Sandro Angelucci collaboratore di Lèucade |
Anna Vincitorio. Il dopo Estoril. Blu di Prussia Ed. Piacenza. 2014. Pp.112. € 12,00 |
IL CORAGGIO DEL RICORDO IN ANNA VINCITORIO
“Il dopo
Estoril. . . è diviso in parti e, ognuna di esse, è una storia a sé.
Assieme, però, tracciano un percorso esistenziale di ampio respiro.”.
Condivido in toto l’idea che Eugenio Rebecchi
si è formato sulla recentissima raccolta di Anna Vincitorio, da lui stesso data
alle stampe in Settembre. La sensazione che si sia di fronte ad un tutto
completo ed organico nasce – in effetti – da quel cammino costantemente sotteso
ad esperienze solo apparentemente dissimili, ed invece intimamente collegate
perché pietre di un’unica costruzione del mondo, di un edificio che sorge
seguendo le indicazioni di un progetto tracciato nell’anima con estrema
chiarezza e convinzione.
Potrebbe, quindi, risultare determinante –
nell’affrontare la lettura – prescindere dai vari contesti per lasciarsi andare
all’ascolto di un racconto che non c’è, eppure è quello preponderante.
L’insolito – mimetizzato ma non dissimulato –
narrare ha inizio fin dai versi incipitari, dai quali prende vita un ricordo
atipico: doloroso ma in fondo piacevole; passato ma ancora presente: “Tutto si
è compiuto allora, / tutto è ancora nella mente / Solo ancora pensieri / Né
allora né adesso parole. . .”; un ricordo immaginario che non necessita di
esprimersi per pronunciare il vero, che, come un fanciullo che dorme
“nell’anfora fiorita” del ventre della madre, piange un pianto che “insegue le
stelle” e sorride un sorriso “di tempi lunghi”, d’indicibili silenzi.
Ecco: sono questi i fatti, gli avvenimenti che
contano, quelli che “nel ricordo” fanno sollevare “un vento di maioliche / tra
i capelli sottili / delle fate”. “Sono Morgane / che non puoi trattenere – lo
sa bene la Nostra – / . . . . / Amore, amore, lontananza. . . / Una magia che
appare, / poi scompare”, e proprio nella sua continua intermittenza dimostra la
ragione d’esistere ben oltre la realtà.
Voglio dire che è lì: in un faro che si spegne
e si accende nella notte che s’intravede la costa d’approdo per destini di
naufraghi; voglio dire che dopo l’Estoril non tutto è perduto: bisogna, però,
avere il coraggio di tornarci per ritrovarlo l’“Amante spietato” che
“trascin(a) nel gorgo il viandante”, sentirla di nuovo sulla pelle la crudeltà
e la seduzione di un fragore che bacia con “mille bocche di spuma”. Il fondato
timore di ferirsi non può e non deve far gettare le armi, nonostante molto più
affilate siano quelle del disincanto: “Eravamo noi due / senza la
consapevolezza / del futuro / . . . . / Il vento soffiava / nella pineta /
anticipo di speranze / che il tempo avrebbe deluso. . .”.
Si tratta, tuttavia, di accantonare – mi ripeto
– la paura di volgere lo sguardo all’indietro per avvertire “Dentro, / un
sommesso gorgogliare” di sorgente che si perde negli anni ma non nella memoria.
Il ricordo: l’astro intorno al quale ruota il
‘sistema solare’ della Vincitorio, il perno della sua poetica.
Un memoriale: si, può essere considerata tale
l’opera; a condizione, però, che non s’indugi sul senso della perdita che,
pure, è fortemente presente tra queste pagine ma lo si superi ponendosi quegli
stessi interrogativi che si (ci) rivolge la poetessa nella sezione Solitaria follia; quesiti che si possono
riassumere nella domanda iniziale che, in esergo, introduce alla lettura:
“Esiste un compagno alle nostre follie?”, domanda cui sembra rispondere Alda
Merini con i versi tratti da Il sequestro:
“Manicomio è parola assai più grande / delle oscure voragini del sogno, / eppur
veniva qualche volta al tempo / filamento d’azzurro a una canzone / lontana
d’usignolo. . .”.
Come dire che la solitudine più che vincolo
individuale è stato di tutta l’umanità, e la pazzia sta nel sentirsi
abbandonati, quando altro non si desidererebbe che ricongiungersi con gli
altri, che “Forse – scrive la Nostra, lasciando intendere più del dubbio la
certezza – siamo noi stessi”.
Nella sezione finale, dedicata ad Alma, questa
persuasione prorompe, lancia il suo urlo disperato e trova, malgrado il
“cammino verso l’ombra”, un raggio di Sole, la luce che non può più tradire:
“E’ ancora (e sempre) attesa. . . nascondere il capino sotto l’ala per spiare
meglio gli eventi. . . E’ il finire per ricominciare, subito, subito. . .” (v.
Gaetano Chiappini in postfazione).
Sandro
Angelucci
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