Quando il cielo si inclina.  Una ricerca attenta e loquace di un verbo che possa affiancare con tutto il suo campo semantico-allusivo tanta potenzialità creativa con cui giungere ad una conoscenza più approfondita del mistero che  avvolge il mondo della Poetessa, e della sua poesia:

Solitaria la poesia percorre  il mondo
deponendo il suo canto sugli spasimi della terra… (La poesia),

il suo esser-ci e il rapporto con la grandezza  del tutto in un confronto fra finito e infinito.
E anche se l’amore ed un senso di erotica nostalgia dal sapore di canzoniere sabiano si distende come leitmotiv nel percorso dell’opera:

I nostri corpi erano un solo pianeta
un solo sangue
eravamo gemelli di ferite (I nostri corpi),

è una scalata verso l’azzurro che Emma Mazzuca fa del suo canto, e lo fa, partendo dalle sensazioni e dagli abbrivi emotivi della sua quotidianità; lo fa elevandosi come  un volo di rondine nel cielo del crepuscolo; o azzardando passi su altezze dove la mestizia profuma come frutto acerbo.


Nazario Pardini

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