sabato 1 novembre 2014

N. PARDINI SU "ROMANZO INEDITO" DI F. VETRANO




Trattasi di un romanzo, da come afferma l’Autore, di 12 capitoli che narra un anno della vita di un bambino in un paese del sud alla fine degli anni 50. L’idea nacque a fine 2007 dall’esigenza di fissare nella memoria un modo di vivere e una lingua, quella del dialetto arcaico, oramai quasi estinti. Lo scrittore è a circa metà del cammino. In appendice, o sotto forma di note a piè di pagina, dovrebbe figurare un glossario dei termini dialettali.

Una narrazione incisiva, scorrevole, le cui descrizioni sono di una visività proteiforme, di una significazione analitica, dacché contribuiscono, non poco, a evidenziare la fusione  dell’autore con il suo milieu e nello stesso tempo a far risaltate i caratteri dei personaggi. Il prodromico impatto è di particolare intensità: “Rocco era lì da mezz’ora ad aspettare che il sole di ottobre scendesse pigramente dal suo regno azzurro accarezzando le cime dietro Baltiano.
Lo spettacolo del tramonto purpureo lo aveva di nuovo rapito come fosse la prima volta. Con gli occhi pieni del prodigio non si era nemmeno accorto del falco che volteggiava silenzioso nel cielo e del leprotto che cercava un nascondiglio sicuro; quando notò il re del cielo non trattenne un moto di invidia per quel fortunato che godeva di libertà assoluta”. Un’apertura larga, a tutto schermo, di uno sperdimento panico che avvia a una storia in cui la natura si fonderà simbioticamente con i personaggi  dando loro ora forza, ora gentilezza, ora semplicità paesana. Una vivacità di colori, una gamma di sensazioni, che, fin da subito, mette in risalto la sensibilità di Rocco, e il suo piacevole disperdersi nelle esplosioni di un cielo dolce e potente. Di una Natura che tanto si avvicina agli stati emotivi del ragazzo. La narrazione, che a me pare contenga tanto autobiografismo, si distende su uno spartito agile, vero, di un realismo declinato in figurazioni e cromie che mai sono oziose, ma sempre funzionali a una trama dal valore poematico. I fatti descritti con generosità esplorativa delineano bene la psicologia di mamma Zarafina, e la curiosità di Rocco e di Luigino. Mentre i vocaboli dialettali, usati di proposito, ci avvicinano molto all’uso narrativo di memoria verghiana, dacché rendono ancor più realistiche le scene con una resa di marcato verismo. Un verismo che si nutre di scene e avvenimenti zeppi di emozioni e di intrecci vicissitudinali che tanto fanno pensare ad occasioni vissute in antiche primavere o in pacati autunni umani che macerati nell’anima dell’Autore si rifanno vivi non più soltanto con la loro originale quotidianità, ma direi abbracciati da melanconie e nostalgie; di stagioni vissute, di momenti esistenziali che tanto dicono della fugacità del tempo e della precarietà della vita. Le attività scolastiche, la luce vivida delle finestre sgangherate, la flatulenza,  nonna Rosa, il ciuccio, il maestro, Ludovico, De Crittis, l’uccisione del maiale,… Don Umberto, Emilio,  tutto si dipana con una rimarcata crudezza espositiva, volta però a sottrarre la bellezza di cose perdute agli annichilenti artigli del tempo. Fino alla soluzione a sorpresa della ricchezza di Emilio, che fino a quel tempo aveva condotto una vita da pezzente. Il suo amore per Lina,  la sua generosità verso gli abitanti del paese,  i suoi occhi rivolti alle montagne, e le sue labbra dallo stesso sorriso incantato… Sì, una morte, una redenzione, un finale da melodramma rossiniano. Un explicit di fattura emotiva, dove la semplicità di una terra, la povertà di una popolazione,  il rapporto con la morte, e l’amore si fondono insieme per una verità che corre in tutta l’opera vestita di polisemico pathos memoriale, di energica potenzialità interiore, e di urgente necessità di raccontare. A voi la lettura, il compito del critico è quello di introdurre non di svelare.  

Nazario Pardini

            






2 commenti:

  1. L'ho letto e l'introduzione del nostro Nazario mi sembra una meravigliosa ode al neo - realismo, alla volontà del mio Franco di valorizzare le radici...
    Si tratta di un testo nuovo, che non trova riscontri nei romanzi
    attuali. Verghiano, senza la rabbia dello scrittore siciliano. Bellissimi
    gli inserimenti in corsivo delle storie dei singoli. Struggenti! Permette ai lettori di viaggiare in un'altra epoca e di entrare sotto la pelle dei tuoi concittadini. Un grande omaggio alla tua terra, a coloro che restarono e a quelli, che con infinita nostalgia, provarono a partire...
    Sono fiera nell'appurare che Franco l'ha terminato! Un abbraccio doppio.
    Maria Rizzi

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  2. La nota critica del Professor Pardini e il commento di Maria Rizzi mi spronano a continuare a scrivere "Il sapore dei ricordi" fino al completamento. Grazie!

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